Benedetto XVI: «Non ribellarti a Dio che ti guarda e prega per te»

Nella Messa dell'Ultima Cena il Papa ha rivissuto «l'infamia del peccato che si scaraventa su Cristo». Questa via è l'unica «attraverso cui Dio ci salva. Prendendo su di Sé tutto il nostro male e quello del mondo». Gesù «ci sta guardando e prega per noi per salvarci dall'orgoglio di cui siamo schiavi».

Nella mattinata di ieri, durante la Messa del Crisma, papa Benedetto XVI ha chiesto ai sacerdoti se erano disposti a seguire Gesù. Lo ha fatto riferendosi esplicitamente ai molti attacchi di alcuni preti al Magistero. E con voce rotta ha ricordato ai suoi «amici» che la Chiesa si rinnova solo conformandosi alla volontà del Padre. 

Ieri sera, durante la Messa dell’Ultima Cena, il Papa ha iniziato così: «Il Giovedì Santo non è solo il giorno dell’istituzione della Santissima Eucaristia, il cui splendore certamente s’irradia su tutto il resto e lo attira, per così dire, dentro di sé. Fa parte del Giovedì Santo anche la notte oscura del Monte degli Ulivi, verso la quale Gesù esce con i suoi discepoli; fa parte di esso la solitudine e l’essere abbandonato di Gesù, che pregando va incontro al buio della morte; fanno parte di esso il tradimento di Giuda e l’arresto di Gesù, come anche il rinnegamento di Pietro, l’accusa davanti al Sinedrio e la consegna ai pagani, a Pilato».

Gesù esce nella notte. Quella che oggi coincide con «la mancanza di comunicazione» dove «non ci si vede l’un l’altro» a causa «dell’oscuramento della verità». Simbolo «della perdita definitiva di comunione e di vita con Gesù». Cristo, ha continuato il Pontefice, deve entrare in questo buio che, però, acquista un senso solo nella relazione con il Padre. Per questo, Egli va «per parlare come Figlio con il Padre». Ma, diversamente dal solito, Gesù «vuole sapere di avere vicino a sé tre discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni». Quelli che avevano fatto esperienza della sua Trasfigurazione e che «avevano sentito come Egli parlava del suo “esodo” a Gerusalemme».

Ora «quale aspetto avrebbe avuto l’esodo di Gesù, in cui il senso di quel dramma storico avrebbe dovuto compiersi definitivamente?», ha domandato il Santo Padre. Quello non della potenza, come immaginavano i discepoli, ma «dell’estrema umiliazione, che tuttavia era il passo essenziale dell’uscire verso la libertà e la vita nuova, a cui l’esodo mira». Ma i discepoli si addormentarono. Perciò, venuto meno «il sostegno umano – ha continuato il Papa – Gesù chiama Dio “Abbà” che significa “Padre”». Usando «il linguaggio di Colui che è veramente “bambino”, Figlio del Padre, di Colui che si trova nella comunione con Dio, nella più profonda unità con Lui». E l’atteggiamento di Gesù in preghiera ci rivela anche altro: «Matteo e Marco ci dicono che Egli “cadde faccia a terra”. Luca, invece, ci dice che “Gesù pregava in ginocchio”». Questo ricorda ai cristiani che, davanti alla «minaccia da parte del potere del male», solo stando «in ginocchio davanti al Padre si può stare dritti di fronte al mondo», esprimendo «in questo gesto la nostra fiducia che Egli vinca». Qui, ha precisato il Pontefice, sta «l’elemento più caratteristico della figura di Gesù nei Vangeli: il suo rapporto con Dio».

Ma il culmine dell’Omelia, è stato nella descrizione della «lotta di Gesù con il Padre e con se stesso». Qui Cristo «vede la marea sporca di tutta la menzogna e di tutta l’infamia che gli viene incontro in quel calice che deve bere. È lo sconvolgimento del totalmente puro e Santo di fronte all’intero profluvio del male di questo mondo, che si riversa su di Lui». Un male da cui nessuno è esente, ha ricordato il Santo Padre, sottolineando che «Egli vede anche me e prega anche per me». «L’angoscia mortale di Gesù è un elemento essenziale nel processo della Redenzione», in cui Cristo «prende su di sé il peccato dell’umanità, tutti noi, e ci porta presso il Padre». E con ciò Egli ha trasformato «l’atteggiamento di Adamo, il peccato primordiale dell’uomo, sanando in questo modo l’uomo».

Gesù, pur chiedendo «che ciò gli sia risparmiato, tuttavia, in quanto Figlio, depone questa volontà umana nella volontà del Padre: non io, ma tu». E questo è l’esatto contrario dell’atteggiamento di Adamo che «era stato: non ciò che hai voluto tu, Dio; io stesso voglio essere dio». Qui Benedetto XVI si è ricollegato alla superbia da cui, nell’Omelia della mattina, aveva messo in guardia i sacerdoti disobbedienti, perché «la superbia è la vera essenza del peccato». Infatti, se «pensiamo di essere liberi e veramente noi stessi solo se seguiamo esclusivamente la nostra volontà» e «Dio appare come il contrario della nostra libertà», allora «dobbiamo liberarci da Lui». Questo, ha detto il Papa, non è il vostro, bensì «il nostro pensiero». Purtroppo, però, la ribellione «snatura la nostra vita». Perché «quando l’uomo si mette contro Dio, si mette contro la propria verità e pertanto non diventa libero, ma alienato da se stesso». Dove sta la vera libertà lo si vede invece ora, «nella lotta della preghiera sul Monte degli Ulivi», in cui «Gesù ha sciolto la falsa contraddizione tra obbedienza e libertà e ha aperto la via verso la libertà». Perciò, il Papa ha concluso pregando «il Signore di introdurci in questo “sì” alla volontà di Dio, rendendoci così veramente liberi».

@frigeriobenedet

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