Il calcio senza mediazioni di Zamparini, uomo solo al comando di cui sentiremo nostalgia

Effervescente, mai domo, bisognoso di sfidare sempre tutto il mondo, era l'esempio di padre padrone vecchio stile. È morto nella notte tra lunedì e martedì

Il difensore argentino del Palermo Ezequiel Munoz stringe la mano al presidente Maurizio Zamparini, sceso a complimentarsi con la squadra, il 10 maggio 2011 (foto Ansa)

Per molti anni ha rappresentato, nel calcio italiano, l’iconoclasta per eccellenza, “anti” sempre per definizione e divertimento. Maurizio Zamparini è morto nella notte tra lunedì e martedì, in una clinica di Cotignola, in provincia di Ravenna. Era stato male, ricoverato e operato di peritonite a Udine (viveva in una villa asburgica ad Aiello del Friuli a meno di dieci chilometri da dov’era nato, Bagnaria Arsa), giudicato tra la vita e la morte, ne era uscito. Forse non erano stati scritti coccodrilli a sufficienza da salvargli la vita.

Le polemiche per divertimento di Zamparini

I coccodrilli, per chi non è del mestiere, sono i necrologi in giacenza, quelli che si preparano per un personaggio dato per spacciato e restano lì, in attesa della sua dipartita. Quelli per Niki Lauda, dopo il tremendo incidente del 1 agosto 1976 al Nurburgring, hanno allungato la vita di 43 anni al pilota austriaco. Effervescente, mai domo, bisognoso di sfidare sempre tutto il mondo, era l’esempio di padre padrone vecchio stile, certo, sapeva che “l’amalgama” non si acquistava nelle sessioni di calcio mercato, a differenza di un suo collega più ruspante, però il suo modello di calcio era quello dell’uomo solo al comando. Forse l’ultimo rimasto in questo senso è Claudio Lotito, che Zamparini detestava. A lui bastava di fare il padrone a casa sua, non pure a casa d’altri (leggi Lega Calcio). Le sue polemiche non erano per sete di potere ma per polemica, per divertimento. 

Avrebbe cacciato un allenatore dopo ogni sconfitta

In questi ultimi tempi, il nostro campionato, il nostro calcio hanno spinto in un cono d’ombra quelli come lui. Adesso abbiamo presidenti con i soldi degli altri e i veri padroni non hanno una faccia, hanno nomi americani, cinesi, canadesi, sono numeri, si chiamano fondi, scelgono gli allenatori con l’algoritmo. Lui non aveva un metodo per sceglierli ma era velocissimo nel cacciarli. A questo punto i numeri divergono. Prendiamo per buono questo: 51 allenatori nella sua carriera di presidente, di cui 7 in un solo anno. Enrico Preziosi, al Genoa, ha tentato, vanamente, di sfidarlo.

Raccontavano che prendesse le squadre delle città dove poi apriva uno dei suoi centri commerciali, uno dei suoi Mercatoni Z, magari aveva la sua convenienza, però a Venezia e a Palermo i migliori momenti degli ultimi cinquant’anni li hanno vissuti con lui al comando. Avrebbe cacciato un allenatore dopo ogni sconfitta. La domenica sera erano tutti licenziati. Ha raccontato Beppe Marotta. «Gli dicevo: va bene, presidente, ma facciamo alla ripresa». A quei tempi il lunedì c’era il canonico giorno di riposo. Al martedì Zamparini si dimenticava. Non sempre, certo.

Il crudele contrappasso dopo l’addio al Palermo

Avrà avuto anche buoni direttori sportivi, su tutti Beppe Marotta e Rino Foschi, al Palermo. In Laguna lanciò Recoba, alla Favorita l’elenco di giocatori da copertina è lunghissimo, con campioni d’Europa e del Mondo: Sirigu, Toni, Amauri, Cavani, Pastore (per cui attaccò Ibrahimovic: «è geloso di lui»), Dybala, Barzagli, Zaccardo, Grosso. Con il calcio aveva chiuso a dicembre del 2018, cedendo definitivamente il Palermo con cui aveva trascorso sedici anni.

Da allora la vita gli aveva riservato una specie di crudele contrappasso: gli arresti domiciliari, le accuse di falso in bilancio e autoriciclaggio, ma soprattutto la morte improvvisa nel sonno del figlio Armando a Londra, nell’ottobre del 2021. Di figli ne aveva altri quattro, da due mogli. Ogni tanto lo accostavano a qualche squadra, l’ultima è stata la Triestina. La sua risposta, una sorta di epitaffio: «A ottant’anni e dopo aver perso un figlio, con il calcio ho chiuso».

Malgrado le sue contraddizioni, le sue accuse spesso ritrattate, come quella all’Inter “(sono la banda Bassotti”), i suoi guai giudiziari e quella che si poteva scambiare per arroganza, era un esponente di un calcio più diretto, senza mediazioni, di cui forse non sentiamo la mancanza, ma un po’ di nostalgia, sì.

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