Centrafrica nel caos: centinaia di morti, governo assente e politica internazionale divisa

Alindao, Bangassou, Bria, Kaga-Bandoro: il paese ripiomba nel vortice della violenza. L'appello su Facebook di un sacerdote di Zemio: «Sparano, non possiamo uscire, non abbiamo da mangiare né da bere. Aiutateci»

«Spari a Zémio, non possiamo uscire, siamo bloccati. La linea telefonica è stata interrotta. È necessario che questa informazione arrivi a qualcuno nel mondo». È questo l’appello disperato lanciato pochi giorni fa su Facebook da padre Jean-Alain Zembi, parroco di Zémio, cittadina del sud-est del Centrafrica che si trova a circa 1.000 chilometri dalla capitale Bangui. Il 28 giugno gruppi armati non identificati hanno attaccato la città, provocando il caos, e il sacerdote come tanti altri è bloccato da giorni nella parrocchia.

CENTINAIA DI MORTI. Gli scontri a Zémio sono purtroppo soltanto gli ultimi di una serie che si fa sempre più lunga e che rischia di far ripiombare il paese africano nella guerra civile da cui stava faticosamente cercando di uscire. A maggio si sono verificate violenze ad Alindao e Bangassou, nelle quali sono morte circa 300 persone. Poi è stata la volta di Bria, dove sono morte tra le 50 e le 100 persone a pochi giorni dalla firma a Roma di un cessate il fuoco da parte delle diverse milizie in lotta. Nella città dell’est del paese la situazione è disperata, oltre il 90 per cento dei residenti sono sfollati e il 50 per cento delle case è andato distrutto. Molti si sono rifugiati nella missione cattolica, altri si sono addossati alla caserma dell’Onu.
Bambari invece, che si trova a un centinaio di chilometri da Alindao, dopo le stragi degli anni scorsi è tranquilla ma sta accogliendo centinaia di rifugiati dalle altre città e la situazione potrebbe presto diventare esplosiva. Ieri un incidente stradale vicino alla località ha causato la morte di 77 persone. Infine, sono morte circa 15 persone in una serie di sparatorie a Kaga-Bandoro, nel centro del paese. Solo la capitale Bangui, al momento, è in uno stato di relativa calma e sicurezza.

«SCAVIAMO FOSSE COMUNI». L’Afp è riuscita a contattare padre Zembi, che racconta: «Ho visto sei cadaveri a terra nelle strade attorno alla parrocchia. Bisognava prendersi il rischio di uscire e recuperarli per evitare la contaminazione sanitaria. Altri corpi però sono rimasti per le strade, ce ne sono tanti ma nessuno può recuperarli. Non abbiamo bare qui, quindi abbiamo dovuto scavare una fossa comune». I ventimila abitanti della città sono sfollati, 1.500 sono rifugiati nella parrocchia, e la situazione rischia di diventare tragica: «A causa degli spari continui, nessuno può uscire per strada. L’insicurezza è totale. La gente non ha da mangiare, non ha acqua potabile da bere e non ci sono le cure necessarie. Molte case sono state incendiate. Anche quando e se cesserà la crisi, che cosa faremo?». Il 3 luglio l’Onu è riuscito a portare due bidoni d’acqua potabile. Nient’altro.

PAESE IN MANO AI RIBELLI. Il Centrafrica sembra essere ripiombato nel caos e il governo di Faustin-Archange Touadéra guarda impotente a questa situazione, mentre il portavoce del governo ammette che «14 province su 16 sono in mano ai gruppi armati». Di questi fanno parte sia diverse milizie nate dalla dissoluzione dell’ex coalizione Seleka, sia gruppi anti-balaka, nati per difendere il paese dagli islamisti, ma ormai fuori controllo e decisi a vendicarsi delle violenze subite tra il 2013 e il 2014. Il controllo del territorio non ha solo ragioni politiche ma anche economiche, viste le enormi risorse del paese: dall’oro al legname, dai diamanti al petrolio fino all’uranio.

POLITICI CONFUSI. Anche la comunità internazionale si muove in modo disunito e disordinato. Detto della totale mancanza di fiducia che i centrafricani nutrono verso la Minusca, che ha oltre 10 mila uomini nel paese ma che non riesce (o non vuole) far rispettare la pace, anche le iniziative diplomatiche non sono coordinate: Unione Africana, Angola, Sant’Egidio si muovono ognuno per conto proprio causando una «cacofonia che fa il gioco dei signori della guerra», come affermato da Thierry Vircoulon, ricercatore dell’Instituto francese di relazioni internazionali. A questo punto, per il momento l’unica salvezza per il paese potrebbe essere la stagione delle piogge, che con i suoi violenti rovesci da luglio a ottobre potrebbe bloccare i combattimenti.

@LeoneGrotti

Exit mobile version