Cina. «A Wuhan viviamo come nelle comuni di Mao: cambia solo WeChat»

Torna la «vita collettiva» in Cina: divisione delle famiglie in unità residenziali, sorveglianza costante dei funzionari di quartiere, attività patriottiche. Tutto gestito tramite app

«È stato come tornare agli anni Sessanta, ai tempi di Mao Zedong, quando vivevamo nelle comuni popolari: allora c’era chi si occupava di tutto, ma non avevi molta scelta». È questo il paragone che Jiang Hong, 75 anni sulle spalle, utilizza per descrivere la vita a Wuhan, capitale dell’Hubei ed epicentro della pandemia di coronavirus in Cina, durante la quarantena.

VITA COLLETTIVA GESTITA TRAMITE APP

Create da Mao nel 1958 all’epoca del Grande balzo in avanti, le comuni erano la principale divisione amministrativa delle campagne e svolgevano funzioni politiche, economiche e amministrative. Allora la vita si svolgeva collettivamente, il lavoro era assegnato dai leader e la mensa era in comune. Cucinare in casa era vietato e considerato inutile.

Se allora il Partito comunista si serviva dei megafoni per trasmettere il suo verbo, a Wuhan si è servito degli smartphone. Jiang ha dovuto imparare a usare il telefonino e soprattutto “l’app per ogni cosa”, WeChat, indispensabile per adattarsi a quella nuova «vita collettiva». I membri di ogni comunità abitativa, composte spesso da centinaia di persone così come le comuni comprendevano circa 5.000 famiglie, sono connessi nello stesso gruppo WeChat dove ricevono gli avvisi e gli aggiornamenti del governo. Le diverse comunità vengono poi gestite e monitorate dalle autorità insieme ad altre a livello di quartiere.

«COSTANTEMENTE SORVEGLIATI»

Come gli 11 milioni di abitanti di Wuhan, anche la famiglia di Jiang si è ritrovata fin dal 23 gennaio inserita in una di queste unità di quartiere, «costantemente sorvegliati». Ancora oggi che le maglie della quarantena sono state rilassate a Wuhan, Jiang può accedere alla sua unità abitativa attraverso una sola entrata, tutte le altre sono state chiuse da recinzioni, e il cancello è sorvegliato 24 ore su 24.

Ogni giorno Jiang è obbligato a presentarsi al responsabile della sua unità e farsi provare la temperatura, spiegando che cosa ha fatto e dove è andato durante la giornata. I responsabili hanno ricevuto dal Partito comunista il compito di controllare costantemente i residenti e di fare rapporto su ogni movimento strano. Durante il lockdown, però, erano anche incaricati di fare arrivare le provviste ad ogni famiglia, minacciando ogni nucleo familiare che non rispettava le rigide regole imposte dal governo di tagliare loro i viveri.

ALZABANDIERA E ALTRE ATTIVITÀ PATRIOTTICHE

Per imporre questo sistema di sorveglianza e gestione della quarantena Pechino ha inviato a Wuhan 44.500 funzionari del Partito per aiutare i 12 mila già presenti a monitorare oltre 7.000 aree residenziali della città. La figlia di Jiang, Dorothy Wang, che si è ritrovato confinata in città con i genitori senza volerlo (era tornata come milioni di altre persone da Pechino per festeggiare il Nuovo anno lunare in famiglia), ha spiegato al South China Morning Post di essersi sentita «come in prigione. A ciascuna famiglia è stato assegnato un piccolo periodo di tempo per fare una passeggiata nel giardino dell’unità condominiale ogni tanto. Mentre camminavamo i comitati residenziali osservavano che non ci fosse nessun altro in giro nello stesso momento».

I funzionari erano anche incaricati di organizzare «attività patriottiche» come il quotidiano alzabandiera virtuale, un karaoke online e anche competizioni di fitness «per tenere alto il morale della gente». La qualità di vita delle persone, proprio come nelle comuni maoiste, è dipesa in larga parte dalla qualità, bravura e comprensione dei funzionari addetti al controllo delle unità residenziali.

L’EMERGENZA FINISCE, LA SORVEGLIANZA NO

Chen Daoyin, analista politico, ha definito il sistema di Wuhan «una versione moderna del centralismo autocratico che la Cina ha sempre conosciuto dal tempo della dinastia Qing». Jennifer Pan, professore associato di comunicazione alla Stanford University, ha aggiunto che «un simile sistema sarebbe stato impossibile da replicare fuori dalla Cina», in paesi non abituati a «sistemi simili già in vigore durante l’era di Mao».

Xi Jinping, dunque, non si è inventato niente. Non ha fatto che replicare una vecchia idea, peraltro disastrosa visto che l’esperienza delle comuni è culminata nella tragedia della grande carestia, utilizzando mezzi moderni. Senza la tecnologia, gli smartphone e le app, infatti, un simile sistema sarebbe stato impossibile da implementare. Anche se l’emergenza è stata dichiarata finita a Wuhan, i rigidi sistemi di controllo non sono spariti con il virus. Le unità di controllo residenziale sono ancora al loro posto e ogni cinese è costretto a portarsi dietro ogni giorno un funzionario del Partito tascabile sotto forma di app. Senza il codice Qr sviluppato da Tencent e Alibaba, infatti, nessuno può uscire di casa. L’app non conosce soltanto dove la persona si trova, dove è stata, che tragitto ha fatto e in quali negozi è entrata, ma anche in quale scomparto si è seduta in metropolitana o sull’autobus. La sorveglianza di massa attuata negli anni Sessanta da Mao era niente rispetto al controllo ipertecnologico di Xi.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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