«A Maloula i jihadisti volevano azzerare il cristianesimo, ma siamo ancora qui»

Padre Toufic Eid racconta cosa rimane di Maloula, a sei anni dall'invasione dei terroristi islamici: «Hanno distrutto tutte le icone, avevano paura di guardarle. Sono tornati 800 cristiani su 3.000. La vita qui è una grande sfida, sperare è una sfida»

«La cosa che mi ha colpito di più è stato il rogo dei registri dei battesimi. È come se avessero voluto azzerare la nostra fede, ma non ci sono riusciti, perché siamo ancora qui». Padre Toufic Eid, parroca melkita della chiesa di San Giorgio, guarda dall’alto la città siriana di Maloula, a soli 60 km da Damasco, ricorda l’invasione dei jihadisti di Al-Nusra e la guerra che per nove mesi ha devastato questa cittadina, culla della cristianità, dove si prega ancora in aramaico, la lingua di Gesù.

«AVEVANO PAURA DI GUARDARE LE ICONE SACRE»

Parlando a Sir, ricorda le vere ragioni per cui questa cittadina di scarso valore strategico è stata invasa dallo Stato islamico e dai ribelli del Free Syrian Army nel 2013:

«Maloula era lo specchio della convivenza siriana. Lo hanno voluto mandare in frantumi per dare un segnale forte. Controllavano il villaggio dall’alto. I terroristi, infatti, avevano occupato l’hotel al-Safir, divenuto il loro quartier generale arrivando a distruggere anche una statua della Vergine Maria, Signora della Pace, messa dai cristiani locali a protezione del villaggio. Da quel momento in poi furono solo distruzioni di case e di chiese, profanazioni, incendi, saccheggi, esecuzioni sommarie. Le suore di santa Tecla furono prese in ostaggio per circa 4 mesi. Lo stesso destino toccò a 6 giovani cristiani, cinque dei quali ritrovati poi morti. Del sesto, invece, non abbiamo più notizie. Non sono stati gli unici martiri di Maaloula».

Il sacerdote rammenta in particolare «l’accanimento dei terroristi verso le immagini sacre: le icone sono state tutte sfregiate, avevano paura di guardarle. Hanno sfregiato i volti dei santi, del Cristo, mandato in frantumi le statue. Hanno fatto a pezzi gli altari, le iconostasi, il fonte battesimale».

«SPERARE È UNA SFIDA»

Ma questo è il passato di Maloula. Oggi i bambini giocano nel cortile della chiesa di San Giorgio senza dover temere bombe e cecchini: «Sono un segno di vita da preservare. Il futuro passa da loro». A cinque anni dalla riconquista dell’esercito siriano, la città sta rinascendo, anche se è ancora largamente disabitata:

«La popolazione è fuggita e ancora non ha fatto ritorno. Le case hanno bisogno di essere rimesse in piedi velocemente. La comunità cristiana è composta adesso da circa 800 persone, poche rispetto alle oltre tremila di qualche anno fa.  Abbiamo restaurato la chiesa e, grazie anche alla Chiesa cattolica italiana, rimesso in piedi 190 abitazioni. All’appello ne mancano ancora 130, per una spesa totale di un milione di dollari. Stiamo ricominciando da zero grazie all’aiuto di tanti benefattori sparsi nel mondo.  La priorità è dare un tetto a chi non ce l’ha più e trovare il modo di continuare a vivere.  Quest’anno ho celebrato solo un matrimonio, nessuno nel 2018. I battesimi si contano sulle dita di una mano. La vita qui è una grande sfida, sperare è una sfida».

Foto Ansa

Exit mobile version