Cristo trasforma lerci mendicanti in uomini nuovi e irriconoscibili

Perché sei così? Perché ti piace questo? Come fai per essere così? Quante volte abbiamo sentito queste domande da persone sconosciute che ci vedevano giocare, andare in gita, fare silenzio o cantare e rimanevano stupite. Persone che ci incontravano mentre facevamo cose semplici, umane. Ricordo don Giussani quando diceva che noi non abbiamo bisogno di nient’altro se non di mangiare, bere, vivere e morire, perché nel nostro modo di mangiare si manifesta la differenza, nel modo di cantare si mostra una diversità, nel modo in cui siamo amici si nota una “stoffa” al mondo ignota. Non c’è bisogno di altro. Solo di cose umanissime, ma che portano in sé i segni inequivocabili dell’Altro, che non passa inosservato a chi ha un cuore semplice. Ho ripreso questo ricordo di don Giussani per raccontare quello che è successo durante una gita con alcuni ragazzi in uno dei luoghi più belli di Roma. Siamo arrivati su uno dei famosi sette colli di Roma, l’Aventino, per visitare una chiesa dedicata a sant’Alessio, un laico appartenente alla nobiltà romana dei primi secoli che lasciò tutto per vivere come un mendicante, dedicandosi esclusivamente ai poveri. Con i ragazzi abbiamo raggiunto il giardino del monastero, da dove si vede tutta la “città eterna”: dall’Aventino, infatti, puoi ammirare e gustare Roma con tutta la sua storia, le sue chiese e i monumenti. Poi con i ragazzi abbiamo iniziato a giocare e per caso è passato di lì il parroco di sant’Alessio che si è fermato a guardarci. Alla fine del gioco lo sentiamo gridare con la sua voce roca: «Come fate per essere così? Ma chi siete?».

Salutandolo gli abbiamo spiegato chi eravamo. Ma la cosa sorprendente è che il parroco si era accorto che nel modo di giocare c’era qualcosa di cui noi stessi non eravamo consapevoli. Aveva visto un’umanità diversa, che gli ha provocato la domanda che i discepoli fecero a Gesù: perché sei così? Come si fa a essere cosi? Lui ha visto bambini e adulti come altri, ma diversi dagli altri. E ha percepito la differenza nel modo in cui queste persone si rapportano, giocano, stanno insieme. Una compagnia allegra, diversa, gratuita, che ha fatto sorgere nel parroco la domanda: «Come fate a essere così?». Era la semplice manifestazione dell’esperienza cristiana, non come una cosa del passato o come un discorso, ma come un avvenimento che accade ora. Qualcosa di inaspettato che solo i cuori semplici riconoscono. L’unica ragione adeguata per spiegare cosa è successo sull’Aventino, è Cristo. Egli è Colui che rende possibili tutte queste cose tra noi, che ci rende capaci di un’amicizia diversa, che permette di giocare, studiare, lavorare, con quella diversità che Lui ha introdotto nella storia.
Padre Paolino

Il pomeriggio che ho ricevuto questa lettera dal mio caro amico e compagno di cammino, stavo sorseggiando un cappuccino mentre osservavo il vuoto che c’era nel cortile della parrocchia. Un cortile bello, incantevole come sempre, con i suoi alberi, il castello che lo domina e, tutto intorno, le casette di legno che risplendono ancor di più, perché appena ristrutturate. Tutto era bello, ma quel vuoto mi faceva male. Per dieci anni era stato un continuo viavai di giovani, ero abituato a sentire gli schiamazzi di decine e decine di adolescenti. Ma da quando è andato via padre Paolino, se ne sono andati anche i ragazzi, in particolare quelli più bisognosi. I giovani hanno bisogno di incontrare testimoni affascinanti, ma soprattutto (e il Papa ce l’ha insegnato) persone che siano all’altezza dei loro desideri, capaci di far loro una reale compagnia, così come ha sempre fatto padre Paolino.
La sua lettera mi ha riempito di gioia perché esprime l’origine del percorso fatto insieme a lui nel corso di questi anni, durante i quali il Mistero ha fatto fiorire le opere di carità che caratterizzano la nostra parrocchia.

