Caro Formigoni, non te lo devo certo spiegare io come funziona la giustizia qui

Hanno messo in carcere il motivo per il quale ti ho votato e cioè che io e te condividiamo la stessa visione della storia dell’uomo

Articolo tratto dal numero di Tempi di marzo 2019

Caro Roberto, alla fine ce l’hanno fatta a mettermi in carcere. Sì, lo so che dietro le sbarre ci sei tu e non io, e certo non ti dirò che farei volentieri cambio perché non è vero. Però arrestando te hanno arrestato anche me che ti ho sempre votato. E hanno messo in carcere il motivo per il quale ti ho votato e cioè che io e te condividiamo la stessa visione della storia dell’uomo. Ecco perché quei 5 anni e 10 mesi che ti hanno rifilato li sconto anche io.

D’altra parte tu lo sai come funziona la giustizia in Italia, vero? Ti ho mai raccontato di quella volta che scrissi quell’articolo… Ok, te lo racconto adesso. Allora stavo ad Avvenire. Scrissi un articolo ricostruendo la proprietà di Fininvest. Nessuno sapeva di chi fosse la Fininvest, cioè si sapeva che era di Berlusconi, ma in che percentuale? Aveva soci? Non lo sapeva nessuno. Ricostruendo la ragnatela delle finanziarie che controllavano Fininvest, scrissi anche l’esatta percentuale che aveva il Cavaliere in ognuna di esse; quanta parte di ognuna fosse in mano ai figli; quali avessero sopra un’altra finanziaria e quante fossero in mano alle banche. Il giorno dopo mi convoca un famoso pm (il direttore mi ha pregato di scrivere il nome, ma io tengo famiglia). Siamo nel 1992-1993, piena Tangentopoli, la procura di Milano, dopo aver messo nel mirino Craxi, stava puntando su Berlusconi, il clima te lo ricordi, non è che te lo devo dire io, vero? Entro nell’ufficio del pm e vedo che sulla sua scrivania c’era la pagina di Avvenire con il mio articolo. Mi fa: «Mi spieghi questo pezzo». E io: «È tutto scritto lì». E lui: «Sì, ma mi dica quello che non ha scritto». «No, guardi – faccio io – ho scritto tutto». Lui mette gli occhi sul giornale, li rialza e mi fa: «Sì, vabbè, ma qui non c’è reato».

Con te è andata più o meno così: hanno trovato il colpevole, tu, e poi hanno cercato il reato. È la filosofia di Piercamillo Davigo (l’unica persona al mondo che accuserei di reato d’opinione), non a caso collega del pm suddetto ai tempi di Mani pulite, secondo il quale «non esistono innocenti, esistono solo colpevoli non ancora scoperti». Adottando questa filosofia, tu sei colpevole, ma io non sono innocente: è solo che non mi hanno ancora scoperto. Sono colpevole sia perché ti ho votato, sia perché, nel mio piccolo, ho fatto cose che se le sapesse Davigo mi sbatterebbe nella cella di fianco alla tua.

Tu sei un prigioniero politico di questa Italia malata di manette, di statalismo, che si bea della sua stanca inefficienza, che dice di voler aiutare gli ultimi ma sempre e solo prima delle elezioni, che odia chi si dà da fare, che umilia gli sforzi, che pronuncia la parola “popolo” senza provenire da esso e, quindi, bestemmiando. Tu sei un prigioniero politico perché la tua politica è quanto di peggio possa esserci per una casta giudiziaria abituata a non rispondere a niente e a nessuno, a una casta politica svelta solo nell’assecondare l’ignavia, a una casta giornalistica che crede che la massima espressione della libertà sia quella di attaccare il potere anche quando il potere è dalla parte del giusto.

Per quanto riguarda Daccò, la sua barca, la sua villa, a me, francamente, non mi frega un cazzo, te la vedi con lui e con la tua coscienza. Io non sono né l’uno né l’altra. Sono solo uno che, quando uscirai, ti rivoterebbe ancora. Ciao.

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