La Chiesa non può abbandonare l’Europa a se stessa

La presentazione del vescovo di Pavia del libro "La vera Europa. Identità e missione" di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI

Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo di seguito la relazione tenuta da monsignor Corrado Sanguineti, vescovo di Pavia, al convegno-presentazione del libro di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, La vera Europa. Identità e missione, tenutosi al Teatro “L’Agorà”, Carate Brianza, venerdì 21 gennaio 2022

Ringrazio gli amici dell’associazione “Esserci” che mi hanno invitato a partecipare all’incontro di questa sera, dedicato alla presentazione del libro La vera Europa. Identità e missione, che raccoglie alcuni testi di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI [1]. Si tratta di testi di grande ricchezza e profondità e ovviamente non è mia intenzione ora esporre in modo articolato i contenuti della riflessione, sviluppata per anni dal teologo e pastore Joseph Ratzinger, divenuto papa con il nome di Benedetto XVI il 19 aprile 2005, dopo il lungo pontificato di san Giovanni Paolo II, che come pontefice della Chiesa universale, ha offerto un contributo altrettanto ampio al tema dell’Europa e della sua identità e ha avuto un ruolo rilevante nella storia recente del nostro continente: pensiamo solo a che cosa abbia rappresentato il Papa venuto dall’est, nella nascita di Solidarnosc in Polonia, negli eventi del 1989 che hanno portato al collasso del sistema comunista, nei paesi dell’Europa orientale e nell’Unione Sovietica, in una rivoluzione sostanzialmente non violenta.

Joseph Ratzinger, per nascita, storia e formazione, è un europeo, che ha conosciuto nella sua infanzia e nella sua prima giovinezza la tragedia dell’ultimo conflitto mondiale, nato in Europa, e ha seguito con speranza la formazione di un’Europa unita, negli anni del dopoguerra; allo stesso tempo, come credente, teologo e pastore, ha direttamente vissuto e sofferto il progressivo allontanamento dell’Europa dalla sua tradizione cristiana e non ha mancato di indicare la crescente difformità di scelte e orientamenti degli stati e dei popoli europei, rispetto al progetto e all’ispirazione dei padri fondatori dell’Europa, riedificata sulle macerie della tragedia vissuta tra il 1939 e il 1945.

Egli è sempre stato convinto che la Chiesa non può abbandonare l’Europa a se stessa, perché c’è un legame profondo tra cristianesimo ed Europa, e non è un caso che i politici europei del dopoguerra, che hanno avviato il cammino verso l’unione, fossero tutti uomini di fede, cattolici integrali e di alto spessore umano (Alcide de Gasperi, Robert Schumann, Konrad Adenauer).

Se il cristianesimo è sorto in Asia, nella regione mediorientale, con le prime comunità in Israele, nella vicina Siria e nell’Asia Minore, è indubbio che la Chiesa latina e quella d’Oriente, hanno messo radici profonde nelle terre dell’Europa, hanno contribuito a plasmare l’identità dei suoi popoli (latini, germanici, slavi), facendo della fede cristiana l’elemento che ha accomunato genti molto diverse tra loro; soprattutto dopo la forte riduzione delle comunità cristiane nelle terre del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, dominate dall’islam e dalla sua organizzazione politica, l’Europa si è caratterizzata come continente cristiano, nella forma della christianitas medioevale, sempre più separata dall’ortodossia d’Oriente – con le sue capitali spirituali di Bisanzio e di Mosca – successivamente frantumata dall’avvento degli stati nazionali, dalla rottura della Riforma protestante e dalla tragedia delle guerre di religione.

Se rimane vero che la Chiesa non è confinata al continente europeo, e che vanno acquistando rilievo, per il futuro della fede, altre comunità ecclesiali, più vive e feconde, in Africa, in America Latina e in certe zone circoscritte dell’Asia, è altrettanto vero che il volto dell’Europa, nei prossimi decenni, sarà condizionato dal volto della Chiesa nei popoli del nostro continente, e che rimane una funzione “strategica” e centrale dell’Europa per il futuro della fede. Non nel senso che il cristianesimo può sussistere solo se mantiene una forma europea, quasi esportando e imponendo questa forma nelle chiese di altre nazioni e culture, ma nel senso che gli orientamenti culturali del mondo occidentale (Europa e nord America), sono quelli che tendono a condizionare, nel breve o lungo periodo, le forme e la mentalità anche di popoli molto lontani. La globalizzazione non è solo un fenomeno economico-finanziario o sanitario, ma innanzitutto culturale, attraversa ogni barriera, e tende a plasmare un tipo umano abbastanza simile, con un processo, talvolta sottile e soft, talvolta quasi violento, di “colonizzazione” ideologica, etica e sociale.

