La Brexit non si capisce da Londra, ma dalle città desolate dove le case sono «tante piccole prigioni»

Un reportage del Guardian racconta la maggioranza degli inglesi che ha votato Leave: «Siamo stati traditi, abbandonati, il poco lavoro se lo prendono gli immigrati»

Ma chi l’ha detto che gli inglesi si sono pentiti dopo la Brexit? I giornali, certo. Ma la realtà è un’altra cosa. Soprattutto la realtà che si trova al di fuori delle quattro mura della City o dei grandi centri urbani e che si snoda lungo le terre desolate del decadimento industriale. Widnes, Warrington, Salford, Wolverhampton, Stafford, Cannock. E ancora Stockport, Macclesfield, Congleton. Città diverse, perse tra Liverpool e Londra, ma accomunate dagli stessi messaggi: «Non si trova un lavoro decente», «i politici se ne fregano di noi», «siamo stati abbandonati».

MARCIA DI UN MESE. Le voci degli inglesi che nessuno ascolta, e che oggi tutti incolpano di aver fatto uscire il Regno Unito dalla “storia”, sono state raccolte da Mike Carter. Il giornalista freelance è partito il 2 maggio da Liverpool a piedi e ha raggiunto un mese dopo Londra, ripercorrendo le 340 miglia calpestate nel 1981 da 300 disoccupati contro le politiche di Margaret Thatcher. Da questo viaggio  è uscito un reportage ruvido e vivido pubblicato dal Guardian, il principale giornale pro Unione Europea della campagna referendaria inglese.

«COME TANTE PICCOLE PRIGIONI». Il paesaggio è popolato da pub chiusi e negozietti con porte e finestre sbarrate da assi di compensato o fogli di lamiera «come tante piccole prigioni». Alle finestre delle case appaiono manifesti referendari: tutti favorevoli al “Leave”. «Non ce n’è neanche uno a favore del “remain” nell’Ue». Carter interroga i passanti, vince la loro reticenza e ascolta sempre le stesse risposte: «Vogliamo uscire. Non c’è dubbio». Perché? «Immigrazione. Rivogliamo indietro il nostro paese».

«UMILIAZIONE». Delle grandi industrie di un tempo sono rimasti solo gli scheletri. Miniere, acciaio, ceramiche: oggi non c’è più niente, «non si trova un lavoro decente» e i pochi che ci sono, ripetono tutti, «se li prendono i tanti immigrati. Noi non possiamo competere con gli stipendi che accettano loro». Carter si limita a pochi commenti: «Nessuno usa la parola umiliazione, ma il senso è quello». Dappertutto sono spuntati come funghi centri per le scommesse sportive. Di fianco a ognuno di questi ci sono banchi dei pegni o prestasoldi. Quando va bene, sale per tatuaggi e fast food. Giovani e vecchi hanno le stesse preoccupazioni: «Siamo stati traditi».

«UN ALTRO PAESE». Il pellegrinaggio laico di Carter finisce a Londra, la capitale, la città europea per eccellenza, l’unico distretto inglese dove ha vinto il “Remain”, il più elogiato dai media, dove i grattacieli sono belli e sfolgoranti, i giardini curati. «Mi sono trovato, letteralmente e spiritualmente, in un altro paese», scrive Carter. Ecco perché «quando mi sono svegliato con i risultati del referendum, non sono rimasto neanche lontanamente sorpreso».

@LeoneGrotti

Foto case abbandonate da Shutterstock

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