Gli impegni con la realtà
Ciò che il padre descrive parlando di quello che è successo sull’Aventino con un gruppetto di ragazzi romani, è quello che è accaduto e sta ancora accadendo qui, alla Fondazione San Rafael. La provocazione di don Giussani (non abbiamo bisogno di niente) è stata la fonte di quella novità di vita che permea tutte le aree educative dell’opera. Abbiamo iniziato a mostrare ai bambini come sia diverso mangiare intorno a un tavolo, con una tovaglia bella, con piatti e posate, piuttosto che ciascuno seduto sul pavimento o sui gradini. Mi ricordo che, quando abbiamo iniziato la scuola, il primo appuntamento è stato con gli insegnanti: fu per tutti una sfida a vivere intensamente la realtà in ogni dettaglio. Per questo, la puntualità è stato il primo impegno con la realtà. Il secondo è stato quello di ricevere i bambini ogni mattina al suono della musica classica, certi che col tempo si sarebbe creata una coscienza diversa della realtà, più corrispondente al cuore.
Oggi è bello vedere come i bambini fanno la prima colazione in silenzio, mentre ascoltano Beethoven, e ciò viene fatto in modo libero senza che gli insegnanti debbano “urlare”. Dopo dieci anni si è creato e consolidato un “clima” che si comunica anche a quelli che arrivano per la prima volta. I primi bambini ora hanno sedici anni e sono cresciuti “imbevendosi” di questa educazione e diventando un esempio per gli altri. Non che manchino difficoltà o problemi, ma non sono le lamentele degli insegnanti a imporsi, perché loro stessi sono cresciuti e sono stati artefici della costruzione di questo contesto di bellezza con i ragazzi.

L’impegno fondamentale di tutti è quello di educare alla bellezza come “splendore della verità e vertice della carità”. Queste iniziative della Divina Provvidenza si attuano cominciando dal paziente lavoro di insegnare l’igiene personale fino alla pulizia delle strutture e degli spazi comuni. Un lavoro difficile, a volte ci vogliono mesi per insegnare a un anziano che ha sempre vissuto sulla strada, l’uso del bagno, a che serve la carta igienica, il perché lavarsi le mani e asciugarle con un panno pulito. Ci sono persone che bevono l’acqua del water! La maggior parte di loro non ha mai conosciuto un letto, un materasso, tanto meno indossato un pigiama. Quanto tempo è servito per educarli!

Educati dai propri figli
Eppure il miracolo accade, e questa realtà educativa mette sulla bocca di chi ci viene a trovare la stessa domanda del parroco di sant’Alessio: «Come fate a essere così?». Questi che prima erano poveri e lerci mendicanti, diventano “irriconoscibili”. Come quell’uomo che sembrava avere 80 anni, ma, una volta rasato, lavato e ben vestito, abbiamo visto che di anni ne dimostrava solo una cinquantina!
Questa paziente educazione è ciò che impedisce a questi luoghi di diventare un serbatoio per anziani e bambini soli o vittime di violenza. Sono invece come delle famiglie che restituiscono agli esseri umani la loro dignità.
Un bellissimo e significativo esempio di questo recupero della propria dignità sta nel fatto che le donne vogliono essere carine e vestirsi bene, mentre gli uomini si fanno la barba tutti i giorni e vogliono lavarsi i denti.
Questa responsabilità educativa richiede una costante verifica di “come si vive la realtà”. In questo senso ci aiuta molto il lavoro che facciamo ogni settimana con le 127 persone che lavorano nelle opere. Un modo molto semplice per vedere tutti i dettagli che il percorso formativo implica. Ogni gesto è preparato con cura, coinvolgendo anche parenti o responsabili dei minori nel caso della scuola. Per queste persone ogni quindici giorni si fa la “Scuola dei genitori”, con un ordine del giorno, distribuito un paio di giorni prima, su ciò che emerge e interessa a scuola. Alle domande uno deve rispondere raccontando la sua esperienza.
Dopo tanti anni di “alfabetizzazione” sono già visibili i segni di crescita umana di tante persone che prima vivevano nelle baraccopoli e ora hanno una casa, piccola ma dignitosa. E il bello è che i genitori dicono che sono i loro figli a educarli alla bellezza. C’è un modo più
umano di vivere la realtà, più corrispondente al proprio cuore. Perciò grazie, padre Paolino, perché il tuo sacrificio, la tua consacrazione totale a Cristo, sicuramente aiuterà la crescita di tutti noi e così anche quella di quei figli tuoi che se ne sono andati, ma che non dimenticheranno mai. Tutti e due abbiamo imparato in questi ultimi anni questa “grave” e grande lezione: senza dolore non c’è redenzione.
paldo.trento@gmail.com

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