Cosa non torna nei numeri che criminalizzano la Lombardia

La solita caccia all’untore, rischia di colpire il bersaglio sbagliato. Proposta di un diverso metodo di calcolo. Lettera

Caro direttore, non apprezzo gli sputazzatori, come è giusto. Ma li temo di meno dei moralizzatori in guanti bianchi del giornalismo d’inchiesta documentatissimo e fattuale. Ti lascio i tuoi sputazzatori e prendo in considerazione il più autorevole e solitamente meno incline al pregiudizio ideologico, Corriere della sera, nientemeno che l’editoriale a firma Gabanelli – Ravizza (Lombardia domande inevitabili). Elenca una serie di errori per accusare il “modello” sanitario della Regione Lombardia. 

Vorrei premettere che il vero “modello”, giustamente apprezzato da vent’anni, non so quanto sia ancora attuato da sette anni a questa parte; poi devo notare che gli errori evidenti, in gran parte commessi in solido con il Governo che quel modello avversa, mettono in discussione le responsabilità personali e non inficiano  necessariamente la struttura organizzativa, il cosiddetto modello.

Il punto che a me pare grave, anzi totalmente inaccettabile è questa frase che, posta in premessa, regge tutto lo sviluppo dell’articolo, dove lamenta che in Lombardia ci sia «un numero di decessi così alto rispetto al Veneto e all’Emilia-Romagna, dove l’epidemia è partita quasi contemporaneamente. Non lo giustifica il fatto che il 25 febbraio ci fossero 231 contagiati contro i 42 in casa Zaia e i 26 in casa Bonaccini».

Prescindiamo pure dal fatto che da tempo si parla di un numero reale di contagiati da 5 a 10 volte quelli accertati con i tamponi (il Corriere di oggi lo da per certo), quindi il dato di partenza sarebbe ben più impegnativo, per tutte le regioni, ma soprattutto per la Lombardia, l’errore di metodo che devo far notare è che proprio dal Corriere qualche settimana prima abbiamo appreso l’importanza della progressione matematica del contagio, quindi del numero base di partenza. Non essendo un matematico (ho solo studiato un po’ di logica per laurearmi in filosofia mezzo secolo fa) ho provato ad usare in modo dilettantesco quello che mi sembrava il suggerimento di Giordano. Assumendo prudenzialmente il famoso R0=1, cioè che ogni contagiato ne contagia un altro, raddoppiandone il numero, mi chiesi  quanti raddoppi occorrono per arrivare dai 231 lombardi indicati da Gabanelli-Ravizza ai 62153 del giorno 15 marzo da loro preso in considerazione? Con 8 raddoppi si arriva a 59136, ci siamo quasi.

E con la base 42 del Veneto, a che numero si arriva con 8 raddoppi? A 10752, piuttosto lontani dai 14624 effettivi, come dire che il Veneto ha fatto un po’ peggio della Lombardia in termini di prevenzione. E la virtuosa Emilia-Romagna che prima di essere contagiata dal covid19 non era mai stata contaminata dal modello lombardo di sanità? La sua base 26 all’ottavo raddoppio dà 6656, ma questa cifra è molto lontana dal contagio effettivo di casa Bonaccini che è di 21029, più del triplo del risultato atteso.

Caspita, possibile che il giornalismo d’inchiesta abbia sbagliato regione? Proviamo con un altro metodo. Dividiamo i numeri del 15 marzo per quelli della data di partenza indicata da  Gabanelli-Ravizza. In 50 giorni i contagiati della Lombardia passano da 231 a 62153. Ciò significa che il contagio lombardo è aumentato di 269 volte. Caspita! 

Ma quale sarà il moltiplicatore delle altre due regioni citate? Due divisioni elementari ed ecco il risultato: Veneto 14624:42= 348 volte di aumento, Emilia-Romagna 21029:26=808 volte! Doppia meraviglia. 

Il contenimento sul territorio della diffusione del virus, indicato dall’inchiesta come colpa massima, derivante dalla   scelta politica “privatistica” del modello Lombardia, funziona peggio dalle altre parti e in Emilia-Romagna tre volte peggio.

Ma ancora una volta voglio essere scrupoloso, può darsi che la data d’inizio del confronto sia scelta male dalle pur apprezzate giornaliste, che magari al 25 febbraio non si fossero fatti un numero sufficiente di tamponi per dare un risultato affidabile. Un’altra data significativa può essere lunedì 9 marzo, quando la consapevolezza del contagio ha spinto  alla chiusura della Lombardia e delle altre province compromesse. Ecco il risultato del confronto: la proporzione cambia, ma la Lombardia rimane manifestamente la più efficace nel contenimento, infatti il numero dei contagiati cresce di 11,36 volte in Lombardia, in Veneto di 19,65, in Emilia Romagna di 15,23.

Ancora una volta mi viene uno scrupolo: Gabanelli-Ravizza hanno sì impostato la testa dell’articolo sull’attacco al modello di collaborazione pubblico-privato che ha privilegiato a loro dire la medicina ospedaliera dove operano i gruppi privati a scapito di quella del territorio, necessariamente pubblica, ma l’argomento che può colpire di più è ovviamente il numero dei morti e qui l’assunto sembra inattaccabile: «A oggi sono morti 11 lombardi ogni 10 mila abitanti, contro i 6 dell’Emilia Romagna e i 2 del Veneto».

