Compito della scuola è offrire orizzonti di speranza

L’essenzialità della scuola trova fondamento nella sua appartenenza alla comunità di cui è strumento ideale ed operativo di educazione

Ha ragione don Antonio Villa quando afferma che il problema “scuola” non è dato dai banchi con le rotelle, e nemmeno dal confusionario ed inconcludente approccio ministeriale alla situazione attuale conseguente al Covid-19, bensì dal bisogno degli studenti «di avere “guide sicure” che abbiano a conoscere la “risposta” alle domande: “cos’è la vita e cos’è la scuola”; un binomio inscindibile esattamente come anima e corpo, educazione e istruzione. Domande che lo Stato non conosce e non gli interessa conoscere».

Di fronte a queste osservazioni fatte da chi vive e sperimenta la scuola in prima persona, ineludibile sembra una domanda: perché la scuola cattolica – riconosciuta paritaria – sovente non è scuola dove si educa in maniera peculiarmente cristiana, ma si riduce spesso ad un qualunquismo pedagogico? È una domanda alla quale non sempre sappiamo rispondere, sulla quale, tuttavia, è necessario riflettere. Ma prima di tutto occorre chiedersi quali ragioni spingono a porre il problema e quali presupposti guidano e condizionano la riflessione.

Una premessa

L’essenzialità della scuola trova fondamento nella sua appartenenza alla comunità di cui è strumento ideale ed operativo di educazione. Interrogarsi sulla funzione e sul carattere della scuola cattolica significa individuare come una istituzione scolastica possa assumere e svolgere la missione nell’ambito della sua particolare funzione educativa. In quale misura, cioè, e a quali condizioni una scuola possa considerarsi soggetto culturale e educativo.

La crescita della persona, il raggiungimento, cioè, della sua pienezza, avviene attraverso scelte storiche. Esse vengono compiute in riferimento a valori ideali che rendono ragione della tensione vitale sperimentata da ogni uomo. Senza criteri precisi e senza riferimenti autentici, non c’è educazione, ma soltanto conformismo e relativismo provocati da una concezione confusa di “uomo”: cioè il contrario dell’educazione, che è cammino verso la consapevolezza di sé e verso la capacità di discernere e di giudicare la realtà sulla base di parametri unitari condivisi. In quest’ottica, per la scuola cattolica, ha corpo e significato la “tradizione cristiana”.

Se la tradizione ha una funzione insostituibile nella trasmissione dell’esperienza storica che costituisce l’educazione delle nuove generazioni, si comprende quale significato abbia una “scuola cattolica”. Essa intende raccogliere e trasmettere la ricchezza umana come si è formata, enucleata ed espressa lungo i secoli nelle comunità che hanno costituito la Chiesa cattolica.

La scuola “cattolica” indica, appunto, nel suo stesso titolo di riferimento storico, le sue scelte vitali: cioè la tradizione cristiana, sorta da Gesù di Nazareth, tradizione viva che ha dato prova di sé lungo due millenni. È in questo riferimento che la scuola cattolica manifesta la sua identità: una scuola non potrebbe dirsi cattolica se la persona e il messaggio di Cristo non fossero al centro del suo progetto educativo. «Il suo servizio e la sua ragion d’essere si radicano nella missione apostolica per formare degli uomini, aprendoli al Vangelo di Cristo» (P. Poupard).

Il condizionamento culturale

Il condizionamento culturale ed educativo della scuola cattolica – come ebbe ad evidenziare Felice Crema, ricercatore di Storia della Pedagogia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – ha avvio inizio nel 1955, con l’affronto dei temi sensibili di prospettiva sociale, dove i “principi immutabili” vengono certamente riconfermati ma appaiono ininfluenti sugli orientamenti operativi e sulle scelte per il governo del sistema. In quest’ottica, la concezione dello Stato, non più concepito come vertice di una piramide sociale (famiglia, comunità stato), tutte, secondo il principio di sussidiarietà, responsabili di rispondere ai bisogni sociali (pubblici). 

