Afghanistan travolto dall’avanzata dei talebani

Con Sheberghan cade la prima capitale provinciale dall’inizio del ritiro degli americani. Ora i ribelli controllano i flussi di merci ai confini, conquistano le roccaforti nemiche, corteggiano la Cina. E il 40 per cento del paese è già nelle loro mani

Le forze di sicurezza afghane presidiano il confine col Pakistan dopo che i talebani hanno preso il controllo del valico di Spin Boldak (foto Ansa)

Venerdì scorso i talebani hanno occupato Sheberghan, capitale della provincia di Jowzjan, già roccaforte del signore della guerra e poi vice presidente dell’Afghanistan Rashid Dostum, che aveva annunciato il suo ritorno in Afghanistan dalla Turchia dove da tempo risiede per guidare una controffensiva contro l’avanzata dei talebani.

È la prima capitale provinciale, per quanto se ne sa, che cade sotto il controllo dei ribelli dopo l’inizio del ritiro delle truppe americane e alleate nel maggio scorso. Fino ad ora si erano accontentati di circondare le capitali provinciali che erano in grado di tenere sotto scacco e si erano concentrati sulla conquista dei posti di frontiera, cruciali per controllare l’ingresso e l’uscita di uomini e merci dall’Afghanistan e per prelevare dazi e tasse.

La conquista delle frontiere

Nel corso della prima e della seconda settimana di luglio i talebani hanno occupato località di confine con Iran, Tagikistan, Turkmenistan, Cina e Pakistan. In particolare Torghundi, nella provincia di Herat, al confine col Turkmenistan; Islam Qala al confine con l’Iran; Sher Khan al confine col Tagikistan (causando lo sconfinamento di oltre mille soldati dell’esercito afghano che hanno cercato riparo nel paese confinante); Spin Boldak al confine col Pakistan.

Ha commentato Torek Fahradi, consigliere dell’ex presidente Karzai: «I porti di entrata danno ai talebani il controllo sul flusso delle merci, sui generi alimentari e su quasi tutto il carburante importato in Afghanistan, un paese di 36 milioni di abitanti. Ora possono esigere tributi e alimentare le loro finanze. L’Afghanistan è un paese senza accesso al mare altamente dipendente dalle importazioni via terra. Occupando le province di confine i talebani finiranno per controllare l’economia».

Attacchi ai territori-chiave

Un’altra caratteristica tattica dell’offensiva talebana è che appare concentrata soprattutto nel nord e nell’ovest del paese, cioè nelle regioni che in buona parte al tempo dell’Emirato islamico (1996-2001) erano rimaste sotto il controllo dell’Alleanza del Nord, la coalizione di signori della guerra su cui poi avrebbe fatto leva localmente l’intervento militare americano Isaf per arrivare a una rapida vittoria nel dicembre del 2001.

Come ha scritto recentemente il Financial Times (13 luglio), le speranze di sopravvivenza del sistema politico che si è sviluppato nel ventennio di presenza militare occidentale in Afghanistan non risiedono tanto sull’inefficace e indisciplinato esercito nazionale (Ana), principale componente delle Forze armate afghane, ma su di una riorganizzazione delle milizie etniche che in passato si erano opposte ai talebani. Oltre a Dostum avevano fatto sapere di essere pronti a riprendere le armi Ahmad Massoud junior, figlio del “leone del Panshir” che seppe resistere sia ai sovietici che ai talebani, ma fu ucciso in un attentato terroristico organizzato da al Qaeda, e Atta Mohammad Noor, ex governatore e comandante al fianco di Massoud senior.  

Le avances alla Cina

I talebani si stanno muovendo molto bene anche a livello di relazioni internazionali, mentre trascinano senza costrutto i negoziati col governo afghano ufficiale a Doha nel Qatar (l’ultima riunione ha avuto luogo sabato 17 luglio): nel corso di questo mese di luglio hanno inviato una missione a Mosca e tre distinte delegazioni a Teheran. Mentre hanno moltiplicato le aperture nei riguardi della Cina, arrivando a dichiarare (Wall Street Journal dell’8 luglio) che non intendono in alcun modo interferire negli affari interni della Cina per quanto riguarda la politica di Pechino nei confronti della minoranza musulmana uigura nello Xinjiang (un milione di uiguri si troverebbero in campi di lavoro e di prigionia cinesi, Usa e Unione Europea hanno approvato sanzioni contro il governo di Pechino per questo motivo).

La «non interferenza» di Pechino

La Cina non ha risposto ufficialmente alle avances talebane, ma una risposta indiretta la si desume dal testo di un articolo apparso sul quotidiano cinese online in lingua inglese Global Times, di proprietà statale e ideologicamente nazionalista. In esso si legge la dichiarazione del direttore del dipartimento di ricerche dell’Istituto di Strategia nazionale dell’Università di Tsinghua: «Ovviamente i media occidentali cercano di seminare zizzania fra i talebani e Pechino, ma i talebani non cadranno facilmente nella trappola».

Segue il commento dell’articolista: «È difficile per l’Occidente trasformare la questione dello Xinjiang in motivo di contesa fra i talebani e Pechino. Col ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, il paese è arrivato a un punto critico e i talebani sperano di avere più comprensione da parte della comunità internazionale, Cina compresa. La Cina pratica la politica della non interferenza negli affari interni dell’Afghanistan. In anni recenti la Cina ha fatto significativi sforzi e svolto un ruolo costruttivo per la promozione della pace in Afghanistan. Ha cercato di creare piattaforme di dialogo fra il governo afghano e i talebani per discutere la pace e la riconciliazione nel paese devastato dalla guerra».

Le minacce ad Ankara

Dopo il ritiro degli occidentali, a sostenere il governo di Kabul sono soprattutto India e Turchia. Quest’ultima ha partecipato alla forza di coalizione e non ha finora ritirato i suoi soldati (circa 500, impegnati nella formazione del personale afghano senza partecipare a combattimenti), che anzi dovrebbero sostituire gli americani nel compito di garantire la sicurezza dell’aeroporto della capitale. I talebani hanno boicottato un summit organizzato nel maggio scorso dagli americani a Istanbul per favorire la conclusione di accordi sul ruolo della Turchia nel paese, e invitano Ankara a ritirare le sue truppe se non vuole che siano attaccate.

La propaganda talebana afferma che i ribelli abbiano già occupato l’85 per cento del territorio afghano, ma una stima più credibile parla del 40 per cento. Già 17 dei 19 distretti della provincia di Herat (quella che si trovava sotto il controllo italo-tedesco) sarebbero caduti in mano talebana. Secondo un comunicato dell’Afghan National Defense and Security Forces (ANDSF, che riunisce forze armate e polizia) nei giorni fra il 15 e il 18 luglio i talebani avrebbero perso in combattimento 967 uomini.

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