Perciò la Chiesa non può non avere a cuore il destino dell’Europa, sotto il profilo dei modelli culturali e antropologici che essa realizza, sostiene ed esporta, e sente che il futuro della fede cristiana, anche nei popoli che sembrano molto lontani dal modus vivendi dell’Occidente, ha un legame con la capacità del cristianesimo di restare un fenomeno vivo, pur se minoritario, in Europa. Joseph Ratzinger, da cardinale e da Pontefice, ha sempre sostenuto che, nell’orizzonte della modernità e della post-modernità, le chiese, nelle loro differenti tradizioni, potranno vivere e offrire un apporto positivo solo se avranno la forma di «minoranze creative» [2], capaci di custodire e difendere il patrimonio spirituale e morale, tipico della tradizione europea, plasmata dall’eredità greco-romana, da quella giudaico-cristiana e da quella moderna e illuministica.

L’interesse che il tema Europa ha avuto nel pensiero di Ratzinger ha dato origine a una sterminata quantità di scritti, interventi e discorsi [3]: il libro, che stasera presentiamo, è una selezione che raccoglie alcuni testi fondamentali, appartenenti, quasi tutti, al periodo prima del suo pontificato e organizzati in quattro sezioni. Non è un caso che nel suo pontificato il maggior numero di viaggi si sia svolto in Europa, e in ognuno di essi vi siano stati interventi di rilievo, con dense riflessioni sulla missione della Chiesa in Europa e sulle sfide che il pensiero europeo ha di fronte a sé. Qualcuno ha addirittura parlato di Benedetto XVI come «ultimo Papa europeo»: è una definizione forse esagerata, e sicuramente non possiamo sapere che cosa accadrà nel futuro del Papato. Rimane però certo che il profilo del contributo di Papa Ratzinger, sul nostro tema, è di altissimo livello, e sarebbe davvero una grave negligenza farlo cadere nell’oblio. Già nell’assumere il nome di Benedetto, egli intendeva ricollegarsi alla figura del Santo Patrono dell’Europa e indicare così nell’esperienza del monachesimo benedettino un patrimonio di valore, non solo per la Chiesa, ma anche per il nostro continente.

Percorrendo gli interventi riportati nel libro, si possono individuare alcuni nuclei portanti del pensiero di Ratzinger, che in buona parte saranno ripresi anche nel suo magistero papale. Nei limiti di questa conversazione, vorrei ora illustrarli, leggendo con voi alcuni passaggi dei testi.

Caratteri dell’identità europea

Un primo tema è la messa in luce dei tratti fondamentali dell’Europa, quali emergono nel suo percorso storico, nel pensiero, nel costume e nelle istituzioni tipiche del nostro continente. Non abbiamo il tempo e lo spazio per giustificare, con un’attenta disamina del percorso storico e culturale dell’Europa, questi elementi che ritornano nella riflessione di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI: ci limitiamo a richiamarli, seguendo le riflessioni del nostro autore.

Certo lo spirito europeo è il frutto di più tradizioni e di stratificazioni della storia complesse, e un ruolo innegabile va riconosciuto al pensiero filosofico greco e alla particolare forma di razionalità che ha preso vita nel nostro mondo europeo, all’eredità del diritto romano e delle sue istituzioni giuridiche e al contributo essenziale della tradizione giudaico-cristiana, nelle sue differenti forme che il cristianesimo ha assunto nella Chiesa latina di Roma, nelle chiese ortodosse dell’oriente (Bisanzio e Mosca) e nelle comunità sorte dalla riforma protestante. Si potrebbero evocare le tre città di Atene, Roma e Gerusalemme come simbolo delle grandi tradizioni costitutive dell’Europa, alle quali va aggiunta la tradizione del pensiero moderno e illuminista, con la sua tipica visione di una ratio completamente separata dalla fede.

