Berlusconi. Galantino dice una cosa giusta, ma al suo «discorso morale» manca un pezzo importante

«La legge arriva fino a un certo punto», ha detto il segretario della Cei. Questo vuol dire che «la Chiesa condanna l'ex premier»? Conclusione pericolosa

“I vescovi contro Berlusconi. ‘Moralmente non è assolto'”. “Il gelo dei cattolici sull’assoluzione. ‘Il discorso morale è diverso dalla legge'”. “Per la Chiesa di Francesco è la morale che lo condanna”. E ancora: “Solo i vescovi parlano chiaro”. A leggere i titoli esultanti dei giornali di oggi sulle parole pronunciate ieri dal segretario generale della Cei Nunzio Galantino, appare evidente che la disputa sull’assoluzione di Silvio Berlusconi dall’accusa di concussione e prostituzione minorile sta scivolando un po’ troppo in là, e rischia di inaugurare una tradizione pericolosa.

Innanzitutto, cosa ha detto Galantino. Scrive per esempio Il Tempo di Roma:

«Il segretario della Cei monsignor Nunzio Galantino si schiera con il quotidiano dei vescovi Avvenire [il riferimento è a questo commento del direttore Marco Tarquinio, ndr] nella vicenda processuale che ha visto l’assoluzione di Silvio Berlusconi nel processo Ruby: “Avvenire ha preso una posizione coraggiosa che va sostenuta e confermata” dice Galantino, che poi aggiunge: “La legge arriva fino a un certo punto, ma il discorso morale è un altro”. Il segretario della Cei precisa successivamente che “la questione non riguarda solo Berlusconi. Tutte le volte in cui c’è una assoluzione bisogna andare a leggere le motivazioni. Il dettato legislativo arriva fino a un certo punto, il discorso morale è un altro”. E fa l’esempio dell’aborto, una pratica legale, “ma – spiega – se un fatto è legale non è detto che sia morale”».

Ora, è chiaro che la questione posta dal monsignore è indiscutibile. Un conto è la morale, un altro la legge. È un principio assoluto che è giusto ripetere qui come in ogni occasione possibile. Tuttavia a proposito del cosiddetto caso Ruby ci sono molte altre cose da dire, tutte cose che Galantino evidentemente dà per assodate (a differenza di tanti osservatori in malafede) e che da cattolico e da cittadino di uno Stato di diritto non esiterebbe, crediamo, a sottoscrivere. Le ricordano in maniera pregevole due esponenti del centrodestra berlusconiano a Maria Antonietta Calabrò del Corriere della Sera:

«Antonio Palmieri, deputato del collegio lombardo di Cantù, ad esempio, si dice completamente d’accordo con Galantino. D’accordo? “Sì – risponde – perché anche monsignor Galantino e il direttore Tarquinio distinguono il peccato dal reato e sottolineano il rilievo istituzionale e morale del processo Ruby che è diverso dall’esito penale, visto che è servito ad abbattere un avversario politico e a cambiare il governo del Paese”. Quanto al “peccato”, Palmieri aggiunge che Berlusconi “non ha mai esibito la sua vita privata, che invece è stata spiattellata sui giornali in seguito all’inchiesta della magistratura” e che “un uomo politico si giudica per le sue azioni pubbliche e non per quello che fa o non fa a casa propria”. Infine, dice ancora: “Per il peccato, come ci ricorda tutti i giorni papa Francesco, c’è la misericordia di Dio”.
Per Gianfranco Rotondi, anche lui cattolico, ex dc, quello di Galantino “non è un attacco a Berlusconi ma la riaffermazione di un’ovvietà per un uomo di Chiesa. Anzi, un uomo di Chiesa ha il dovere di ricordarlo”. Rotondi aggiunge subito dopo: “Naturalmente Galantino sa che il precetto più importante per un cattolico è: ‘Non giudicare e non sarai giudicato'”. E che “un politico, laicamente, va valutato per quello che fa sul fronte dell’azione pubblica e lo sapevano bene i democristiani che hanno avuto santi come La Pira e gente magari sposata tre o quattro volte, e nessuno se ne è mai scandalizzato”. Proprio per questo Rotondi ricorda che “i governi Berlusconi hanno sempre sostenuto le linee etiche della Chiesa”, mentre, conclude, “la confessione non si fa in pubblico”».

