Polizia della moralità e donne velate, i talebani mostrano il loro vero volto

In Afghanistan il Ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio controlla gli uomini e impedisce alle donne di fare sempre più cose. Come è cambiato il paese in soli nove mesi

Su ordine dei talebani, in Afghanistan le presentatrici televisive sono obbligate a velarsi il viso (foto Ansa)

«Non tornerei in Afghanistan neanche se i talebani venissero cacciati. Non mi fido più». In uno scarno scambio via Whatsapp con noi di Tempi, Sajida commenta così l’ultimo giro di vite del Ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio istituito dal nuovo regime lo scorso novembre. Lei, insieme ai tre figli e al marito, ha lasciato il paese lo scorso agosto e ora vive in Germania. E’ incinta della quarta, che nascerà a breve. Non può immaginare di vederla costretta a indossare uno chadori (così gli afghani chiamano il velo integrale) per tutta la vita, senza poter studiare o fare il lavoro che amerà.

Il vero volto dei talebani (e quello nascosto delle donne)

Smascherata la falsa ipocrisia delle prime settimane, ora i talebani hanno mostrato il loro vero volto (le donne, invece, il loro viso lo devono coprire). Un volto identico a quello degli anni Novanta, duro, che colpisce non solo la popolazione femminile ma anche i bambini, gli intellettuali, gli insegnanti, i librai, i comici, i giornalisti, i conduttori televisivi. Il Ministero ha occhi e orecchie ovunque e chi viene sorpreso a trasgredire alle regole imposte rischia, nel migliore dei casi, il carcere. Lo racconta bene il Washington Post, quando descrive la “polizia della moralità” cercare possibili trasgressori strada per strada, autobus per autobus, negozio per negozio.

Gli uomini sono tenuti sotto stretto controllo: devono recarsi regolarmente a pregare e nei bazar è vietato vendere libri o riviste con immagini. Alle donne da inizio mese è stato imposto di essere coperte completamente in pubblico, viso compreso. Colori da adottare? Solo quelli scuri. Il taglio degli abiti? Non può essere che quello dell’hijab, largo e lungo fino ai piedi.

Il nuovo codice di abbigliamento dei talebani

«All’inizio speravamo che i talebani sarebbero stati più morbidi, ma ora l’unico posto sicuro per me è casa mia», ha raccontato al WP Negina Lali, 22 anni, una studentessa universitaria a cui è stato impedito di frequentare le lezioni perché non era completamente vestita in nero. Lali ha messo via le sue sciarpe colorate, ma anche quando segue il nuovo codice di abbigliamento dei talebani, i suoi genitori si preoccupano che esca. «Mia madre ricorda il precedente governo talebano, quindi ha molta paura per me. Sempre di più, mi racconta storie di quel periodo». Come quando – giovanissima – venne picchiata per strada dalla polizia perché non indossava i calzini.

A Kabul donne come Masouda Khazan, scrittrice e autrice di riviste di satira e libri per bambini, si sentono come leoni in gabbia. A L’Espresso ha raccontato come gli spazi di libertà, già precari durante la Repubblica islamica, l’architettura istituzionale collassata il 15 agosto 2021, si siano ulteriormente ridotti. «Prima ci riunivamo almeno una volta alla settimana, ci incontravamo per fare letture di poesie, per commentare le ultime uscite, ma i talebani ci hanno detto che non si può più fare». Scrivere satira politica è diventato pericoloso e così ora si limita a scrivere storie per l’infanzia. Ma in questo clima pesante, dice, ha perso lo slancio, la creatività è soffocata e se anche la ritrovasse, il paese è così misero che anche solo trovare il denaro per stampare in proprio poche pagine è un’impresa impossibile.

Tutto è cambiato in nove mesi

Sembrano lontani gli anni in cui, caduto il primo regime talebano, nel 2001 a Kabul il neonato Ministero per gli affari femminili promuoveva i diritti delle donne afghane nella società, in politica, nell’istruzione. Un ventennio fatto di partnership internazionali, libero accesso alle università, progetti per facilitare l’integrazione e l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro. Sono lontani i tempi in cui a ogni angolo nascevano ong femminili per i diritti umani e il Governo emanava rapporti periodici sui progressi nella parità di genere nel Paese. Sono lontani, sembrano lontani. Ma era così solo nove mesi fa.

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