Covid-19. Quali tutele per i disabili a scuola

C’è però un grande assente nel dibattito mediatico e tecnico sulla scuola ai tempi della quarantena: l’alunno disabile.

Tratto dal Centro Studi Livatino

1. Impreparata all’uso della didattica a distanza come modalità esclusiva di insegnamento, la scuola è stata duramente colpita dalla pandemia: si è affidata alla buona volontà degli insegnanti e dei dirigenti scolastici per superare le molteplici difficoltà pratiche e per soddisfare le esigenze degli studenti, specie dei più piccoli. A livello contrattuale, la didattica a distanza non è nemmeno un obbligo per gli insegnanti: non compresa nel contratto nazionale, è un extra su base “volontaria”, che gran parte dei docenti si è sobbarcata per senso del dovere.

C’è però un grande assente nel dibattito mediatico e tecnico sulla scuola ai tempi della quarantena: l’alunno disabile. La scuola è l’unico servizio non sanitario presente in modo importante nella vita dei disabili e delle loro famiglie, il solo con finalità di socializzazione, ma anche con possibilità d’inclusione in un contesto più ampio di quello della famiglia.

Nella scuola i discenti dovrebbero avere tutti le medesime opportunità. La diversità dovrebbe essere vista come una risorsa e come occasione di confronto e di crescita. Invece in periodo di Covid-19 i principi fondamentali paiono stravolti, con incremento delle diseguaglianze.

2. Gli alunni disabili rappresentavano nel 1990 l’1.8% degli studenti italiani nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, nello scorso anno scolastico la loro percentuale è salita oltre il 4%; la media sale al 4.3% (69.021 alunni) nelle scuole primarie (elementari) e si attesta al 4.1% nelle secondarie di primo grado (medie) e al 2.9% in quelle di secondo grado (superiori).

Parliamo di una categoria composita di oltre 259 mila ragazzi con deficit di tipo intellettivo, affettivo-relazionale o di sviluppo motorio e/o visivo: studenti con problemi di linguaggio, apprendimento e attenzione, che però non hanno perso il diritto di sentirsi parte di una collettività e di intraprendere un percorso di crescita personale, con presenza che varia da Regione a Regione. La Sardegna fa registrare la maggior presenza di alunni disabili, con più del 4% sulla percentuale degli studenti, seguita dalla Liguria (4.03%), dalla Sicilia (3.98%) e dagli Abruzzi (3.95%). 

3. A questi dati si affianca la carenza di figure specializzate. Nell’anno scolastico 2017/2018, il 35.6% delle figure per il sostegno in Italia sono state selezionate dalle liste curriculari, ovvero da insegnanti con scarsa preparazione nel sostegno. La media raggiunge in Piemonte addirittura il 50.6%, e vede tutte le Regioni del Nord con medie superiori rispetto al resto d’Italia. A completare il quadro c’è il fatto che l’insegnante di sostegno cambia di anno in anno, privando di fatto i ragazzi di una continuità didattica ed educativa fondamentale. Sempre nel 2017-2018 lo hanno cambiato più della metà degli studenti con disabilità presenti nelle scuole italiane e la motivazione è stata puramente economica: far risparmiare allo Stato due mesi di stipendio per ciascun insegnante. Tutto ciò a scapito dei minori più fragili, per i quali cambiare continuamente insegnante di sostegno comporta gravi disagi, con ricadute in termini di pregiudizio del percorso di formazione.

Secondo Tuttoscuola, il portale del Ministero dell’Istruzione, all’inizio del presente anno scolastico circa 170 mila alunni con disabilità (il 59% del totale) non hanno trovato il docente di sostegno che li seguiva l’anno precedente. A questi problemi si aggiungono anche quelli relativi alle barriere fisiche, che impediscono spesso l’accesso nelle scuole ai ragazzi con deficit motori.

4. Un tema epocale che si intreccia con quello dell’edilizia scolastica, e che vede in tutte le Regioni d’Italia situazioni critiche. Nell’ultima valutazione dell’Istat, relativa all’a.s. 2017-2018, quasi la metà delle scuole italiane (il 47.8%) è risultata non accessibile ai disabili. Una dinamica particolarmente critica al Sud Italia, dove è emerso che oltre il 57% delle scuole di Calabria e Basilicata è privo di facilitazioni per alunni con disabilità. Un quadro nazionale desolante, dal quale sembrano discostarsi solo la Val D’Aosta e le Province autonome di Trento e Bolzano. 

