Chiara Lubich, l’eredità dei Focolarini raccontata da Maria Voce

Mercoledì 14 marzo alle ore 21,00 nella Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, l’arcivescovo Angelo Scola presiederà Messa nel quarto anniversario della morte di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari. Ripubblichiamo un'intervista di Tempi a Maria Voce, sua erede alla guida del movimento.

Mercoledì 14 marzo alle ore 21,00 nella Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, l’arcivescovo cardinale Angelo Scola presiederà la Celebrazione eucaristica nel quarto anniversario della morte di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari.
Ripubblichiamo l’intervista apparsa sul numero 15/2010 di Tempi a Maria Voce.

Intervista a Maria Voce. I segreti e i prodigi dei focolarini spiegati dall’erede di Chiara Lubich
Un carisma che conquista anche molti non cattolici. Un movimento capace di dar vita a vere e proprie “città cristiane”, con tanto di (efficace) modello di sviluppo economico studiato nelle università.
di Valerio Pece

«Che tutti siano uno». È tutto qui il programma di vita di Chiara Lubich, di cui il 14 marzo si sono celebrati i due anni dalla scomparsa. «Per queste parole siamo nati», ripeteva. «Per l’unità, per contribuire a realizzarla nel mondo». Non è un caso se durante i suoi funerali un monaco buddista ha dichiarato: «Chiara non appartiene solamente a voi cristiani. Ora lei e il suo ideale sono eredità dell’umanità intera». Ed è così: l’unità bramata da Chiara ha contagiato tutto il mondo. Nata a Trento, l’Opera di Maria (questo il nome ufficiale del movimento dei Focolari) in poco più di sessant’anni di vita si è diffusa in 182 paesi: dall’America all’Asia, dall’Africa all’Oceania, arrivando a conquistare anche molti non credenti attratti dall’ideale dell’unità tra i popoli. Da due anni a guidare il movimento è Maria Voce. Emmaus, come l’ha “ribattezzata” Chiara Lubich. Col sorriso disarmante che sempre l’accompagna, quasi una divisa per il laborioso e solido popolo dei focolarini, rivela: «Chiara ci ripeteva che l’Opera è come un tessuto al telaio: anche se un filo cede, tutti gli altri tengono. Abbiamo un’assoluta speranza in questa rete d’amore». 

Cosa significa succedere a Chiara Lubich alla guida del movimento dei Focolari? 
Sento una grande responsabilità, ma non sono sgomenta. Ho una grande pace, perché il legame tra Cielo e terra è più che mai vivo, presente. Ho l’impressione che la partenza di Chiara abbia come sigillato a lettere di fuoco ogni parola che ha detto, non posso lasciarne cadere neppure una. Così mi sento unita a lei. Continua a guidarmi, a guidarci. E poi – lo sperimento ogni giorno di più – questa è una responsabilità condivisa. Sin dal primo momento è scattata in tutti la consapevolezza che la guida del movimento non è affidata a una sola persona. L’eredità che Chiara ci ha lasciato è il carisma del “due o più”, di quell’amore scambievole vissuto con una misura senza misura per generare la presenza spirituale di Gesù da lui promessa a due o più uniti nel suo nome. È la sua luce che ci guida, la sua forza che ci sostiene. Lo constato ad ogni incontro con il Consiglio, nelle visite alle comunità sparse nel mondo. Passo passo si fa luce su quali priorità scegliere, quale impulso dare… 

Dal suo amico Giovanni Paolo II Chiara Lubich ha ottenuto che a guidare i focolarini fosse sempre una donna. Perché non vada perso il “genio femminile”?
Certo, anche. Ma è la fedeltà al disegno di Dio su quest’opera, il cui inizio e sviluppo è stato da Lui affidato a una donna, che ha spinto Chiara a fare questa ardita richiesta al Papa. E anche per garantire nel futuro l’impronta primariamente laicale e mariana del movimento. Giovanni Paolo II non solo aveva esclamato: «E perché no? Anzi!», ma lui stesso ne aveva spiegato il motivo profondo, parlando del profilo mariano e carismatico della Chiesa, citando il grande teologo Hans Urs von Balthasar. 