Un primo carattere dell’identità europea è il singolare e positivo rapporto che si è sviluppato tra ragione e fede (cristiana) e che dovrebbe preservare entrambe dalle loro possibili patologie: si tratta di un rapporto che ha conosciuto tensioni e interpretazioni riduttive. La modernità, con la sua riscoperta del soggetto, e l’illuminismo, con la sua difesa della ratio e della tolleranza, hanno contribuito a far maturare, nell’ambito del pensiero cristiano e teologico, una considerazione più equilibrata del rapporto fede-ragione, con il superamento di forme storiche segnate dal ricorso alla violenza e all’imposizione nel campo della religione.

È una convinzione che ritorna continuamente nella riflessione di Ratzinger: da una parte la ragione, lasciata a se stessa, non è in grado di conoscere pienamente Dio e di trovare risposta agli interrogativi più profondi della vita, e alla fine, ridotta a diventare una ragione puramente strumentale o empirica, resta cieca, affonda in un relativismo nichilista; dall’altra parte la fede ha bisogno della ragione, ne è sollecitata dal suo interno, anzi è un modo stesso di pensare e di aprirsi alla verità, e ne ha bisogno per non cadere in forme irrazionali di superstizione o di fanatismo religioso, spesso violento e intollerante [4].

… il Vangelo ha assunto lo spirito greco, ha assunto la ragione del mondo greco. La fede consente all’uomo d’essere ragionevole; e all’inverso, la ragione non rende la fede inutile, ma da essa la ragione riceve quel sostegno che la protegge dal precipizio, che le permette di rimanere veramente se stessa. Se la ragione perde questo suo sostegno e vede solamente se stessa, diventa come un occhio che non vede altro che se stessa: un occhio cieco. […] La fede àncora la ragione alle grandi e fondamentali verità che la ragione non è in grado di dimostrare, ma che può unicamente riconoscere, e proprio così la fede fa sì che la ragione rimanga veramente se stessa, resti ragionevole. La fede non assorbe la ragione, ma la rende libera [5].

La ragione malata e la religione strumentalizzata, alla fine, conducono al medesimo risultato. Alla ragione malata tutte le affermazioni su valori imperituri, tutta la difesa della capacità di verità della ragione, sembrano fondamentalismo. […] La fede in Dio, l’idea di Dio può essere strumentalizzata e diventare così deleteria: questo è il pericolo che corre la religione. Ma anche una ragione che si stacca completamente da Dio e vuole confinarlo nell’ambito del puramente soggettivo, perde la bussola e apre la porta a forze distruttive[6].

Ci sono osservazioni illuminanti sulla ragionevolezza della morale e della fede: c’è una visione ampia della ragione, non ridotta e limitata all’ambito scientifico e sperimentale, e allo stesso tempo la fede cristiana, vissuta nell’ambito comunitario ecclesiale, appare lo spazio vitale nel quale la ragione pratica può sviluppare le proprie potenzialità.

Agli occhi di Ratzinger, una vita umana senza ethos è impossibile – o dà origine a un’umanità disumana – ma un ethos senza fede nella creazione e nell’immortalità non sussiste, si frantuma. Proprio l’insostenibilità esistenziale, che possiamo verificare nell’esperienza, di una posizione umana della sola ratio, che voglia prescindere dai presupposti di fede, è la dimostrazione indiretta della verità della fede cristiana e della sua speranza [7]. Proprio qui tocchiamo il fondo ultimo dell’identità europea e qui si comprende che, se venisse meno un’esperienza di fede, anche condivisa solo da una minoranza, verrebbe meno la dimensione morale della vita, si giungerebbe a quella che lo scrittore e saggista inglese C. S. Lewis chiamava «l’abolizione dell’uomo».

