Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Intervista a padre Maurizio Annoni, presidente dell'Opera San Francesco di Milano, che da 50 anni, ogni giorno, sfama migliaia di bisognosi. E dà a tutti appuntamento per il 16 e il 17 maggio

Da oltre cinquant’anni, ogni giorno, all’Opera San Francesco sfamano i poveri di Milano. A pranzo e a cena, la fila dei bisognosi si allunga da viale Piave in poi, e ogni giorno i volontari distribuiscono 150 chili di pasta, 50 chili di riso, 4.500 panini e molto altro. Proprio per ricordare a tutti l’importanza di quel pane donato ogni giorno, l’Opera San Francesco ha organizzato due giornate speciali, il 16 e il 17 maggio, per acquistare una pagnottella e lasciare un contributo simbolico di 5 euro, utile per le attività benefiche dell’Osf. Ne abbiamo parlato col presidente, padre Maurizio Annoni.

Il 16 e il 17 maggio i volontari dell’Osf saranno nelle piazze dei capoluoghi lombardi per offrire un panino. Ci spiega l’importanza di questa iniziativa?
Sono ormai sette anni che organizziamo queste due giornate speciali, per fare conoscere le nostre attività. Sono tante le associazioni che prevedono giornate di raccolta fondi, e solitamente offrono fiori o piante, noi abbiamo preferito optare per un dono piccolo, un panino, che ha in sé un grande valore cristiano. Pensiamo al “dacci oggi il nostro pane quotidiano” o all’Eucarestia e al suo significato. Infine il pane che da oltre cinquant’anni l’Opera San Francesco offre ai bisognosi secondo quanto ideato da fra Cecilio, il frate cappuccino che ha cominciato ad aiutare gli altri nel convento di viale Piave. Ad aiutarci nelle due giornate di maggio è Panem, l’azienda panificatrice, che ci aiuta a contenere le spese facendoci dono del pane che riporremo nei sacchetti.

Le file che precedono l’ingresso della vostra mensa sono sempre molto lunghe. Quante sono e chi sono le persone che si rivolgono a voi?
Dall’inizio del 2015 abbiamo dei numeri leggermente inferiori rispetto allo scorso anno. Il 2014 è stato però un anno straordinario a causa della massiccia presenza dei profughi eritrei rifugiati a Milano. La maggior parte di loro non aveva intenzione di sostare in città a lungo, più che altro cercava un pasto caldo nei giorni più difficili, in attesa di ripartire. Ma questo ha fatto sì, per la nostra mensa, che salisse il numero di pasti quotidiani elargiti. La media del 2014 è stata di 2.779 pasti al giorno, tra pranzo e cena.

Ha visto cambiare, nel corso degli anni, la tipologie di persone che chiedono un pasto?
Possiamo dire che la fotografia sociale è mutata dal 2013, quando il numero dei nostri connazionali è diventato pari a quello degli stranieri. Vengono da noi molti italiani che hanno perso il lavoro, molti pensionati che percepiscono la pensione sociale minima, molti monogenitori, padri separati o madri single. In alcuni periodi abbiamo sfiorato i 3.100 pasti al giorno.

Opera San Francesco non vuol dire solo pasti, però. Può raccontarci in che altro modo aiutate chi si rivolge a voi?
Abbiamo un servizio guardaroba, che si occupa di raccogliere durante tutto l’anno vestiti usati, che poi vengono lavati, piegati e donati. Abbiamo da poco anche un servizio docce, perché per dare dignità all’individuo non basta sfamarlo, serve anche dargli vestiti puliti e la possibilità di curare l’igiene personale. Per accedere a questi servizi, e anche a quelli della mensa, chiediamo a tutti i nostri ospiti di compilare un questionario e di fornirci un documento, che la maggior parte di loro ha. Dopo di che diamo loro un badge, che permette l’accesso, che è valido per un mese. Scaduto il permesso, viene riposto il questionario all’ospite, per sapere quali sono i suoi progetti per il futuro, se ha ancora bisogno di aiuto. Da lì in avanti il badge varrà sempre tre mesi, al termine dei quali dovrà essere di nuovo validato. Queste procedure ci permettono di mantenere un certo ordine. E senza i nostri volontari non potremmo portare avanti tutto questo.

Chi sono i volontari che vi danno una mano?
L’anno scorso abbiamo avuto 716 volontari, ognuno di loro per un certo periodo. Il loro compito è molto complesso, devono riuscire a non farsi coinvolgere troppo dalle storie che sentono raccontarsi quotidianamente. Gli ospiti li vedono come potenziali amici, ma questo non deve accadere, per il benessere di entrambi. I volontari si alternano, gli ospiti vanno via, affezionarsi è deleterio. Questo non significa totale mancanza di cordialità, ma conta più il rispetto dell’ospite piuttosto che prendere su di sé le storie di uomini che non si possono risolvere nell’immediato.

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