Architettura – Quella nuvola di sapere del MuSe di Trento

L’architettura al servizio della conoscenza e della cultura in Italia non conosce moltissimi esempi, vuoi per la grande storia museografica, con strutture nate in epoca post-congresso di Vienna, vuoi per un certo scetticismo verso strutture contemporanee. Gli esempi sono pochi, e ricordiamo il controverso, ma affascinante, complesso dell’Ara Pacis a Roma, il MAXXI sempre nella città eterna, così come il Galata a Genova e il parziale ammodernamento del MAUTO a Torino. L’architettura museografica presenta molti aspetti interessanti, sviluppatisi all’estero con parecchi esempi, se pensiamo all’America del MOMA e del Whitney, oppure al Quai Branly parigino. Ma proprio in Italia, e più precisamente in Trentino Alto-Adige, troviamo due interessanti esempi: il MART di Rovereto e il MuSe di Trento. E proprio di quest’ultimo proporremo un analisi e una ricca gallery, a un anno dall’inaugurazione.

Si tratta di un’opera da circa 70mln€, realizzata da Renzo Piano e dal suo RPBW nell’ambito non solo di rinascita 2.0 dell’antico Museo Tridentino di Scienze Naturali (1922), ma anche della complessa urbanizzazione dell’area ex-Michelin, che si trova tra il fiume Adige e il Palazzo delle Albere, a una decina di minuti dal Duomo. Infatti, l’aspetto museale è solo un tassello di un’operazione urbanistica che comprende palazzi per appartamenti e uffici, un centro congresso, una biblioteca e un parco pubblico di 5 ettari, il tutto costellato da opere d’arte contemporanea.

Piano progetta il museo come uno spazio nuovo, flessibile e rispettoso del paesaggio attorno. Il movimento frastagliato e spigoloso ricorda quello delle punte delle montagne attorno, come il monte Bondone e le iconiche Dolomiti. Mentre la struttura è quasi sospesa su di uno specchio d’acqua, che percorre in forma di torrente tutto il quartiere, a rievocare i fiumi della regione. Su queste premesse si sviluppa l’intero percorso di visita, a partire dalla terrazza e concludendo in una foresta equatoriale che vive in una serra climatica, parlando non solo di scienze naturali, ma anche di geologia, storia dell’uomo, sociologia ed economia, mettendo al centro il visitatore e la sua esperienza di apprendimento. Ad agevolare la visita è il design di tutti gli elementi museali, a partire dall’approccio di sospendere i pannelli esplicativi, gli animali e gli oggetti in un concetto di zero gravity. In questa nuvola di sapere, emerge con forza lo spazio vuoto, the big void, che unifica e collega tutti e cinque i piani, dando unità e forza alla struttura, oltre ad inserire una buona dose di spettacolarità.

Piano ha scelto per gli interventi materiali del luogo e soluzioni ecologiche, in primis legno e bambù, con un forte approccio alla totale ecosostenibilità. Il palazzo ha ottenuto il livello gold della certificazione LEED, forte dei pannelli fotovoltaici e delle sonde geotermiche. E, soprattutto, uno dei marchi di fabbrica dell’architetto, l’utilizzo dei brise soleil e di tende comandate da sensori di temperatura per minimizzare il consumo energetico. Questi accorgimenti hanno permesso non solo la costruzione di un edificio attento all’ambiente, ma un nuovo standard di qualità nel campo dell’architettura museale, ad un anno dall’inaugurazione.

@Badenji

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