Si possono quindi identificare, in modo sintetico e schematico, i tratti specifici che rendono l’Europa una realtà singolare nel panorama storico dell’umanità. Previamente occorre riconoscere la centralità di Cristo come fondamento dell’umanesimo cristiano: è un dato inscritto nel cammino dei popoli europei, con il quale tutti, credenti e non credenti, sono chiamati a fare i conti, tanto che anche i movimenti filosofici e politici che hanno preso le distanze dal cristianesimo o l’hanno addirittura osteggiato e perseguitato, sarebbero impensabili senza l’avvenimento della fede cristiana. Su questa base si possono individuare i caratteri tipici della cultura europea, plasmata dall’incontro con l’annuncio cristiano [8]:

Infine l’Europa, storicamente e politicamente, ha assunto una forma nazionale e sovranazionale, ed è caratterizzata dalla coesistenza di culture nazionali pluriformi come una ricchezza di cui i popoli vanno fieri: in questa prospettiva, se è doveroso respingere sovranismi e nazionalismi esagerati, risulta altrettanto impoverente una certa “omologazione” incolore, realizzata dall’anonima burocrazia dell’Unione Europea.

Crisi dell’europa?

Nell’orizzonte dei caratteri propri dell’Europa, Ratzinger illustra la politica europea del dopoguerra, promossa dai padri fondatori dell’unione, come una politica della ragione morale, illuminata dalla fede, contro l’esperienza tragica delle ideologie – come il nazismo e il comunismo sovietico – accomunate, pur nelle loro vistose differenze, da una sorta di visione “amorale” della storia e della persona, e dall’eliminazione della dimensione religiosa nella vita degli uomini e dei popoli, con il culto idolatrico di nuove entità, come lo Stato e la razza, o il mondo nuovo dell’avvenire socialista, quale “regno di Dio” in terra:

Asse portante di questa politica pacificatrice è stato il legame dell’azione politica con la morale. Criterio profondo di tutta la politica sono i valori morali, non creati da noi ma riconosciuti e uguali per tutti gli uomini … questi politici traevano la loro concezione morale dello Stato, del diritto, della pace e delle responsabilità dalla loro fede cristiana … Non volevano certo costruire uno Stato confessionale, bensì uno Stato plasmato da una ragione etica; la loro fede li aveva aiutati a rinfrancare e a rivitalizzare una ragione soggiogata e deformata dalla tirannia ideologica. Hanno una politica della ragione, della ragione morale; il loro cristianesimo non li aveva allontanati dalla ragione ma gliela aveva illuminata [9].

Ritorna la convinzione propria del teologo e pastore Ratzinger circa l’impossibilità reale di una ragione pura, astratta, senza legame con le tradizioni storiche e religiose di cui vivono i popoli: di fatto, ogni società, anche laica, nei suoi ordinamenti giuridici e nel suo ethos diffuso vive di premesse morali che la precedono e che lei stessa non può fondare, sempre connesse con l’esperienza religiosa.

Tanto è vero che, là dove si afferma una concezione totalmente irreligiosa e immanente della vita, si offuscano, fino a oscurarsi completamente, evidenze etiche fondamentali e si apre la strada a una sorta di “dittatura del relativismo”, a forme di democrazia nelle quali il giusto diventa ciò che è sostenuto dalla maggioranza, fino a esiti tragici. Non dimentichiamo mai che lo stesso nazismo, almeno nei suoi inizi, prese il potere con il voto del popolo e con la sua martellante propaganda, portò a un oscuramento collettivo delle coscienze che poteva sembrare impensabile.

Da questo punto di vista, non tutto il processo di unificazione politica ed economica della UE può essere acriticamente assunto e soprattutto il futuro dell’Europa, se vuole avere un futuro, non sta in certe forme di sottile imposizione di un pensiero unico o di ostilità al cristianesimo:

Una mera centralizzazione delle competenze economiche o legislative potrebbe anche portare a un rapido declino dell’Europa se, per esempio, sfociasse in una tecnocrazia il cui unico criterio fosse la crescita dei consumi [10].

La crisi dell’Europa si manifesta, sotto alcuni aspetti come crisi dell’Unione Europea e dell’ideale dell’Europa unita, a causa di risorgenti nazionalismi e d’insofferenze diffuse per una politica spesso omologante e poco rispettosa delle tradizioni culturali, morali e religiose dei popoli.

