Charlie Gard. L’attesa della sentenza e «un modo ancora praticabile» di aver cura di lui

Due spunti che aiutano a districarsi tra i mille commenti (e le strumentalizzazioni) del caso del bambino inglese affetto da una rarissima malattia genetica

Lunedì scorso la Corte suprema del Regno Unito ha dato 48 ore di tempo ai genitori di Charlie Gard per portare «new and powerful evidence», prove nuove e decisive che dimostrino come un trattamento sperimentale potrebbe migliorare le condizioni di loro figlio. La scelta del giudice Nicholas Francis (lo stesso che l’8 giugno negò ai Gard il trasferimento del bambino negli Stati Uniti per sottoporlo al protocollo) arriva dopo un’accesa discussione in aula in cui i genitori del bambino hanno accusato i legali del Great Ormond Street Hospital – dove il bimbo è ricoverato e si è deciso di interrompere le terapie che lo mantengono in vita – di mentire, chiedendo una proroga poiché, ha spiegato il loro avvocato, non prima del 21 luglio arriveranno nuove evidenze, e che sia un nuovo giudice a decidere sulla base di questa. Richiesta rigettata: domani, giovedì 13 luglio, alle ore 14 locali (le 15 italiane), i Gard dovranno dunque dimostrare che il protocollo di cura sperimentale presentato da una équipe internazionale di 7 esperti, coordinata dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, potrebbe produrre proprio quel «miglioramento clinico eccezionale» preteso dal giudice per cambiare idea.

In attesa che si riunisca la Corte, segnaliamo due spunti pubblicati nelle ultime ore che ci sembrano utili per districarsi tra narrazioni, commenti, spiegazioni scientifiche continuamente aggiornati dai media sulla vicenda del piccolo inglese.

Il primo arriva da Medicina e Persona, libera associazione di medici che ha come scopo la difesa del valore professionale del lavoro in sanità e che invita a non cadere nel tranello di formulare «giudizi astratti e definitori» quando è in gioco la difesa del principio di autodeterminazione, che per altro è lo stesso principio invocato da quanti «con gran clamore sostennero il diritto del padre di Eluana per farla cessare di vivere». Cosa tiene insieme la pietà col rispetto di tutte le parti in causa, con le considerazioni realistiche delle aspettative e delle necessità di cura/palliazione, con i costi della sanità e con le derive eutanasiche sempre presenti, si chiedono i medici attraverso il comunicato del presidente Gemma Migliaro? «Ci sembra che la sommessa proposta di accoglienza offerta da Mariella Enoc del Bambin Gesù di Roma indichi una strada percorribile e, pur con possibili profili problematici dal punto di vista deontologico, l’esempio di un modo di aver cura dell’altro radicato nella storia ma ancor oggi praticabile».

E proprio in difesa di Charlie e dell’offerta del Bambin Gesù scrive anche Assuntina Morresi sull’Occidentale, ricordando che nell’ipotesi stia soffrendo nulla vieta di somministrare a Charlie antidolorifici: «Perché rifiutare l’opportunità di una sperimentazione, offerta non da ciarlatani di passaggio ma da autorevoli esperti?». Poiché nessuno ha ancora spiegato quale sarebbe la controindicazione a passare alle cure palliative lasciando attaccati respirazione e nutrizione assistita, spiega Morresi, è evidente che la partita che si gioca intorno al piccolo è un’altra: «La qualità della sua vita. Ma allora cosa ne facciamo delle persone con gravi lesioni cerebrali? Eutanasia per tutti i cerebrolesi che non hanno possibilità di guarire o di avere una qualità di vita considerata accettabile? Cosa succede ai disabili gravi, di solito, e qual è il livello della qualità di vita ritenuto accettabile, negli ospedali inglesi?».

Foto Ansa/Ap

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