Contro le fake news, solo l’autorevolezza (sì, aveva ragione la nonna di Eco)

Cronaca dell'incontro milanese con Bellini e Maddalena. A chi credere nell'era della post-verità?

Bisogna ringraziare l’associazione culturale Esserci e il Centro culturale francescano Rosetum per avere preso l’iniziativa di proporre un incontro pubblico sul tema “Post-verità & Fake News: la fiera dell’inganno” e di invitare a parlare due docenti universitari capaci di affrontare l’argomento fuori dagli schemi rigidi della comunicazione accademica: Giovanni Maddalena, docente di filosofia della comunicazione all’università del Molise, e Pier Paolo Bellini, docente di sociologia della comunicazione della stessa università. In apertura Pietro Piccinini di Tempi ha impostato il tema, ricordando che nel novembre scorso l’Oxford Dictionary ha nominato parola dell’anno l’espressione “post-truth”, cioè post-verità, definita come termine che serve a connotare «circostanze in cui i fatti obiettivi influiscono sull’opinione pubblica meno degli appelli alle emozioni e alle convinzioni personali». Nel mondo contemporaneo, insomma, non conta più se una cosa è vera o falsa, ma se fa opinione, se è condivisa, se riesce a fare incetta di “like”. Tuttavia la scelta di “post-verità” come parola dell’anno suggerisce che sia insorto un senso di ribellione contro le conseguenze di quell’egemonia culturale che ha imposto di credere che “la verità non esiste” o che “credere in una verità porta alla violenza”. Suggerisce un sussulto di consapevolezza del fatto che se perdiamo interesse nella verità ci resta solo il sentimento, l’opinione, la voglia, il desiderio, la volontà e quella che lo scrittore Bret Easton Ellis definisce “l’economia della reputazione”: piacere diventa più importante che essere veri e affermare il vero.

FAKE NEWS. Ma l’occasione sembra già essere andata sprecata, ha detto Piccinini, perché il dibattito anziché focalizzarsi sulla questione della verità ha tradotto l’allarme per la sua scomparsa in un allarme per la comparsa delle “fake news”, le false notizie diffuse soprattutto via i social network di internet. In conseguenza di ciò si parla solo di provvedimenti contro le false notizie: squadre di “controllori di fatti” per etichettare le notizie “controverse” su Facebook, proposte di legge in Germania per multare chi diffonde notizie false su internet, la proposta (da parte del presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato Giovanni Pitruzzella) della creazione di una “Agenzia europea della verità”, ecc. Più che un amore per la verità, queste iniziative fanno pensare a una rinnovata lotta di potere per stabilire chi debba avere il monopolio di decidere che cosa è vero e che cosa è falso. Interessa il potere di decidere cosa sono i fatti, non i fatti, tanto meno la verità. E allora, in un mondo di post-verità e di tentativi autoritari di riprendere il controllo della comunicazione, ha ancora senso la domanda intorno alla verità? E come ci si può orientare immersi in un sistema mondiale dell’informazione che produce incessantemente disinformazione? Quali criteri bisogna avere?