A un livello più profondo è esattamente crisi della ragione, nella sua capacità di conoscenza della verità e nella sua dimensione morale, e tale crisi è connessa all’allontanamento della coscienza e del vissuto degli europei dall’eredità e dall’esperienza della fede cristiana.

In un suo intervento di grande densità all’università di Ratisbona il 28 gennaio 1991, il cardinale Ratzinger parlava già trent’anni fa di una «doppia dissoluzione del momento morale, che in Europa sembra fino ad oggi progredire in misura inarrestabile» e lo mostrava in questi termini:

Da una parte tale dissoluzione sfocia nella privatizzazione della morale; dall’altra nella sua riduzione al calcolo di ciò che ha più possibilità di successo, di ciò che promette le migliori chances di sopravvivenza. Con ciò una società diviene nella sua realtà pubblica e comunitaria una società a-morale, o – detto altrimenti – una società nella quale ciò che propriamente conferisce dignità all’uomo come uomo non conta più nulla [11].

Un segno di questa mentalità è la «patologica apprensione per la difesa della nostra integrità fisica»: pensiamo al culto della salute, della bellezza, dell’essere in forma e alla paura quasi panica della malattia, del dolore, così evidente nel modo con cui le nostre società del benessere stanno affrontando l’inattesa esperienza di una pandemia universale. Al contrario, cresce «un’ampia insensibilità per l’integrità morale dell’uomo» che addirittura rischia d’essere concepita «ipocrisia o insensatezza» e talvolta «viene fatta oggetto di derisione» da parte d’intellettuali à la page. Al massimo resta il riferimento ad alcuni valori molto generali, come la pace, l’ecologia, la giustizia, spesso più declamati che vissuti e coltivati.

Ecco perché una delle vie da percorrere, se vogliamo ritrovare la grandezza e l’ampiezza della realtà-Europa, nella molteplice ricchezza delle sue radici, è «la via di una riscoperta e di una nuova valorizzazione della grande tradizione morale del cristianesimo»:

Dobbiamo di nuovo osare riconoscere il nucleo – per così dire predogmatico e metadogmatico – delle sue leggi morali come nostra identità spirituale, in virtù della quale possiamo vivere [12].

Tre sono i segni che, in particolare, esprimono la crisi che stiamo attraversando come Europa, ovviamente intrecciati tra loro e mescolati a tratti più positivi, di resilienza e di progettualità.

Si coglie, innanzitutto «una strana mancanza di voglia di futuro» che si manifesta nella crisi demografica e nello sguardo ai figli, percepiti come un limite e un condizionamento, più che come una speranza e una benedizione[13]. Non a caso Papa Francesco, nei suoi interventi rivolti all’Europa, ha usato espressioni molto forti per indicare questa senescenza del nostro continente,[14].

Un secondo segno è una specie di odio a sé dell’Occidente, che tende a vedere solo gli errori della sua storia, e sembra avere un complesso d’inferiorità verso altre culture, o comunque mostra spesso, in nome della tolleranza, un’accoglienza acritica di ciò che proviene da fuori, e una tendenza a nascondere e censurare segni e tradizioni proprie della sua storia:

C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua propria storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa, per sopravvivere, ha bisogno di una nuova – certamente umile e critica – accettazione di se stessa, se essa vuole sopravvivere [15].

Il sogno di una società multiculturale è il modo con cui si esprime la tendenza a mettere da parte ciò che è proprio e a fare spazio alle varie espressioni che provengono da altre culture e da altri modi di vivere, giungendo perfino a rinnegare o a mettere in secondo piano diritti fondamentali delle persone e la caratteristica distinzione tra sfera civile e sfera religiosa: come in Inghilterra, dove sono tollerati tribunali che s’ispirano alla sharia per i musulmani inglesi.

Infine, un terzo segno di debolezza della nostra Europa è proprio la sua laicità spinta all’estremo, come esclusione di ogni valenza pubblica della religione, come laicismo che abolisce ogni identità, come emarginazione del fatto religioso, in particolare della fede cristiana. È un tratto che, tra l’altro, c’indebolisce agli occhi degli altri popoli, che invece vivono tutti, in forme differenti, una relazione viva e riconosciuta con la dimensione religiosa della vita:

Per le culture del mondo la profanità assoluta che si è andata formando in Occidente è qualcosa di profondamente estraneo. Esse sono convinte che un mondo senza Dio non ha futuro. Pertanto proprio la multiculturalità ci chiama a rientrare nuovamente in noi stessi[16].

