Il caso Beatriz a San Salvador. Lobby (con Amnesty International e l’Onu) manipolano la realtà per introdurre l’aborto

Una ragazza 22enne incinta potrebbe morire perché non le permettono di abortire. Ma non è vero. Esemplare vicenda di come si strumentalizzano mediaticamente i dati per forzare le leggi

La vicenda di una ragazza salvadoregna di 22 anni è utilizzata dalle lobby abortiste per introdurre una legge sull’interruzione di gravidanza nel paese. Purtroppo, come sappiamo bene anche in Italia, il canovaccio è sempre il medesimo: viene sollevato un caso controverso, si manipolano i dati della realtà, si fa pressione mediatica sulle istituzioni politiche per allargare in senso permissivo le normative sull’aborto.

PERICOLO DI MORTE. Beatriz, questo il nome di fantasia della giovane, è alla 26esima settimana di gravidanza. Il figlio, secondo alcune analisi, risulta anencefalico. Poiché in Salvador la legge non permette l’interruzione di gravidanza, Beatriz si è rivolta al tribunale affinché le fosse concesso di sottoporsi a un aborto terapeutico. Secondo i suoi legali, la ventenne soffrirebbe di una grave malattia (il lupus) che, a causa della gravidanza, ne metterebbe a repentaglio la vita.
Il suo caso è stato da subito sposato dalle lobby abortiste, che hanno forzato la mano affinché la giovane fosse “salvata” a scapito della vita del figlio. In particolare, la Planned Parenthood (Ippf), Amnesty International Perù e Woman’s Link Wordwilde hanno chiesto che il governo permetta ai medici «di eseguire un aborto sicuro e immediato per la salvaguardia della vita di Beatrice». Secondo le tre associazioni occorreva fare presto, perché la situazione era drammatica: «Il dottore dice che Beatriz potrebbe morire». Come riporta oggi il sito la Bussola Quotidiana «anche l’Onu non ha voluto mancare all’appello. Un team di esperti si è espresso il 26 aprile nei seguenti termini: “Questo caso esemplifica il bisogno urgente di intraprendere un dialogo internazionale sulla legislazione in materia di aborto, per considerare l’introduzione di eccezioni alle proibizioni generali, specialmente in casi di aborto terapeutico e gravidanze frutto di stupro o incesto”. Tra coloro che hanno redatto il documento delle Nazioni Unite figura anche Juan E. Méndez, già noto per aver stilato un rapporto ufficiale dell’Onu in cui si affermava che opporsi all’aborto significa torturare le donne».
Anche la spagnola Elena Valenciano, vicesegretaria generale del Psoe, ha rivelato su Facebook di aver chiesto all’ambasciatore di El Salvador in Spagna di interessarsi delle sorti della giovane «che può morire se non le verrà praticato un aborto».
Le suddette lobby hanno richiesto l’intervento della Corte Inter-Americana dei Diritti Umani e stanno facendo pressione sul presidente del piccolo Stato affinché, con il caso di Beatriz, allenti le norme sull’aborto.

«SOTTO CONTROLLO». Ma la Corte suprema di giustizia, in base alla conclusione dell’Istituto di Medicina Legale di San Salvador, ha respinto la richiesta di Beatriz. Secondo gli esperti interpellati dalla Corte «non esiste una ragione medica per interrompere la gravidanza» e il lupus è «sotto controllo», quindi non ci sarebbe nessun pericolo di vita per la ragazza.
Così, tre giudici su cinque della Corte si sono espressi contro l’interruzione. La giovane è tenuta sotto controllo e probabilmente si opterà per un parto indotto o per un parto cesareo. Amnesty International ha definito «vergognosa e discriminatoria» tale decisione, perché violerebbe i «diritti umani» di Beatriz.
La vicenda ha, ovviamente, diviso l’opinione pubblica, con una chiara presa di posizione da parte della Chiesa locale. Monsignor José Luis Escobar Alas, arcivescovo di San Salvador, e la Conferenza episcopale hanno espresso solidarietà a Beatriz, ma hanno invitato ad evitare strumentalizzazioni: «Questo caso – hanno detto – non deve essere utilizzato per legiferare contro la vita umana, in particolare contro i non nati».

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