Lo Stato viene sempre più percepito come lo strumento più efficace per operare per il miglioramento (progresso…), e per questo è chiamato ad operare tanto sugli aspetti pubblici, quanto, e non solo moderatamente, sugli aspetti privati dei bisogni emergenti, anticipando l’intervento e non soltanto rispondendo a domande formulate dagli interessati. Uno Stato quindi non più solo regolatore delle comunità intermedie, ma con crescente responsabilità diretta nel rispondere ai bisogni individuali. L’invadenza della secolarizzazione, col passare del tempo sempre più soffocante, ha destrutturato la situazione sociale, prima fondata sulla tradizione cristiana. Venne così a verificarsi l’occupazione dello Stato, che ebbe a contagiare anche i cattolici, tanto che pian piano sono andati ad ignorare progressivamente le affermazioni di principio.

In pochi anni – evidenziò Felice Crema – la prospettiva culturale rappresentata dall’attivismo diviene il riferimento ordinativo della politica scolastica. La legge istitutiva della scuola media unica dell’obbligo rappresenta la più completa espressione di questa scelta e non a caso diventa il riferimento di tutte le riforme successive. La centralità del fine educativo della scuola, il considerare le condizioni sociali presenti “condizionamenti” da contrastare, e l’attribuzione alla scuola il compito esplicito di favorire il cambiamento sociale ritenuto necessario per il futuro accanto all’enciclopedismo dei programmi, sono tuttora segni evidenti di cambiamento pedagogico ed educativo. Viene favorito il principio del “sapere”, e ridimensionato, se non addirittura escluso, il principio dell’”essere”.

Con questo condizionamento culturale – non a caso la struttura scolastica e il suo sistema dipende esclusivamente dal Ministero e del suo continuo incerto modificarsi – la scuola cattolica deve porsi il problema di riprendere a fare cultura in un contesto di fede, consentendo che, tramite essa, i giovani possano fare un’esperienza autenticamente umana, nel senso di poter cogliere l’unitarietà del sapere ed essere sollecitati alla ricerca della Verità tramite l’intuizione e la partecipazione all’opera culturale. «L’attività culturale e educativa serve per costruire un’esperienza di comunità, quella esperienza che è condizione attraverso la quale si compie la formazione dell’uomo» (J. Maritain). Tale attività tuttavia si appiattisce sui luoghi comuni, su una generica educazione, si disperde in una pluralità di proposte che esistono anche in altri settori, se nella sua realizzazione, in nome dell’accoglienza, si accantona la dimensione evangelizzatrice.

«L’aver separato il momento della cultura come senso dell’esistenza dalla cultura come sapere, è stata una gravissima operazione contro l’unità della persona, e quindi la sua formazione integrale» (L. Negri). Qui sta la ragione sia di una certa flessione educativa, data dall’obbligo di uniformarsi agli orientamenti del sistema nazionale scolastico, sia ancora di un sempre più  importante impegno per la “libertà di educazione” e di “proposta educativa” che fa incontrare le due libertà – dei genitori e degli insegnanti – sulla base di un preciso orientamento educativo.

Condizionamenti strutturali

Sul condizionamento culturale va infine evidenziato come nella nostra società sia profondamente radicato il concetto secondo il quale si educa dando informazioni di ogni genere anziché dare dei modelli concreti su cui uniformarsi ed uniformare la propria personalità. Da qui i mali di tutta la scuola italiana. Da qui i mali anche della scuola cattolica – la scuola è fatta di persone che spesso subiscono più dei propri figli e alunni le influenze negative di certa mentalità – che non riesce, o comunque trova forti difficoltà, ad uscire da un vortice di confusione e spesso di dissacrazione nel quale sembra essere impantanata anche la stessa comunità cristiana, di cui la scuola cattolica dovrebbe essere concreta espressione.

Quella comunità che, invece, aspetta la qualificazione della scuola di Stato come condizione ottimale per qualificare la scuola libera cattolica, e ciò senza capire non solo che il processo può essere inverso, ma che questo particolare momento sembra essere favorevole e adatto a fare della scuola cattolica un strumento vero di fermento, di esempio, di proposizione per l’intera comunità civile, e perciò anche per la stessa scuola statale. Sono entrambe bisognose di profonde cure!

