Abbronzatevi con questo: “Le ossa di Berdicev. La vita e il destino di Vasilij Grossman” di Garrard

A Berdicev, Ucraina, il regime comunista si guardò allo specchio e si scoprì nazista. In una biografia di Vasilij Grossman la prova che i primi cinquantamila dei sei milioni di ebrei vittime della Shoah furono liquidati dalle SS e occultati dai sovietici

Il genio Giuseppe Stalin? Invitare a Mosca i due principali esponenti del Bund (il partito socialdemocratico) e creare un Comitato antifascista ebraico. Inviarli a New York e, sotto l’alto patrocinio di Albert Einstein, raccogliere milioni di dollari per la “resistenza antinazista”. Riportare il malloppo a Mosca e liquidare gli ebrei. Che genio Stalin. Perdere un milione di soldati russi a Kiev, bombardare i campi di prigionia dei propri soldati arresisi ai tedeschi, dichiarare «traditore» chi «arretra di un solo passo». E mandare nei gulag i parenti dei militari sovietici prigionieri o in ritirata. Che genio Stalin. Farsi regalare da Stati Uniti e Gran Bretagna 400 mila autocarri, carriarmati, viveri e munizioni per il trasporto delle truppe al fronte. E sostenere tutto il merito della vittoria antinazista in Europa. Che genio Stalin: con una mano liquida gli ebrei a Mosca, con l’altra corre a riconoscere lo Stato di Israele. Genio e con un bernoccolo particolare. Che nemmeno il programma di Heinrich Himmler avrebbe potuto immaginare. Il 4 ottobre 1943 Himmler rassicura le SS. Ogni traccia dell’Olocausto verrà cancellata. In Germania e Polonia le cose procedono già bene. Ma che fare con le fosse comuni dell’Unione Sovietica? Himmler scelse Paul Blobel per organizzare l’operazione a cui venne attribuito solo un codice di archivio. Numero 1005. Ovvero disseppellire centinaia di migliaia di ebrei fucilati o sepolti vivi in fosse comuni (così che «la terra si muoveva per giorni»). Resti che dovevano essere bruciati e le ceneri disperse nelle grandi praterie russe. Nel giro di 500 anni, prevedeva Himmler, nessuno avrebbe più saputo con certezza che cosa ne era stato degli ebrei. «C’era un tempo in cui essi avevano vissuto, poi improvvisamente erano scomparsi come dinosauri». Bene, grazie al comunismo sovietico Himmler stava per riuscire nel suo intento. Ecco cosa sono Le ossa di Berdicev, libro di cui citiamo subito una delle tante, terribili conclusioni: «In uno degli episodi più incredibili e ignobili dell’immediato dopoguerra, che avrebbe sorpreso perfino i più feroci degli ufficiali delle SS, le autorità sovietiche suggellarono il sogno di segretezza accarezzato da Himmler. Qui si colloca probabilmente la prova più schiacciante dell’affermazione di Grossman secondo cui i due regimi totalitari erano l’immagine speculare l’uno dell’altro. Persino prima della fine della guerra il governo sovietico cominciò a cancellare ogni traccia della Shoah; anche le prove documentarie prodotte dalla propria Commissione straordinaria sulle atrocità naziste vennero sepolte in archivi inaccessibili. Il caso più emblematico del completamento sovietico degli obiettivi di Himmler occorse a Babij Jar. Le autorità sovietiche ordinarono che le gole dove si erano svolte le esecuzioni venissero riempite con l’aiuto dei bulldozer, con l’effetto che ogni traccia di cenere o di ossa polverizzate rimase profondamente seppellita nella terra».