TUTTO È SENZA SENSO. Giovanni Maddalena ha spiegato che in realtà le fake news sono sempre esistite e hanno influito fortemente sulla storia politica universale. Dalla diffamazione sistematica di Maria Antonietta propedeutica alla Rivoluzione francese, al dispaccio di Ems con cui Bismarck innescò la guerra franco-prussiana del 1870, alle inesistenti fosse comuni di Timisoara negli ultimi giorni del regime di Ceausescu in Romania, le false notizie hanno determinato i destini della politica. A riportare al centro del dibattito la questione della verità non è stato l’amore per la verità, ma lo sbigottimento di coloro che controllano il sistema dei media negli Stati Uniti all’indomani del risultato delle elezioni presidenziali che hanno dato la vittoria al candidato opposto a quello che era sostenuto da loro attraverso il 98 per cento dei media mainstream. Quello stesso sistema dei media che aveva assorbito e fatta propria l’ermeneutica del pensiero degli ultimi quarant’anni, che impone di liberarsi del peso di una verità e di una realtà oggettive. Il postmodernismo (così chiamiamo quell’ermeneutica) ci ha insegnato che non solo non ci si deve più riferire a realtà metafisiche (Dio) come fondamento del pensiero e dell’esistenza, ma nemmeno alla ragione così come l’illuminismo l’ha intesa. Non ha più senso proporre un progetto di compimento degli esseri umani, che si basi su Dio o sulla sola ragione o sulla fiducia in una realtà oggettiva. Di tutto abbiamo visto il fallimento, dobbiamo accettare di vivere in una realtà contingente priva di senso, non c’è nulla su cui ci si può appoggiare, anche il nostro pensiero è pensiero debole. Su queste posizioni troviamo Gianni Vattimo, Richard Rorty e Jacques Derrida, che ha avuto molta influenza sia in Francia che negli Usa. È lui che teorizza che bisogna prendere le distanze da tutto ciò che è forte (pensiero, relazioni, ecc.) perché inevitabilmente sfociano nella violenza, in sistemi violenti imposti alle persone. Non esiste la realtà, esistono solo interpretazioni, è più queste interpretazioni sono destrutturanti, meglio è.

REALISMO SENZA SIGNIFICATO. Il mondo della post-verità, spiega Maddalena, è nato su queste basi. Ma oggi si trova di fronte al problema che i vantaggi politici di questa posizione sono scivolati via dalle mani di chi l’aveva promossa e sono finiti nelle mani di altri. Tuttavia già prima di questa recente svolta nel mondo della filosofia il vento aveva cominciato a cambiare. Oggi si torna a teorizzare un mondo di dure verità, un ritorno al realismo, ma privato della questione del significato. Il neo-realismo che si affaccia offre un approccio tecno-scientifico alla realtà e parte dalla premessa che le questioni di senso non ci interessano. È interessato solo a prevedere i comportamenti attraverso la gestione di grandi quantità di dati. La realtà è fatta di dati, che analizzati in maniera scientifica ci permettono di prevedere infallibilmente il futuro. Il nuovo realismo è un nuovo determinismo.

LA TIRANNIDE DELL’OPINIONE. Bellini ha iniziato il suo intervento proponendo la versione sociologica delle posizioni di Vattimo e di Derrida, che le ha in realtà cronologicamente precedute. Fra la fine degli anni Venti e la fine degli anni Quaranta William Thomas e Robert Merton mettono a punto concetti che ritroveremo più tardi: «Se gli uomini definiscono le situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze» (Thomas); «Gli uomini rispondono non solo alle caratteristiche oggettive di una situazione, ma anche, e a volte soprattutto, al significato che questa situazione ha per loro» (Merton). A Merton è dovuta la definizione di profezia autoavverantesi (self-fulfilling prophecy): «Definizione falsa della situazione, che suscita un comportamento nuovo che rende vero il concetto falso di partenza». Il fatto nuovo dell’età contemporanea è che la produzione di false notizie non è più centralizzata nelle mani del potere o di oppositori organizzati, ma è alla portata di tutti grazie a internet e ai social media. Con l’avvento di questi ultimi è cambiato il criterio della credibilità di un’affermazione o di una notizia: non dipende più dall’autorevolezza della fonte, ma dalla viralità della sua diffusione, cioè al criterio qualitativo si è sostituito un criterio quantitativo. La tirannia dell’opinione, preannunciata da Tocqueville, si è materializzata.

COME RESISTERE? Come difendersi da tutto questo, come resistere? Nella seconda parte del suo intervento Bellini ha cercato di rispondere a queste decisive domande. C’è il tentativo di risposta delle istituzioni, che consiste nel riprendere in mano il controllo della comunicazione attraverso leggi come quella che la Germania vorrebbe introdurre. E c’è il tentativo tecnologico di Mark Zuckerberg (il creatore di Facebook), che promette che algoritmi sempre più sofisticati schermeranno i contenuti inadatti o osceni. Ma le risposte sostanziali riguardano altro. Riguardano la conservazione del cuore dell’uomo come urgenza di verità, ovvero la difesa della ragione. Ciò può essere più facilmente ottenuto facendo presente ai manipolatori che le Fake News, è stato dimostrato, non spostano consensi: semplicemente confermano i pregiudizi già esistenti.

