Consigli politici per una campagna elettorale sostenibile

I programmi non bastano, urgono uomini degni. Ho detto ad alcuni giovani di destra: è la qualità di un uomo che conferisce un rango alle parole che pronuncia, non il contrario

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Chi sono io, per dare consigli politici a una turba di aspiranti candidati e ricandidati, o a un ceto di mandarini irrequieti che s’incamminano verso la più insondabile delle campagne elettorali italiane, sul declinare della più brutta legislatura che si ricordi? Io, nessuno. Ma ciò non significa, anzi, che questo non sia il momento più opportuno, lancinante e confuso com’è, per ricorrere al saggio consiglio degli antichi. Qui a Tempi, abbiamo appena lanciato una sfida culturale al paesaggio di centrodestra che si sta ripopolando di più o meno probabili leader, figure di governo, giovani emergenti e vegliardi inaffondabili (a cominciare dal signore di Arcore). Presto costoro annunceranno un programma condiviso per tornare al potere, avvalendosi degli altrui errori e della propria riconquistata centralità. Ma i programmi non bastano, urgono personalità e uomini degni. Come ho detto pochi giorni fa ad alcuni giovani uditori di destra: è la qualità di un uomo che conferisce un rango alle parole che pronuncia, non il contrario.

Le parole che seguono, e che sostanziano l’editoriale della settimana come il direttore non saprebbe fare, sono di Plutarco di Cheronea, sacerdote di Apollo, amico delle Muse e amante della giusta misura. Fatene tesoro, se potete.

«Prima di tutto è fondamentale che la scelta di entrare in politica abbia come base stabile e solida una motivazione fondata sul giudizio e sulla ragione, e non un capriccio improvviso dettato da vanagloria, ambizione o mancanza di altre occupazioni. Chi non ha niente di bello da fare a casa sua passa la maggior parte del tempo in piazza, anche senza motivo: così c’è chi si dà alla vita pubblica perché è libero da altri impegni personali che meritino di essere seguiti, prendendo la politica come una sorta di passatempo. Frequente è anche il caso di chi s’è accostato alla vita pubblica in modo casuale e, quando non ne può più, fatica a tirarsene fuori… Non si deve intraprendere la vita pubblica allo scopo di trafficare o lucrare… Quelli infine che, per entrare nella lotta politica o rincorrere la popolarità, indossano, come gli attori a teatro, i panni di un personaggio, si espongono a fatali pentimenti, perché finiscono per diventare servi di coloro a cui credono di comandare o per indisporre quelli che vorrebbero compiacere. Credo che la politica sia come un pozzo: chi vi cade dentro accidentalmente, e inaspettatamente, è preso da angosce e rimorsi, mentre chi vi scende con la tranquillità che gli deriva dalla preparazione e dalla riflessione, affronta gli impegni con senso di misura e niente lo può esacerbare, perché è il bene, e nient’altro, il fine della sua azione… Ogni carica pubblica è qualcosa di sacro e di grande e chi la riveste deve tributarle il massimo onore; ma questo onore, molto più che nelle corone o nella clamide orlata di porpora, consiste nella concordia e nella amicizia con i colleghi. Chi pensa che l’essere stati militari o efebi assieme possa dare vita a un’amicizia, ma ritiene che l’essere colleghi di comando o di magistratura sia fonte d’inimicizia, non si sottrae a uno di questi tre mali: o fa guerra ai colleghi ritenendoli suoi pari, o ne è geloso perché li vede più importanti di lui, o li disprezza come inferiori. Bisogna invece riverire i superiori, mostrare considerazione verso gli inferiori, onorare i pari grado ed essere con tutti affabili e premurosi, partendo dall’idea che sono divenuti amici non intorno a una tavola, davanti a una coppa o accanto al focolare, ma per voto comune del popolo, e che hanno, in certo modo, come patrimonio il consenso loro tributato dalla patria». (Consigli politici, in Tutti i moralia, a cura di Emanuele Lelli e Giuliano Pisani, Bompiani 2017).

@a_g_giuli

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