Non solo Katyn, dunque. Anche la Shoah inizia in terra sovietica. E con l’attiva collaborazione dei sovietici. Giugno 1941. Il diluvio di morte che si abbatte sui ghetti ebraici orientali con l’Operazione Barbarossa comincia per mano delle tremila Einsatzgruppen SS (squadre operative) al seguito delle truppe del Terzo Reich. E con la decisiva collaborazione della Polizei ucraina. D’altronde, perché l’Unione Sovietica che solo due anni prima (patto Molotov-Ribbentrop) si era spartita la Polonia e i paesi baltici con la Germania fu colta impreparata dall’invasione della Wehrmacht? Diceva una battuta che circolava tra gli stessi comunisti russi: «Perché Hitler è la sola persona al mondo di cui il compagno Stalin si fida». 20 agosto 1941: Belja Cerkov’. 5 settembre: Berdicev. 30 settembre: Babij Jar. Sono queste le date e le località dell’Ucraina sovietizzata, occupata dai nazisti, in cui ha inizio la “soluzione finale” del “problema ebraico”. In queste tre cittadine furono liquidati i ghetti ebraici e furono assassinati i primi cinquantamila dei sei milioni di ebrei vittime della Shoah. In uno dei tumuli della cittadina di Berdicev, tra i resti di 18.640 uomini, donne e bambini ebrei, giacciono le ossa della madre di Vasilij Grossman.

La verità sulla battaglia di Stalingrado
È appena sbarcata in Italia (gennaio 2009, ma la prima edizione estera è del 1996) la monumentale biografia su Vasilij Grossman, uno dei più grandi e ancora oggi poco conosciuti autori russi del Novecento, che entra nelle pieghe di queste vicende. Le ossa di Berdicev, degli americani John e Carrol Garrard, è edito da Marietti 1820. Non un grande editore, quindi, ma la piccola casa editrice di Giovanni Ungarelli. Che ha avuto il coraggio editoriale di assecondare le iniziative culturali del Centro Studi Vita e Destino di Torino, del suo presidente, docente universitario, Michele Rosboch, e di associazioni culturali ebraiche e cristiane legate al nome del grande giornalista e scrittore russo. Si tratta di un saggio di quasi 500 pagine che offre uno spaccato eccezionale del vissuto quotidiano in quel mondo sovietico compreso tra gli inizi e la fine del secolo scorso. Chissà se riusciranno a tenere alla larga da scuole, università e vetrine delle librerie anche questa ciclopica raccolta di documenti d’archivio e testimonianze di prima mano, frutto di una ricerca più che ventennale. Come finalmente si apprende dalla biografia dei Garrard, Vasilij Grossman detiene molti record. È stato l’unico “giornalista” presente a Stalingrado e il primo a raccontare in presa diretta (dalle pagine del quotidiano dell’esercito Stella Rossa) la più sanguinosa battaglia della seconda guerra mondiale. Che fu vinta – non “grazie a” ma “nonostante” Stalin e il Partito comunista di Mosca – da due eroici battaglioni di soldati siberiani (forse addirittura composti da detenuti) e da grandi generali dell’Armata rossa.

La quotidianità sotto il socialismo reale
Ma Grossman è stato anche il primo giornalista a raccontare al mondo l’Olocausto dall’interno dell’inferno del lager di Treblinka. È stato uno dei pochi e fortunati intellettuali sopravvissuti alle purghe staliniane che dal cuore del regime comunista (Grossman era uno scrittore “autorizzato” dall’Unione degli Scrittori controllata dal Pcus) abbia iniziato a raccontare, già a partire dagli anni Trenta e Quaranta, la vita del cittadino sovietico al tempo del “socialismo reale”. Soprattutto, Grossman è il primo a sviscerare la dinamica sempre attuale del potere e dell’ideologia (basti pensare agli attacchi a Benedetto XVI da Ratisbona ai preservativi), l’atomizzazione e il conformismo degli individui che potere e ideologia introducono nella società, i meccanismi della propaganda, la paura di dissentire dai totem che lo Stato (o gli Stati) impongono come senso comune attraverso i mezzi di istruzione e di comunicazione sostenuti da un adeguato sistema coercitivo di magistratura e di polizia. Infine Grossman inaugura l’epoca del cosiddetto “disgelo” kruscioviano. Che altro non fu, spiegano i Garrard, se non il tempo in cui «non si arrestavano e non si fucilavano più gli scrittori. Si arrestavano e si fucilavano i loro libri».

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