Nella stragrande maggioranza dei casi l’ostacolo è l’assenza di un ascensore o la presenza di uno non a norma (46%). Un dato è già da solo drammatico: ad oggi solo il 34% degli edifici è accessibile agli alunni con disabilità motoria. La situazione appare migliore nel Nord del Paese (38% di scuole a norma), mentre peggiora nel Mezzogiorno (29%): in Campania solo il 24% delle scuole è privo di barriere fisiche. Frequenti sono anche le scuole sprovviste di rampe per il superamento di dislivelli (33%) o di bagni a norma (29%). Significa che se un alunno o un’alunna con disabilità ha bisogno di andare in bagno occorre chiamare bidelli e insegnanti (che in teoria non potrebbero lasciare l’aula) affinché lo/la sorreggano. Oppure lui/lei non può andare a scuola.

Negli anni precedenti soltanto il 15% delle scuole ha effettuato lavori finalizzati all’abbattimento delle barriere architettoniche. Eppure l’accessibilità dello spazio, la presenza e la fruibilità di tecnologie adeguate, il sostegno di figure competenti opportunamente formate, giocano un ruolo fondamentale nel favorire la partecipazione degli alunni a una didattica inclusiva.

5. Al tempo del Covid-19 le barriere all’inclusione scolastica non sono solo di tipo materiale. L’alunno con gravi disabilità è esentato dall’uso dei dispositivi di prevenzione e delle mascherine. Però anche per loro vale quel che vale per tutti gli studenti, ovvero che, in caso di positività o di contatti con positivi, si rientra a scuola dopo il tampone e il periodo di isolamento.

Che cosa vuol dire riammettere un ragazzo con disabilità solo dopo un tampone? Parliamo di persone con disabilità gravi, spesso non collaboranti, per le quali è tutt’altro che agevole eseguire i test previsti. Per la paura di venire contagiati talvolta i genitori non portano neppure i figli a scuola.

Il punto è esattamente la mancata programmazione dell’emergenza con la predisposizione di percorsi diagnostici differenziati per gli studenti con disabilità. Non esistono al momento percorsi differenziati per la diagnosi, che sarebbe stato opportuno predisporre sin dall’inizio dell’anno scolastico. Non si può fare una fila di ore a un drive-in con un ragazzo autistico che vuole tornare a casa: i tamponi in questi casi andrebbero svolti a domicilio, dove l’ambiente familiare facilita un test invasivo. C’è uno scollamento forte tra il diritto all’istruzione e la situazione determinata dall’emergenza sanitaria, nonostante siano trascorsi diversi mesi durante i quali sarebbe stato possibile (e quanto mai opportuno) assumere i provvedimenti opportuni. 

6. Sul sito del Ministero dell’Istruzione si legge che “lintegrazione scolastica degli alunni con disabilità costituisce un punto di forza della scuola italiana, che vuole essere una comunità accogliente nella quale tutti gli alunni, a prescindere dalle loro diversità funzionali, possano realizzare esperienze di crescita individuale e sociale”. Con circolare del 5/11/2020, di seguito al dPCM 3/11/2020, il Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione dello stesso Ministero ha ribadito la necessità che per tutti i contesti ove si svolga attività in Didattica Digitale Integrata (DDI) si realizzi un’inclusione scolastica effettiva e non solo formale, “volta a mantenere una relazione educativa che realizzi effettiva inclusione scolastica. I dirigenti scolastici, unitamente ai docenti delle classi interessate e ai docenti di sostegno, in raccordo con le famiglie, favoriranno la frequenza dellalunno con disabilità, in coerenza col PEI” [Piano Educativo Individualizzato].

Tuttavia le famiglie dei minori disabili continuano a sperimentare quotidianamente l’assenza di misure idonee per l’effettiva partecipazione scolastica dei figli. Urge pertanto una normativa nuova, aggiornata ai tempi, ai progressi scientifici, soprattutto in grado di interpretare le effettive esigenze, non sempre omogenee, della più consistente “minoranza” italiana. Urge, in particolare, ricordare il ruolo centrale della persona, contestualizzando e regolamentando gli aiuti in funzione del pieno sviluppo dell’individuo, rendendo effettivo il sostegno al bisogno, alla sofferenza, all’emarginazione e alla difficoltà economica.

7. Sarebbero inoltre opportune misure di salvaguardia dei diritti fondamentali dei minori disabili a livello medico-sanitario, a livello amministrativo e a livello sociale, come ad esempio:

Foto Ansa

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