PIU’ BESTIE DEGLI ALTRI. Quindi c’è la necessità di un contesto umano che sostenga il cuore/ragione del singolo. Qui torna il tema dell’autorevolezza, di cui ci si era già resi conto in passato, quando ci si era accorti che i contenuti veicolati da radio, tivù e giornali non sempre avevano l’effetto che ci si prefiggeva, perché fra gli ascoltatori c’erano opinion leader riconosciuti, capaci di fare accogliere o far respingere i messaggi da parte dell’opinione pubblica. Il venir meno di personalità autorevoli all’interno delle comunità umane, sostiene Bellini, è la radice del populismo.
Infine c’è il ruolo che gioca quel “di più” che è nell’uomo, cioè il coraggio della religiosità, di un cristianesimo vissuto come supporto di una ricerca della verità. A corredo di quest’ultimo punto Bellini ha riproposto un intervento di monsignor Luigi Giussani del 1994 a commento di un volantino del Clu, entrambi molto attinenti alle questioni oggi sul tappeto. Nel volantino, intitolato “La forza del falso”, si leggeva: «Complimenti a Umberto Eco: a sentirlo, la storia s’è mossa solo perché qualcuno voleva giocare e, a seconda dei secoli, ha operato finte donazioni, finte sette segrete, finti regni d’oltre confine, finte cosmologie, finte alchimie; e tutto questo “finto” ha creato qualcosa: Sacro Romano Impero, scoperte geografiche e astronomiche, la chimica, ecc… Allora, se tutto è un giro di giostra, perché e per chi esiste l’Università? Perché noi studenti facciamo l’Università? Abbiamo bisogno di lavorare, sposarci, fare soldi, figli: perché perdere cinque-sei anni dentro questo box di giochi falsi? Perché? Per la forza che in sé ha il falso? Nove secoli fa l’Alma Mater bolognese non nacque per il divertimento (per questo c’erano ancora vino buono e bordelli); era, invece, per un’educazione ad “aver fame e sete”; era per fame e sete di verità, non di falsità. È questo che vogliamo imparare: avere fame e sete. Questo è ciò che vogliamo ci sia insegnato! Aveva ragione la nonna di Eco: “Studiano, studiano, e sono più bestie degli altri”».
Ed ecco il commento di don Giussani: «Vorrei adesso sottolineare perché sono così entusiasta di questa risposta. L’essere, ciò che esiste, indica positività, la realtà tutta indica positività. Chi partisse col giudizio: “La realtà è un falso”, è falso lui, perché la realtà non si presenta all’uomo come falso: si presenta come “è”, si presenta cioè come positività. Non si può dire: “La realtà è falsa”, se non con un’immagine che tu, dal tuo cuore infelice, crei, obiettandola a una realtà in cui c’è il sole, ci sono le stelle, il padre, la madre e, soprattutto, c’è questo desiderio inesauribile di felicità, di bellezza, di amore, in cui la stoffa del nostro respiro — il nostro respiro di uomini — consiste. Ma come mai corbellerie o idee così strane possono diventare saggezza comune da determinare tutta la cultura che riempie giornali, televisioni, libri? È così perché gli inventori di essa hanno avuto il sostegno del potere. Come faremo noi a resistere, a “riprendere”? Solo la compagnia tra noi può sostenere non il rischio, ma il coraggio del singolo. Ma una compagnia che tutta quanta si esaurisca nel sostenere la ripresa del singolo non può essere trovata tra gli uomini; tra gli uomini soli. Occorre la presenza di qualcosa d’Altro, la presenza di un Altro, la presenza di un uomo che è più che uomo: Dio diventato uno fra noi per coagulare questa solidarietà che rafforzi e renda capaci di riprendere continuamente la via al vero e al bene attraverso una fatica comune. Questo è tutto».

@RodolfoCasadei

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