Lei è da poco tornata da un viaggio di due mesi in Oriente per visitare le comunità del Focolare in Thailandia, Giappone, Corea del Sud, Filippine e Pakistan. Ha anche avuto importanti momenti di dialogo con i buddisti. Cosa si è portata a casa?
Difficile dirlo. Ma ciò che più mi ha colpito è proprio il forte senso del sacro, la sensibilità per il divino. È forse questo il valore più prezioso della grande cultura dell’Asia. Ma non è il solo. È una cultura ricca di altre perle preziose, che in Occidente appaiono forse un po’ fuori moda: il rispetto per l’anzianità, l’ubbidienza, la laboriosità, la tolleranza, la pazienza, la capacità di sopportare situazioni dolorose gravi… Di fronte a tutto questo mi dicevo: ma se noi non portiamo un valore più grande, cosa veniamo a fare? Qual è il nostro valore più grande? Mi appariva enorme il valore dell’amore cristiano, perché è l’unico super valore che non schiaccia gli altri valori, anzi li valorizza, li mette in luce. È quindi quel valore che tutti possono accogliere senza sentirsi schiacciati, anzi, sentendosi valorizzati. L’ho sperimentato a contatto con i buddisti con cui da anni è vivo il dialogo. Di più: ci si scopre fratelli chiamati a rispondere insieme alle grandi sfide dell’oggi.

Costruire una civiltà capace di mettere in pratica il proprio pensiero è stato il sogno di tanti pensatori. Perciò le Cittadelle dei Focolari, 35 città in miniatura sparse per il mondo con case, scuole, chiese, negozi, aziende, centri d’arte, rappresentano un unicum. Loppiano, vicino a Firenze, “strega” ogni anno migliaia di visitatori. Ci parla di queste incredibili città?
È diventata realtà una intuizione di Chiara, quando ad Einsiedeln, in Svizzera, cinquant’anni or sono, guardando dall’alto di una collina il complesso di una delle abbazie che nei secoli erano state centri propulsori di civiltà, aveva “sognato” che in questo secolo sorgessero piccole città-pilota per mostrare come sarebbe il mondo se fosse regolato dalla legge dell’amore evangelico. Nelle cittadelle si tocca con mano come in questa legge attuata c’è il Dna della convivenza fraterna, possibile tra persone di ogni età, professione, credo e nazionalità (a Loppiano sono rappresentati quasi tutti i continenti); c’è la legge dello sviluppo economico e culturale, artistico, educativo. È questo che attira: la versione nell’oggi del “che tutti siano uno” e… il mondo crede. 

Nella Caritas in veritate Benedetto XVI cita espressamente l’“Economia di comunione”, profeticamente pensata da Chiara Lubich quasi vent’anni fa in Brasile. 
A distanza di circa vent’anni quella che poteva sembrare un’utopia, si sta scoprendo come una risposta all’attuale crisi economica globale. Arduo darne l’idea in poche parole. Di fronte al dramma del grave divario economico ben visibile nella metropoli di San Paolo, Chiara si rivolge in modo specifico alla struttura di base dell’economia moderna: l’impresa. Non basta più che i singoli mettano in comune il superfluo (come vissuto sino ad allora nel movimento). Lo devono fare anche le imprese. L’obiettivo: un futuro senza più indigenti. Oggi sono oltre 700 le aziende produttive e di servizi che hanno raccolto questa sfida. Diventando oggetto di ricerca accademica, di convegni e di attenzione da parte dei media. È di questi giorni un ampio articolo apparso sul più importante quotidiano economico italiano. Si moltiplicano gli articoli anche negli Stati Uniti, in Inghilterra. Si sta facendo strada l’idea che anche in economia l’elemento propulsore, ciò che cambia, ciò che innova un sistema economico, è la persona umana e non sono i capitali, non è la finanza. Si esce da questa crisi, da ogni crisi, se – come ha evidenziato il Papa – la persona è capace di andare oltre il dovuto per aprirsi alla gratuità.

