I cristiani perseguitati ci perseguitano

Per dire, sabato sera, a Messa ha parlato padre Peter Kamai, rettore del seminario di Jos in Nigeria. Lì Boko Haram brucia chiese, distrugge case, sgozza cristiani

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Quand’è che i cristiani perseguitati la smetteranno di infastidirci? Che vogliono? Commiserazione, ammirazione, sdegno? Forse che non gliene abbiamo dati in abbondanza, forse che non abbiamo dedicato loro qualche pensiero, qualche buona azione, qualche centesimo d’offerta domenicale? Abbiamo patito così tanto per le loro sofferenze, e non ce ne siamo nemmeno vantati troppo in consiglio pastorale. E allora, perché i perseguitati ci perseguitano?

Per dire, sabato sera, a Messa ha parlato padre Peter Kamai, rettore del seminario di Jos in Nigeria. Lì Boko Haram brucia chiese, distrugge case, sgozza cristiani. A un suo catechista è stata tagliata la gola perché ha rifiutato di convertirsi. Ha detto solo «non posso», prima che il machete gli recidesse la giugulare. Lo si ascoltava zitti, sgomenti. Poi padre Peter ha aggiunto che nel suo paese crescono le vocazioni, le Messe si riempiono, la fede si fortifica. Lo si ascoltava zitti, sollevati. Solo che poi ha esagerato. Ha detto che i nigeriani ci chiedono solo preghiere e di cambiare. Sapere che in Occidente i «nostri fratelli maggiori nella fede sono addormentati, depressi e timidi, è per noi di grande sconforto».

Ecco, questo no. Finché si tratta di ammirarli, nessun problema. Ma se ci chiedono di essere noi stessi martiri, cioè testimoni, cioè di convertirci, questa è una fatica troppo grande per noi. Abbiamo soluzioni teoriche per ogni loro problema, ma non è il caso di metterci in imbarazzo con quella domanda importuna: fratello, dove sei?

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