Da dove arriva tutta questa aridità? Lettera su Sanremo

Quello che mi ha preoccupato guardandolo è stata la povertà; la povertà della creatività, delle parole e della musica. Soprattutto quella dei giovani

il direttore artistico del festival di Sanremo tra i vincitori Mahmood e Blanco

Caro direttore, seppur lei abbia indubbiamente ragione a suggerirci di spegnere la televisione perché citando Pasolini, la televisione è omologazione; purtroppo per me ogni anno è molto faticoso resistere a Sanremo, tanto che non resisto. Seppur effettivamente negli anni sia sempre più deludente. Ma ritenendo che Sanremo rispecchi parte della nostra società, secondo me sono da fare certe considerazioni. E le mie più che considerazioni son preoccupazioni e domande.

Non mi soffermerei sulle procedure Covid di Sanremo (magari valessero dappertutto!); come non mi soffermerei sulla “non trasgressione” di Achille Lauro. Come risponde elegantemente l’Osservatore Romano «non esistono più i trasgressori di una volta». La sua provocazione è stata talmente banale e ha talmente stufato, che non dovrebbe offendere nessuno. E mi dispiace pure che Achille si faccia abbindolare dal potere, perché ha scritto pure delle belle canzoni.

Quello che mi ha preoccupato guardando queste serate è piuttosto la povertà; la povertà della creatività, delle parole e della musica. Soprattutto quella dei giovani. (Tanto che per alzare l’audience e guadagnare punti hanno dovuto puntare sul fantasanremo e dire “Papalina”).

Non che gli anni scorsi fossero diversi. Ma nessuna gara ha annoiato come quella di quest’anno. Ero curiosa di ascoltare tutto tranne che 22 delle canzoni in gara. E le canzoni in gara erano 25.

E allora la domanda sorge: da dove arriva tutta questa aridità? Cosa sta portando soprattutto nei giovani?

Credo che tutti quelli che hanno visto questo Festival si siano accorti che sul palco dell’Ariston i più vivi erano Morandi, la Zanicchi e Ranieri (il suo senz’altro il testo più bello. Non era difficile).

La potenza con cui Iva cantava «voglio amarti perché anch’io ho fame di te», non l’hanno raggiunta neanche Mahmood e Blanco, che oggettivamente sono stati i più bravi sul quel palco.

Ma Iva ha 82 anni, l’anno scorso era nel reparto di mia sorella per aver contratto il Covid, e in queste sere era su quel palco a cantare con una potenza celestiale. Qualche giorno prima in un’intervista diceva: «Voglio vivere alla grande e finché Dio mi dà questa voce per cantare, io canto».

E mentre Morandi, 77 anni, cantava: «Apri tutte le porte, brucia tutte le scorte, fai entrare il sole» ballando; Blanco,18 anni, cantava: «Nudo con i brividi, a volte non so esprimermi», sdraiato per terra.

Non a caso qualche minuto prima della fine Morandi ha dato dei vecchi ai vincitori e a sé del giovane. Lui lo diceva scherzando. Ma seriamente, come dargli torto?!

Francamente ritrovandomi tra quei “giovani vecchi” le domande sono più incombenti. Perché siamo più tristi? Più seri? Più ammortizzati? Più centrati su noi stessi?

E con questa aridità, c’entra forse quella fanatica e incomprensibile esaltazione di un monologo di Gianluca Gori sull’unicità e l’ascolto? (Poi il putiferio su Zalone).

C’entra forse quel discorso sul razzismo che si è dovuta accollare sul suo piccolo corpo minuto la giovane Cesarini? (Ohibò dove è finita l’unicità?).

C’entra forse Jovanotti che dice che “poeta” non ha un genere, e poi recita un Inno alla realtà? Non è forse il genere che esalta e fa parte di questa realtà da ringraziare?

Forse sì, direttore. La nostra triste aridità c’entra con questa omologazione.

In Lettere Luterane, Pasolini scriveva: «Siamo stanchi di diventare giovani seri, o contenti per forza, o criminali, o nevrotici: vogliamo ridere, essere innocenti, aspettare qualcosa dalla vita, chiedere, ignorare».

E immaginando di scrivere a un suo ipotetico alunno, Gennariello, diceva: «Non lasciarti tentare dai campioni dell’infelicità, della mutria cretina, della serietà ignorante. Sii allegro. La terza cosa che ti viene insegnata è la retorica della bruttezza. (…) Chi trionfa in tutta questa follia sono appunto i brutti: che sono divenuti i campioni della moda e del comportamento. (…) Ed ecco che essi non ti insegnano a splendere. E tu splendi, invece Gennariello».

Morandi direbbe: «Fai entrare il sole».

Gloria Amicone

Foto Ansa

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