Alla morte di Chiara Lubich Giuliano Ferrara scrisse sul Foglio uno dei suoi articoli più intensi e tormentati. La sua “battaglia culturale” era al culmine, ma lui volle esprimere la sua ammirazione per chi, come Chiara, “scioglieva nodi” senza imporre egemonie. È un’inquietudine anche di molti cattolici: come si conciliano le due vie, quella battagliera e quella di Chiara?
Quell’articolo è stato uno dei più apprezzati! Nell’inquietudine che esprimeva, baluginava l’intuizione di una «dimensione “altra” del tempo», «tutta da studiare, tutta ancora da raccontare». Posso qui aprire solo uno squarcio di questa “esperienza altra”, andando al cuore della vita di Chiara, tutta “sostanziata di Vangelo”. Un Vangelo che cambia mentalità e stile di vita. E che perciò è contestazione del modo corrente di pensare e di agire. Una contestazione che – ed è diventato stile del movimento – si esprime più che con le parole (anche se a volte sono più che opportune), con i fatti. Non avviene attaccando direttamente qualcuno, ma vivendo la Parola di Dio immersi nella stessa realtà in cui il male si accanisce. Della Parola si sperimenta la forza creatrice che costruisce un’alternativa al male stesso: risanando con l’amore il tessuto sociale lacerato dall’odio nei tempi di guerra; innovando politica ed economia, cultura, medicina e arte; alimentando dialogo e fraternità in mezzo alla difficile convivenza tra persone di religione e credo diversi. È una contestazione “fattiva” che non soffre della scissione parola-pensiero-azione. La forza della Parola, sì, scioglie i nodi, libera dall’impotenza e dai condizionamenti, imprime il cambiamento. 

Ma nell’era del secolarismo aggressivo e intollerante il “cristianesimo mite” proclamato dalla Lubich rischia di apparire quasi irreale. Come si declina la “via dei dialoghi” incardinata nel vostro carisma?
Forse non si immagina che quel “cristianesimo mite” sgorga da un grido di abbandono lanciato su una croce dal Figlio di Dio. In quel grido «sono le doglie del parto divino di noi tutti a figli di Dio». In quel grido è assunta e trasformata ogni violenza, ogni ingiustizia, ogni attacco, ogni peccato. Riconoscendovi il volto di Gesù, «aggiungiamo la nostra piccola passione alla sua passione per continuare a rigenerare, a rinnovare uomini e situazioni». Allora si è capaci di quell’amore forte che prende l’iniziativa senza attesa di ritorno, che sa mettersi nella pelle dell’altro, senza esclusioni, nemmeno del nemico. È una forza che spalanca il dialogo, tesse relazioni autentiche, sino alla reciprocità che rende presente il Risorto. Il divino diventa così “tangibile”, facendo sperimentare quella pace, quell’amore, quella luce di cui l’umanità di oggi ha così fame! 

L’ultima intuizione di Chiara è Sophia, l’università diretta dal teologo Piero Coda che offre una laurea davvero particolare: Fondamenti e prospettive di una cultura dell’unità. L’unità come scienza?
L’unità non come scienza a sé, ma come paradigma di una nuova cultura in funzione della formazione integrale dei giovani, permeata non solo di scienza, ma anche di sapienza, per prepararli ad affrontare la complessità del mondo odierno. È un paradigma che compone la frammentazione dei saperi, sulla base dell’armonia tra studio e vita, tra fede e ragione, nei rapporti tra studenti e docenti. È la sperimentazione in atto a Loppiano, che fa dire al cardinale Marc Ouellet, primate della Chiesa cattolica del Canada, a conclusione di un suo intervento a Sophia: «Qui si rifonda l’idea di università». Pur in fase nascente, già suscita interesse nel mondo culturale e nella società civile in Italia e all’estero.

Come giudica il tiro al bersaglio alla Chiesa e al Papa per la questione pedofilia? 
È questa, indubbiamente, un’ora di passione, per l’intima sofferenza delle vittime, per il travaglio di chi ha inflitto questa ferita profonda, per lo scandalo provocato, per quello che è stato definito dagli stessi giornalisti «l’accanimento mediatico distorsivo» che si è trasformato in attacchi diretti al Papa, mentre è lui che per primo ha avuto l’«audacia di rompere il sistema omertoso sui preti pedofili». Ho voluto esprimere al Santo Padre la nostra vicinanza e preghiera per questi attacchi che ci appaiono come una reazione alla linea di chiarezza e fermezza che caratterizza il suo pontificato. Mi hanno profondamente toccato le sue parole la sera del Venerdì santo. Tanta stampa internazionale ha lamentato che durante la Settimana santa il Papa non abbia fatto cenno alla questione pedofilia. Che poteva dire di più? Ha aperto la sua anima: «Vogliamo accompagnare il nostro Maestro condividendo la sua passione nella nostra vita, nella vita della Chiesa, per la vita del mondo». Ha parlato di “insuccessi”, “delusioni”, “amarezze” «che sembrano segnare il crollo di tutto». Ma su tutto ha gettato «la luce della speranza», «la luce sfolgorante della Risurrezione che tutto avvolge e trasforma». Ed è proprio questa nuova radicalità evangelica che gli abbiamo promesso, come contributo alla Resurrezione che di certo si prepara.

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