«Il cinema italiano non sarebbe quello che è se non ci fosse stata Mediaset»

La presentazione a Milano di un libro che racconta la vicenda imprenditoriale berlusconiana. Tra successi, pregiudizi e l'impresa di «portare la concorrenza» in un settore dove non c’era

Da sinistra: Gianni Canova, Giampaolo Letta, Rocco Moccagatta, Franco Debenedetti, Paola Jacobbi, Giacomo Manzoli, Filippo Cavazzoni

Mediaset protagonista nella storia del cinema italiano attraverso un caso di libera intrapresa che ha segnato a livello economico, industriale e culturale un intero Paese. Non dovrebbe essere una notizia, ma in Italia può succedere che lo diventi. Specie se all’origine di questa storia c’è un imprenditore di nome Silvio Berlusconi.

A ricordare come mai questa vicenda quarantennale, operata attraverso tre sigle societarie (Reteitalia, Penta e Medusa), è stata troppo spesso «trascurata, elusa e addirittura accantonata» tra pregiudizi e diffidenze è un libro, edito da Mondadori Electa, che si intitola Mediaset e il cinema italiano. Film, personaggi, avventure.

Da Mediterraneo a La grande bellezza

Presentato in occasione di un evento organizzato dall’Istituto Bruno Leoni a Milano, il libro è curato dal critico cinematografico nonché ordinario di Storia del cinema e rettore dell’Università Iulm, Gianni Canova, e dal suo collega nel medesimo ateneo, Rocco Moccagatta, esperto di cinema e business televisivo. Il contenuto è uno studio che ricostruisce, anche attraverso testimonianze di produttori, registi e addetti ai lavori, le tappe di questa storia e gli impatti di un catalogo che ad oggi conta circa 600 titoli prodotti o finanziati, che spesso si sono tradotti in successi commerciali, non ultimo La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, vincitore di un Oscar, come era stato per Mediterraneo di Gabriele Salvatores.

Oltre agli autori, alla presentazione, sono intervenuti Franco Debenedetti, presidente dell’Istituto Bruno Leoni e il vicepresidente e amministratore delegato di Medusa Film, Giampaolo Letta, insieme a Paola Jacobbi, giornalista e critica cinematografica e a Giacomo Manzoli, ordinario di Cinema, fotografia e televisione all’Università di Bologna, coordinati da Filippo Cavazzoni, direttore editoriale dell’Ibl.

Non solo Rai

«Guardo poco la televisione e vado al cinema di rado, non per snobismo semmai per pigrizia», ha esordito Debenedetti, ricordando tuttavia come il piccolo e il grande schermo siano stati il suo «primario oggetto di interesse, politico ed economico» tra il ’94 e il 2001 quando era senatore per i democratici di sinistra. «Erano gli anni, da un lato, della competizione politica con il Cavaliere e, dall’altro, delle privatizzazioni e liberalizzazioni dei mercati», ha osservato il presidente dell’Ibl, sottolineando come a quell’epoca, quella della «televisione di stato», «contro l’avvento della tv commerciale ci sia stata una specie di guerra di religione».

Circostanza che di fatto «non ha permesso di riconoscere a Berlusconi di aver contribuito a realizzare forse la più importante delle liberalizzazioni e privatizzazioni, per certi aspetti ancor più di quanto non lo siano state quelle che hanno interessato i monopoli delle strade e del petrolio». Ed è ancora oggi «importante», ad avviso di Debenedetti, «parlare di Mediaset se non si vuole alimentare il ritornello che vede la Rai come maggiore impresa culturale del Paese: non si può dimenticare la valenza qualitativa delle imprese di Berlusconi».

Anche registi di sinistra

Ecco perché i curatori hanno scelto, attraverso un lavoro di archivio importante e un ampio repertorio fotografico, di «colmare un vuoto che non rendeva onore alla storia del cinema italiano, ricostruendo una vicenda finora raccontata soltanto in modo parziale o distorto», ha esordito Canova, convinto che «il cinema italiano degli ultimi quarant’anni non sarebbe diventato quello che è se non ci fossero stati i tre marchi di Mediaset a produrre e distribuire film». Compresi quelli di registi che, se non esplicitamente schierati a sinistra, si sono comunque dimostrati critici nei confronti di Berlusconi, come «Nanni Moretti, Benigni, Tornatore, Bertolucci o Scola», ha sottolineato.

L’idea del libro, che all’attenzione dei vertici di Mediaset è stata proposta dal reparto dedicato al marketing strategico, in particolare da Fabio Guarnaccia e Federico Di Chio, come ha raccontato Moccagatta, «ha il merito e la lungimiranza di raccontare fatti che, talvolta persino in azienda, erano ormai sconosciuti ai più. Credo ne sia risultata un’opera previdente anche in vista del futuro, per fare “quadrato” intorno a una memoria che altrimenti correrebbe il rischio di sfaldarsi per sempre. Per farlo abbiamo dovuto guardare anche “sotto i tappeti”, spaziando dagli esordi di Reteitalia alla joint venture di Penta con Cecchi Gori, dall’idea berlusconiana di costruire una major italiana in grado di spaziare dalla produzione alla distribuzione e fino all’home video e che ha avuto in una figura come Carlo Bernasconi forse il suo primo vero interprete. E infine Medusa».

«Bellissima l’intervista a Enrico Vanzina», ha notato Jacobbi parlando di come questo libro «ci ricorda che il cinema è innanzitutto dei produttori»; un’«intervista in cui racconta come venne scelto quale figura “super partes” tra Cecchi Gori e Berlusconi, per fare il direttore artistico di quella joint venture di Penta: e racconta di esserci riuscito, almeno per un po’, e salvo poi essersi stufato di farlo. E dove ripercorre la genesi di Mediterraneo che, come purtroppo spesso capita, ha prima rischiato di essere un progetto orfano di padre salvo poi trovarne un sacco, ma solo dopo il successo».

Portare la concorrenza

Del «tentativo, fino ad allora inedito, di fare cinema confrontandosi con il mercato, quando l’unica forma di finanziamento conosciuta era quella pubblica», ha parlato invece Manzoli: un tentativo che, attraverso produzione e distribuzione, di fatto, «segnò l’origine del duopolio Rai-Mediaset», ha aggiunto, sottolineando come Berlusconi non abbia voluto ricorrere «né ai capitali di Stato né ai capitali americani», peraltro in anni in cui «non mancavano autori vicini al Partito comunista che prendevano serenamente soldi erogati dal governo Andreotti». E ancora: «Qui inizia la varietà dei generi e l’idea di un cinema popolare che sia comunque in grado di restituire la trasformazione del costume in modo intelligente». Fino ad ottenere un catalogo in cui a fianco di Sorrentino c’è Checco Zalone.

«Orgoglioso e grato», oltre che per aver contribuito al libro, per fare parte, attivamente, di questa storia si è detto Giampaolo Letta, sottolineando come, peraltro, Berlusconi abbia contribuito a «portare la concorrenza» in un settore dove non c’era, lui che ancora oggi viene, invece, «accusato di averla uccisa»; e di aver portato nella televisione italiana, che all’epoca «faceva solo sceneggiati, diversi nuovi generi, dalle soap opera alle serie tv».

L’ad di Medusa ha infine colto l’occasione per ringraziare chi insieme a lui oggi prosegue in quest’opera e per vincere nuove sfide nell’era delle piattaforme digitali: «Ci lavoriamo ogni giorno, in un contesto sempre più difficile che, se possiamo affrontarlo, è perché siamo una squadra competente, composta da professionisti che di certo non si risparmiano».

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