Un certo giudizio negativo sull’Occidente, purtroppo diffuso nel mondo islamico, deriva anche da qui, dall’identificare la nostra civiltà come irreligiosa e perciò immorale. Se vogliamo realizzare un dialogo vero con identità differenti dalla nostra, occorre superare una visione della vita, nella quale la dimensione religiosa è circoscritta alla coscienza dei singoli.

La via per un futuro dell’Europa: il compito dei cristiani

Alla luce di ciò che abbiamo cercato di cogliere nelle riflessioni di Joseph Ratzinger sui caratteri dell’identità europea e sugli elementi della sua attuale crisi, si possono facilmente individuare alcune indicazioni per il cammino presente e futuro.

È già emerso quanto sia decisivo per edificare un’Europa unita e spiritualmente viva e feconda, recuperare, nella coscienza degli uomini e delle donne che vivono nel “vecchio” continente, la responsabilità di fronte a Dio e il radicamento nei grandi valori e nelle grandi verità della fede cristiana[17]: così è accaduto negli anni successivi alla tragedia del secondo conflitto mondiale, sulle rovine materiali e morali del totalitarismo nazista. La rinascita di un’Europa unita e in pace ha avuto come anima e ispirazione originale il cristianesimo, a cui si sono ispirati i padri fondatori e che, in dialogo con altre correnti di pensiero, ha dato un contributo essenziale anche alla stesura delle nuove costituzioni repubblicane, in particolare in Germania e in Italia.

Proseguire sulla strada di una libertà senza fondamenti morali che diventa anarchia e di una totale estraneità al cristianesimo, che a volte diventa ostilità più o meno espressa, è proseguire sulla via di una autodissoluzione dell’Europa, rispetto alla sua storia e al contributo fondamentale che ha dato, nella maturazione morale dell’uomo e nel riconoscimento dei diritti inalienabili della persona[18].

Il compito dei cristiani, chiamati a essere una minoranza creativa, lievito che fa fermentare la pasta dell’umanità di cui sono parte, è testimoniare la forza umanizzante della fede, e mostrare che la ragione funziona pienamente e diventa capace di conoscere e affermare verità e valori, proprio se illuminata e animata dalla fede, dall’annuncio del Dio Logos, pensiero e ragione, e del Dio amore, che si svela nel volto umano di Cristo. È la stessa fede cristiana che bandisce ogni teocrazia politica e promuove l’autentica laicità dello Stato e ci abilita a una collaborazione positiva con i nostri fratelli uomini nell’edificazione di una società interiormente sostenuta e fondata su basi morali [19]:

… noi cristiani dobbiamo impegnarci, insieme a tutti i nostri concittadini, perché le basi morali del diritto e della giustizia attingano alle convinzioni cristiane fondamentali, comunque il singolo le veda fondate e comunque le ponga in relazione con l’intera sua impostazione di vita. Ma perché tali convinzioni razionali comuni diventino possibili, perché la “retta ragione” non disimpari a discernere, è importante che noi viviamo la nostra eredità in modo forte e puro, affinché essa sia visibile e agisca con la sua intima forza di persuasione nell’intera società [20].

In definitiva, per Joseph Ratzinger, il compito della Chiesa nell’Europa secolarizzata di oggi è essere se stessa, vivere la fede come esperienza presente di un’umanità rinnovata e cambiata da Cristo, e creare così quello spazio spirituale dove la dimensione morale della vita può rifiorire ben oltre l’ambito dei soli credenti [21]. Una Chiesa che accettasse di conformare la sua presenza e la sua testimonianza ai canoni del politically correct, pur di trovare ascolto nel nostro mondo, sarebbe destinata a essere irrilevante e ben poco interessante:

… nella Chiesa, oggi, quanto più essa si concepisce soprattutto come istituzione che promuove il progresso sociale, tanto più inaridiscono in essa le vocazioni al servizio del prossimo: quelle forme di servizio ai vecchi, agli ammalati, ai bambini che godevano invece di così buona salute, quando lo sguardo era ancora essenzialmente rivolto verso Dio. Il richiamo di Cristo – «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, tutto il resto vi sarà donato in sovrappiù» (Mt 6,33) – si dimostra vero qui per così dire in modo semplicemente empirico [22].