Ecco il mostro in prima pagina. Ma anche qui c’è un errore di metodo. Non stiano parlando di qualcosa che parte da una base omogenea, che giustificherebbe il confronto con la popolazione regionale nel suo complesso, ma di un contagio che ha avuto un luogo di origine e di diffusione ben preciso. Si dovrebbe riconoscere che lo sviluppo dell’epidemia dal suo sorgere all’estrema conseguenza dipende in gran parte dall’inizio, dal luogo dove si manifesta e dalla base numerica iniziale, come abbiamo dimostrato a proposito dei numeri del contagio

Per verificare il funzionamento delle strutture di cura non si deve guardare il rapporto tra popolazione e defunti, ma quello tra contagiati ad un momento dato che rappresenti l’inizio noto dell’epidemia e i deceduti ad un dato momento, per esempio quello scelto da Gabanelli-Ravizza per esprimere il giudizio di condanna della Lombardia.

Riscrivo con precisione pedantesca i conti, tanto temo di aver commesso anch’io un errore. Il rapporto deceduti/contagiati iniziali (quelli del 25 febbraio rispetto a quelli del 16 marzo) per la Lombardia è dato dalla divisione 11608:231=50,2. Spiego: i 231 contagiati hanno generato in 50 giorni quel numero di morti, cioè ciascuno ne ha “provocati” (statisticamente, non sto parlando di colpa) 50 ciascuno. La cosa funziona meglio in Veneto: 981:42=23,3. E in Emilia Romagna? 2843:26=109,3. Preso da questo punto di vista troviamo un indicatore che è il doppio di quello della Lombardia.

Obiezione! Mi dicono che io stesso ho avuto il sospetto che i numeri del 25 febbraio potessero essere sottostimati, riproviamo, come sopra con quelli del 9 marzo. Dagli allora 4490 positivi della Lombardia sono derivati 11608 deceduti, rilevando un indicatore 2,22; nel Veneto i 981 deceduti  derivano da 694 positivi, per un indicatore 1,41; nell’Emilia Romagna 2843 deceduti derivano  da 1286 positivi, per un indicatore 2,21.

Che significa ciò? Frettolosamente potremmo concludere che Lombardia ed Emilia-Romagna hanno lavorato con pari merito e che il Veneto invece ha fatto molto meglio. Ma no! Vera la prima affermazione, Lombardia e Emilia-Romagna sono a pari merito; errata la seconda; non ce l’ho con Zaia, ma devo osservare che i dati scontano una disomogeneità: il Veneto ha eseguito molti più tamponi delle altre due regioni, non solo in rapporto alla popolazione totale, ma specialmente rispetto ai positivi individuati, cioè sono stati esaminati molte più persone, delle quali, a quel giorno solo circa il 4% è risultato positivo, contro il 25% circa delle altre due regioni. Questo ha con certezza consentito di individuare come positivi, all’interno di un numero già molto meno importante delle altre due regioni,  una larga fascia di positivi asintomatici o paucisintomatici, che non hanno sviluppato patologie importanti e che quindi non hanno richiesto né ricovero ospedaliero, né terapia intensiva e non hanno causato decessi. Naturalmente considero questo comportamento virtuoso, perché ha consentito di impedire a costoro di essere ulteriormente contagiosi, ma l’asimmetria vanifica l’attendibilità del paragone tra il Veneto e le altre regioni in merito all’efficacia delle cure.

Potrei non avere ancora persuaso chi mi facesse osservare che comunque non posso negare la maggior percentuale di positivi e conseguentemente di deceduti della Lombardia. Partendo dalla premessa ormai accertata che i positivi presumibili alla data 21 febbraio, quella della scoperta del paziente 1, erano già molti di più delle poche unità accertate, i primi sviluppi hanno mostrato che il focolaio è stato essenzialmente lombardo e che si è diffuso a macchia d’olio, seguendo le rotte del lavoro, del commercio e dei rapporti istituzionali all’interno della Lombardia, con un primo travaso nella sola provincia di Piacenza. Aggiungo che le sfortunate province di Bergamo e di Brescia sono incappate in due manifestazioni di massa, simpatiche ma altamente contagiose, quando ancora non era stato segnalato il paziente 1: rispettivamente a Bergamo la partita dell’Atalanta e a Brescia la meno nota ma ancora più frequentata fiera di San Faustino. Non lo si sapeva, ma il virus già circolava.

Per non farla lunga non aggiungo altri particolari, anche perché non ho l’intenzione di prendermela con il Corriere o con il giornalismo d’inchiesta: sollevare scandali fa anche bene. Ma in questo caso mi sembra si profili il rischio della solita caccia all’untore, sbagliando colpevole o bersaglio. Ci sono stati in Lombardia errori, come ce ne saranno stati sicuramente anche in Emilia-Romagna anche se qui giornalisti e magistratura sembrano darvi meno attenzione. Ma sarebbe sbagliato scatenare una corrente di pensiero anti autonomistica e statalista, proprio quando ci saranno bisogno di tutte le forze per risollevarci da questa batosta, che temo sarà ancora più morale che economica. La risorsa da mettere in campo non è l’accentramento, lo statalismo, i poteri eccezionali che fanno scandalo se richiesti da destra e non sono nemmeno notati se vengono applicati di fatto dal Governo attualmente in carica senza  nemmeno farseli concedere dal più docile dei parlamenti. Questa risorsa si chiama  sussidiarietà e varrà per la sanità, per l’assistenza agli anziani e per la scuola, argomento quest’ultimo uscito dalla visuale di quasi tutti i critici e dei media, con la lodevole eccezione, caro direttore, di Tempi.

Costante Portatadino

Exit mobile version