Sono due le ricorrenze di questo mese che ci invitano a riflettere sulle origini della nostra Repubblica: il 25 aprile, data in cui festeggiamo l’anniversario della Liberazione, e il 7 febbraio, il giorno del 1945 in cui si consumò l’eccidio di Porzûs. Quest’ultimo costituisce un episodio poco conosciuto della storia della resistenza partigiana, eppure è emblematico per capire le diverse anime del fronte (tutt’altro che compatto) che si opponeva al nazifascismo. Proprio a questa vicenda e alle Formazioni Osoppo è dedicato il libro Porzûs e la Resistenza patriottica di Matteo Forte, consigliere comunale di Milano laureato in storia. Il libro è stato presentato mercoledì 19 aprile alla Casa della Memoria a Milano alla presenza dell’ex sindaco Giuliano Pisapia, del consigliere Stefano Parisi e Roberto Volpetti della Federazione italiana volontari della libertà.
BRIGATE OSOPPO. Prendendo spunto da questa vicenda, Pisapia ha sviluppato una riflessione sulla necessità di riscoprire la natura multiforme della resistenza e il contributo alla liberazione da parte di gruppi diversi, non solo comunisti. Come racconta Forte nel suo libro, le Brigate Osoppo utilizzavano metodi non condivisi da altre formazioni partigiane: promuovevano lo scambio di prigionieri con la mediazione della Curia, avevano creato scuole per educare alla politica, ricorrevano alla violenza solo come estrema ratio e progettavano una democrazia in cui ci fosse spazio per ogni formazione.
PACIFICAZIONE NAZIONALE. Basandosi sul confronto con il passato, secondo Stefano Parisi oggi la politica è degenerata perché non è stata in grado di traslare i valori della resistenza partigiana in un progetto di pacificazione nazionale: il nostro panorama politico è molto frammentato, diviso tra fazioni che si combattono a vicenda delegittimando l’avversario, avendo perso il senso civico e il rispetto verso le istituzioni. Guardare alla vicenda di Porzûs deve servire a ricordare la necessità di superare le divergenze perché gli strumenti possono essere diversi, ma l’obiettivo finale deve essere condiviso da tutti. Soprattutto in un momento storico in cui c’è bisogno di un solido senso d’identità nazionale che non si pieghi ai nuovi emergenti movimenti estremisti.