Come sempre è accaduto nella sua storia, la Chiesa può essere questa presenza vitale e significativa nella misura in cui è madre di santi. Sa così generare uomini e donne che nella bellezza morale della loro esistenza, nella fecondità della loro carità, nella passione di dare ragione della loro fede e di mostrare l’intima ragionevolezza dell’opzione per Dio, riaprono una strada all’incontro con Lui in ogni tempo e in ogni condizione storica.

Il Papa emerito, che ha scelto di chiamarsi Benedetto, porta nel suo nome la memoria di uno dei santi che hanno realmente plasmato l’Europa, rifondando una nuova civiltà sulle rovine dell’antico impero di Roma, quasi senza volerlo, senza nessuna strategia o programma pastorale.

Colpisce la prospettiva missionaria e testimoniale, in ciò che affermava il cardinale Joseph Ratzinger, alla vigilia della morte di San Giovanni Paolo II, il 1° aprile 2005, alla conclusione della sua lezione tenuta a Subiaco, in occasione del conferimento a lui del Premio San Benedetto [23]:

«Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui, ha oscurato l’immagine di Dio e ha aperto la porta all’incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini».

[1] J. RATZINGER – BENEDETTO XVI, La vera Europa. Identità e missione (Testi scelti. Volume 3 Europa), Cantagalli, Siena 2021.

[2] «Come andranno le cose in Europa in futuro non lo sappiamo. La Carta dei diritti fondamentali può essere un primo passo, un segno che l’Europa cerca nuovamente in maniera cosciente la sua anima. In questo bisogna dare ragione a Toynbee, che il destino di una società dipende sempre da minoranze creative. I cristiani credenti dovrebbero concepire se stessi come una tale minoranza creativa e contribuire a che l’Europa riacquisti nuovamente il meglio della sua eredità e sia così a servizio dell’intera umanità» (J. Ratzinger, Lectio Magistralis alla Biblioteca del Senato, 13 maggio 2004); «Direi che normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva ed attuale» (Benedetto XVI, Intervista sull’aereo nel viaggio da Roma a Praga, 26 settembre 2009).

[3] Cfr. J. RAZTINGER, Svolta per l’Europa, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1992; ID., Europa. I suoi fondamenti: oggi e domani, San Paolo Cinisello Balsamo (MI), 2005; ID., L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Libreria Editrice Vaticana – Cantagalli, Siena – Roma, 2005.

[4] Cfr. RATZINGER – BENEDETTO XVI, La vera Europa, 65-68.

[5] ID., La vera Europa, 14.

[6] ID., La vera Europa, 67.

[7] Cfr. ID., La vera Europa, 100-103.

[8] Cfr. ID., La vera Europa, 18-22; 231-234.

[9] ID., La vera Europa, 60-61.

[10] ID., La vera Europa, 36.

[11] ID., La vera Europa, 146.

[12] ID., La vera Europa, 147.

[13] Cfr. ID., La vera Europa, 226

[14] «Nel parlamento europeo mi sono permesso di parlare di Europa nonna. Dicevo agli Eurodeputati che da diverse parti cresceva l’impressione generale di un’Europa stanca e invecchiata, non fertile e vitale, dove i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva; un’Europa decaduta che sembra abbia perso la sua capacità generatrice e creatrice. […] Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli? […] Un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare» (Discorso per il Conferimento del Premio Carlo Magno, Sala Regia in Vaticano, 6 maggio 2016).

[15] ID., La vera Europa, 233-234.

[16] ID., La vera Europa, 234.

[17] Cfr. ID., La vera Europa, 83

[18] Cfr. ID., La vera Europa, 202-203.

[19] Cfr. ID., La vera Europa, 68-71.

[20] ID., La vera Europa, 70-71.

[21] Cfr. ID., La vera Europa, 148-150.

[22] ID., La vera Europa, 148.

[23] ID., La vera Europa, 246-247.

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