Barilla, la rieducazione nordcoreana è completa. Un premio Lgbt per essersi «sottoposta a evoluzione pro diritti gay»

L'azienda ha ottenuto 100 punti su 100 nella classifica delle imprese "friendly" stilata da Human Rights Campaign. Washington Post: «Da paria a testimonial del diritti gay»

Come spiega in questo articolo Sandhya Somashekhar, la «social change reporter» del Washington Post, la rieducazione di Barilla adesso può considerarsi conclusa. L’azienda, osserva la giornalista, «è passata da paria a testimonial dei diritti gay», e infatti ieri ha ricevuto «un punteggio perfetto», 100 punti su 100, nel Corporate Equality Index, la classifica delle imprese gay friendly stilata dalla Human Rights Campaign, una delle più importanti organizzazioni Lgbt. Si tratta, scrive la Somashekhar, di «una giravolta che mette in luce come le aziende, che in genere evitano le controversie, sono sempre più costrette a prendere posizione nella battaglia culturale sui diritti gay e sul matrimonio tra persone dello stesso sesso – e come le forze pro-gay siano decisamente in vantaggio».

POSIZIONI TOSSICHE. Il celebre video (lo vedete in fondo all’articolo) in cui Guido Barilla, dopo aver detto che l’azienda della sua famiglia non avrebbe mai fatto spot pubblicitari con coppie gay protagoniste, accetta la “rieducazione” impostagli dal boicottaggio organizzato dal movimento Lgbt, è per il Washington Post un «segno di quanto sia diventato tossico per un’impresa essere percepita come “unfriendly” verso i gay». L’azienda in un anno ha fatto una «marcia indietro radicale», racconta il quotidiano americano «aumentando i benefit sanitari per i dipendenti transgender e le loro famiglie, donando soldi per le cause dei diritti gay e inserendo una coppia di lesbiche in un sito web promozionale» (eccolo qui).

PUNTEGGIO PERFETTO. A meritare un punteggio perfetto nella classifica di Human Rights Campaign sono state «meno di metà delle 781 imprese che si sono offerte volontariamente alla valutazione», si legge ancora nell’articolo. E pensare che «l’anno scorso Barilla non aveva neanche chiesto di essere valutata». Deena Fidas, che segue questi temi per l’organizzazione Lgbt, spiega al Washington Post che «è molto insolito per una società soddisfare l’intero spettro dei criteri dell’Index in un solo anno. Qualcuno certamente speculerà sulle motivazioni in questo caso, ma alla fine della fiera è indiscutibile che alla Barilla è stata adottata una politica inclusiva verso le persone Lgbt».

BENEFIT E DONAZIONI. Un anno dopo la rieducazione dell’incauto Guido Barilla, il pastificio fondato a Parma – elenca al Washington Post il «chief diversity officer» Talita Erickson – «ha esteso i suoi benefit sanitari in modo da includere il “transgender-related care”. Ha istituito un accurato “diversity training” a cui saranno sottoposti tutti gli 8.000 lavoratori. Ha allargato le sue politiche anti-discriminazione per tutelare le persone gay e transgender. Inoltre l’azienda ha anche donato denaro alla Tyler Clementi Foundation, un’organizzazione contro il bullismo fondata dai genitori di uno studente gay della Rutgers University che si è suicidato».

QUESTIONE DI IMMAGINE. Negli Stati Uniti, ricorda il quotidiano di Washington, il boicottaggio di Barilla fu sposato perfino dall’università di Harvard, che bandì il marchio dalle sue buvette, mentre le associazioni gay «promuovevano nomi di altri marchi». Tuttavia Mary-Hunter McDonnell, professoressa di strategia imprenditoriale alla McDonough School of Business della Georgetown University, spiega alla Somashekhar che in realtà non sono tanto gli effetti economici di queste campagne a spaventare le aziende: «In realtà con i boicottaggi si minaccia l’immagine pubblica di una società, la sua reputazione».

ORA GLI SPOT. David Mixner, il «gay più potente d’America» secondo Newsweek, lobbista veterano ingaggiato come consulente da Barilla proprio per tirare fuori il marchio dai guai, ha già definito la conversione dei vertici aziendali «lo sforzo più completoa cui io abbia mai partecipato per porre rimedio a una sfortunata dichiarazione». E ora Seth Adam, portavoce dell’associazione gay Glaad, altro sherpa di Barilla nel percorso di rientro in società, dice al Washington Post che «è importante dare un riconoscimento a chi si sottopone a una “evoluzione” a favore dei diritti gay».
Adesso mancano solo le famose pubblicità con le coppie omosessuali, nota infine il quotidiano Usa. «Non immediatamente, risponde la Erickson, che spiega che l’azienda non vuole essere “reazionaria” alla luce delle critiche. “Credo che siamo assolutamente aperti a che la comunità Lgbt sia rappresentata nelle nostre pubblicità in futuro. Avverrà in modo graduale”».

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