Dalle banche all’Alitalia: illusione Pantalone

Dalle banche all’Alitalia, siamo ormai assuefatti all’idea che di fronte a una crisi, basti attaccarsi alla tetta di Stato per risolverla. Ma «alla fine il sistema collasserà»

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Carlo Lottieri, filosofo libertario e sostenitore dell’indipendentismo veneto (e non solo), ha pochi dubbi: «Per capire cosa accade oggi in Italia – dice a Tempi – basterebbe rileggere maestri dimenticati come Amilcare Puviani». Il riferimento non è dei più immediati, ma vale la pena approfondire. Nel 1903, Puviani pubblica il suo lavoro più importante, la Teoria dell’illusione finanziaria. Secondo l’economista modenese, i governanti destinano abitualmente una larga parte delle risorse finanziarie dello Stato a favore della “classe dominante” a insaputa degli altri cittadini, i quali verrebbero illusi con l’inganno di avere vantaggi dal sistema che in realtà non hanno oppure indotti a versare una tassa, magari di scopo, facendo leva sui sentimenti, come un’emergenza cui fare fronte (Puviani cita anche il prelievo fiscale per riparare i danni dei terremoti) o un pericolo che con l’impiego di quelle risorse può essere sventato. «Il punto è che solitamente il singolo cittadino vede più facilmente quel che è a suo favore, rispetto a quanto invece va a suo danno. E anche se lo vede, difficilmente interviene: il cosiddetto salvataggio di Alitalia o di una banca finisce sulle spalle del contribuente? Sì, e infatti a parole tutti si indignano. Poi però nessuno si mette a fare la rivoluzione per quei 20 euro di Irpef in più che quell’operazione gli costa. Questo i politici lo sanno, e non è un caso che il modus operandi sia sostanzialmente sempre lo stesso: si attinge alle risorse pubbliche, aumentando tasse e debito, ma con costi largamente distribuiti, non (o poco) visibili e posticipati».

Puviani allora e Lottieri oggi dicono tutto sommato la stessa cosa. Che l’abitudine a risolvere tutto con i soldi pubblici si è fatta assuefazione. E che a quello, tutto sommato, puntano un po’ tutti: attaccarsi alla tetta dello Stato per succhiare la propria quota di spesa pubblica. La vicenda delle banche venete sta lì a dimostrarlo: in poco più di un anno e mezzo, il paradigma è completamente cambiato. Nel novembre del 2015 per le cosiddette “quattro banche” – Etruria, Carichieti, Cariferrara e Banca Marche – il governo anticipò addirittura di quasi un mese e mezzo le regole del bail-in, il salvataggio bancario con risorse “interne”, attingendo cioè alle risorse di azionisti, titolari di obbligazioni subordinate e (ipoteticamente) anche per i correntisti, per i depositi eccedenti i 100 mila euro. Un incubo per i risparmiatori travolti dalla malagestione degli istituti cui avevano affidato i propri investimenti, piccoli o grandi, ma un sollievo per i contribuenti, perché la logica della norma voluta a livello comunitario era che dovesse finire l’epoca degli utili privati a fronte di perdite sempre socializzate. Con Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca si torna, in qualche modo, all’antico: non al bail-out, il salvataggio tutto con fondi pubblici, ma a qualcosa di molto simile, sia pure più sofisticato (eufemismo).

Ci sono voluti 20 minuti, ma un giorno e mezzo di suspence, per arrivare al decreto. «Un intervento a favore di correntisti e risparmiatori» e «delle economie del territorio» per «evitare un fallimento disordinato», secondo il premier Paolo Gentiloni. Via libera dalla Commissione europea a un’operazione così strutturata: BpVi e Veneto Banca si fanno in quattro: le due good bank che nascono dalle ceneri degli istituti saranno acquistate per un solo euro da Intesa Sanpaolo, che quindi incorporerà depositi, filiali e dipendenti (ma una quota sarà dichiarata in esubero). Un affare? Anche di più: il gruppo guidato dall’amministratore delegato Carlo Messina riceverà dal governo 5,2 miliardi di euro (prelevati dal cosiddetto “fondo salvabanche”) per non peggiorare i “ratios patrimoniali” e la politica dei dividendi di Ca’ de Sass, mentre – i conti li ha fatti lo stesso Messina, commentando il decreto – Intesa metterà le mani su «50 miliardi di euro di risparmi di 2 milioni di clienti, di cui 200 mila aziende operanti in aree tra le più dinamiche del paese». Salvi correntisti e obbligazionisti senior, saranno ben tutelati anche i titolari di obbligazioni subordinate, che avranno un “ristoro” pari all’80 per cento del loro investimento, a carico dello Stato. A fine operazione, per ammissione dello stesso ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, il conto da pagare per i contribuenti sarà di circa 17 miliardi di euro, che sommati ai circa 6 e mezzo necessari per Monte dei Paschi di Siena fanno più del budget già stanziato con il Salvabanche.

«Ci perderanno i clienti, che al posto di tre linee di credito (…) se ne troveranno solo una di gran lunga inferiore alla somma delle tre. Ci perderanno i dipendenti che negli ultimi 18 mesi hanno visto scappare i depositanti, i clienti e le opportunità di mercato e che presto saranno “efficientati” nel nome del consolidamento. Ma soprattutto ci ha perso la credibilità delle istituzioni italiane ed europee, per come l’intera vicenda è stata gestita». Così Luigi Zingales, sul Sole 24 Ore, ha commentato l’esito della vicenda, rilevando come dal caso delle banche venete a uscire compromesso è il progetto di unione bancaria, che a fronte di una tale disinvoltura nell’interpretazione delle regole (da parte dei singoli paesi e della stessa Unione Europea) troverà pochi disposti a sacrificarvi consenso nazionale e risorse.

Diritti per tutti?
E insomma, il dato è che è (anche) il vizio italiano di pensare che alla fine pagherà Pantalone (che poi siamo noi) a minare le basi stesse dell’integrazione europea. Vizio che non riguarda soltanto le banche. Anzi. «Nell’Ottocento si temeva che la democrazia rappresentativa potesse degenerare nella dittatura della maggioranza – dice Lottieri – la verità è che oggi ci rendiamo conto che a influenzare la politica, e quindi la spesa pubblica, sono le minoranze organizzate». Vale per i tassisti, ma anche per le coppie dello stesso sesso. Storie diverse, diritti di vario genere rivendicati, libertà sventolate ma alla fine sempre là si va a parare: all’incasso. Con le unioni civili sponsorizzate dal governo Renzi, si è determinato un aggravio – che comunque il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha definito «sostenibile» – di alcune centinaia di milioni di euro, relativo alle pensioni di reversibilità.

E anche altri diritti, come quello di cittadinanza da riconoscere con lo Ius soli ai ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, hanno un costo per le casse pubbliche: come in altri casi, Puviani insegna, si può scegliere di sostenere. Tanti diritti, tante minoranze organizzate, tante emergenze, altrettante mammelle cui attaccarsi e una domanda: ce ne sarà sempre per tutti? Risponde Lottieri: «No, i costi sono altissimi e alla fine il sistema crollerà. Finirà come l’Impero romano, collassato per le clientele e il parassitismo dopo essere stato la più grande potenza commerciale e militare del mondo».

@apatarga

Foto Ansa

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