Un vortice che – pur senza fare generalizzazioni pretestuose, vi sono grandi e preziose “eccellenze”, tuttavia il problema esiste perché non si può negare che nell’arcipelago “scuola” vi siano anche scuole pedagogicamente insufficienti – non permette alla scuola cattolica di essere compiutamente se stessa. E ciò in virtù anche di condizionamenti strutturali: condizionamento economico dovuto alla continua inadempienza dello Stato; il permanere di condizioni normative che ne frenano l’impegno; il venir meno di sacerdoti e religiose, non facilmente sostituibili da personale laico; un approccio culturale spesso in insufficiente connessione tra discipline, didattica, metodi e contenuti dell’insegnamento e la proposta educativa cristiana; un abbandono sempre più problematico dell’impegno educativo scolastico da parte degli ordini religiosi (spesso lasciano la scuola per altre modalità impegnative, venendo meno alla missione evangelizzatrice caratterizzante la loro nascita); la scarsa – va detto – attenzione da parte di molti sacerdoti e della stessa comunità cristiana all’opera missionaria di evangelizzazione attraverso la scuola cattolica.

Purtroppo molti operatori di scuola cattolica non riconoscono il limite dato dalla presente organizzazione di Stato, e vanno – come denunciato da don Villa – «a cozzare contro l’illogico e satanico muro del “senza oneri per lo Stato”, e, fracassandosi la testa, dimenticano che non è problema di soldi, è un problema di identità!». È problema di libertà!

Compito specifico della scuola cattolica

Da qui l’inevitabile passaggio ai compiti della scuola in linea con le prospettive culturali ed esistenziali sopra evidenziate. In quest’ottica vanno ricordate le parole del Santo Giovanni Paolo II: «La vera cultura è umanizzazione, mentre la non cultura e le false culture sono disumanizzanti. Per questo nella scelta della cultura, l’uomo gioca il suo destino». Ecco che allora la scuola cattolica deve aiutare i giovani ad acquisire quella cultura che è radicata in Cristo: cioè aiutare i giovani a pensare e agire secondo Cristo. Questa è la cultura che è capacità di affrontare criticamente il problema del significato della vita, e che esprime anche la capacità attorno a tale valore tutti gli aspetti della personalità umana, senza censure né umiliazioni.

Rivolgendosi ai giovani, Giovanni Paolo II ebbe a dire: «La vostra è l’età della domanda suprema “che senso ha la vita?” e conseguentemente “che senso ha la storia umana?. Solo Cristo è la risposta adeguata ed ultima alla domanda suprema circa il senso della vita e della storia».

Ne consegue che compito specifico della scuola cattolica è quello di educare l’uomo nella totalità dei suoi fattori costitutivi. La proposta deve essere chiara. Non è facile, ma necessario. Poi sarà l’alunno, il giovane, a farla propria o a rifiutarla, giocando di fronte ad essa la propria libertà. Oggi i giovani sembrano non sapere più dare un nome alle domande di senso più profonde. Una volta ucciso Dio non resta che il nulla, invece occorre far comprendere che c’è una risposta. Essi vanno aiutati a scoprire orizzonti di speranza.

«Le istituzioni educative cattoliche – papa Francesco ebbe ad evidenziare all’incontro con i giovani dei collegi della Compagnia di Gesù, nel 2015 – hanno la missione di offrire orizzonti aperti alla trascendenza. E’ necessario educare umanamente, ma con orizzonti aperti. Il tema dell’educazione è strettamente connesso con l’evangelizzazione, l’annuncio di una Parola che apre gli orizzonti. Il contributo dell’educazione è seminare speranza: sono convinto che i giovani di oggi hanno soprattutto necessità di questa vita che costituisce i futuro: da qui l’invito a mettersi in ascolto dei giovani».

È opportuno riflettere su ciò che è specifico delle nostre istituzioni cattoliche. Come possono esse contribuire al bene della società attraverso la missione primaria della Chiesa che è evangelizzare? Ecco che allora l’interrogarsi diventa esercizio necessario ed indispensabile per ritrovare le giuste motivazioni e le corrette strategie, tutte tese, non a catturare allievi, ma a promuovere un aiuto concreto affinché essi possano trovare i dovuti sostegni e le necessarie risposte tese al conseguimento delle condizioni ideali per una crescita significativa.

Foto Ansa

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