Quindi. Ribadito che nessuno, tanto meno Tempi, si sogna di approvare in alcun modo le “cene eleganti” di Arcore, né tanto meno di assolverle moralmente, oggi tocca ripetere quello che abbiamo sempre sostenuto, ovvero che il giudizio su un uomo politico deve basarsi sui suoi atti politici. Il discorso morale è un altro, per dirla appunto con Galantino. L’unico scandalo intollerabile del cosiddetto Rubygate è proprio l’indebito uso di un “discorso morale” contro un avversario politico. Discorso morale, per di più, alimentato ad arte grazie a “notizie” ottenute spiando la sua vita privata dal buco della serratura.

Le cose sarebbero dovute restare separate. Una giustizia che si dà il compito di mescolarle anche a costo di andare (consapevolmente?) a schiantarsi in Cassazione, è una giustizia da Stato etico (naturalmente severo o lassista a seconda di chi è l’imputato, se “nemico” o “amico”). E una stampa che le dà manforte è una stampa irresponsabile, oltre che bigotta. O peggio: peccatorofoba. Il vero crimine è fingere di non vedere la somma ingiustizia di questo scandalo, coltivato nell’illecita pretesa di spiattellare sui giornali cose che non a caso si fanno in camera da letto, e al massimo si sussurrano in un confessionale. Colpa dell’obbligatorietà dell’azione penale? Più verosimile che sia di Babbo Natale.

(Per altro, curiosamente, tutta questa confusione salta fuori proprio mentre una giornalista un po’ sempliciotta si mette in testa di fare la iena in confessionale, poveretta, beccandosi giustamente un cazziatone anche dallo stesso Galantino).

È quello che scrive chiarissimamente il nuovo direttore (renziano) del Foglio Claudio Cerasa, sebbene maltrattando Galantino invece che i colleghi furbetti:

«Da un pezzo grosso della Cei, dopo quello che è successo in questi anni attorno al caso Ruby, mi sarei aspettato, più che un banale sermone sulla morale, un sermone su quello che significa vivere in uno stato dove si confondono i peccati con i reati. E se c’è qualcuno a cui oggi sarebbe il caso di fare la morale, quel qualcuno, più che Berlusconi, coincide con chi prova a imporre la dittatura del processo mediatico».

Si può dirla contro Galantino o con Galantino, come fa l’onorevole Palmieri. In ogni caso, occorre stare attentissimi a non spingersi troppo in mare aperto quando ci si può aggrappare a una manciata di virgolettati striminziti. È l’errore che commette ingenuamente Marco Politi sul Fatto quotidiano.

«Le parole del vescovo Galantino, che definisce la posizione dell’Avvenire coraggiosa e da sostenere, indicano l’abisso tra due modi di concepire la responsabilità politica, sociale e istituzionale. Di qua il modello Arcore-Rignano per cui tutto è riconducibile, sempre, al mercato delle vacche politicante. Di là la visione di una società con regole condivise, anche di etica civile. Valide anzitutto per il giudizio pubblico. Roba da papa venuto dalla fine del mondo».

Ecco, stia attento a dove mette i piedi Politi mentre suona con sospetto fervore la trombetta per papa Francesco, perché è vero che andare a puttane è e resterà sempre immorale per noi cattolici, a prescindere dalla legge (e anche dal voto politico), ma a proposito di amnesie, il segretario della Cei ha fatto anche un altro esempio. L’aborto. Sicuro Politi che vogliamo la pubblica gogna mediatico-giudiziaria per ogni donna che sceglie quella strada?

Foto Berlusconi da Ansa

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