Zaia, forza, fonda la Csu veneta

"I veneti si aspettano che si stacchi dalla Lega ormai romana". Intervista all'imprenditore Roberto Brazzale

Imprenditore dalla testa ai piedi, cuore che batte per il Veneto, passione da cittadino per la politica. Roberto Brazzale è tutto questo ma poteva essere anche di più: poteva sfidare Luca Zaia alle regionali come candidato per gli autonomisti del Partito dei Veneti. Invece l’industriale vicentino del Gran Moravia, noto nella sua categoria come un cane sciolto (nel 2015 lasciò Confindustria in polemica sui silenzi riguardo la Banca Popolare di Vicenza, non fa mistero di essere ferocemente ostile all’euro, il sogno nel cassetto è l’indipendenza della sua terra), qualche mese prima che iniziasse la non-campagna elettorale che ha visto trionfare con il 76% il governatore leghista, lui preferì realisticamente la ragion aziendale. «Sono riconoscente verso chi ha dimostrato tanta fiducia – spiega – ma quella candidatura era impossibile per i miei impegni professionali. Tuttavia, ho potuto appurare l’esistenza di un grande spazio politico che potrebbe dar voce anche a quel milione di veneti che hanno votato per il referendum del 2017 ma non votano né Zaia né Lega». 

Uno spazio che va analizzato. Qual è la situazione politica ed economica che si presenta oggi sotto gli occhi di un imprenditore-tipo del Veneto? Attende di vedere dove e a chi finiranno i 209 miliardi del Recovery Fund?

I 209 miliardi del Recovery Fund, se si concretizzeranno, saranno una sciagura, risorse sottratte all’impiego accorto, produttivo e responsabile di milioni di singoli individui per essere affidati alla mano pubblica, dissipatrice e clientelare. Segnano l’infausto contagio ad un nuovo livello, quello sovrastatale, del morbo del debito e della spesa pubblica. La logica dei trasferimenti territoriali è stata estesa alla scala continentale; per finanziarla, oltre ai trucchi della Bce per monetizzare i deficit italiani, la Ue diventa soggetto esattore di imposte ed emittente debito. Una bestialità.

Di mezzo c’è stato il Covid.

La crisi Covid ha rimosso ogni pudore riportando prepotentemente alla ribalta il dirigismo sociale ed economico, falliti sempre ed ovunque. È un’orgia di debito e spesa pubblica: anziché mettere in moto i propri migliori talenti per produrre vera ricchezza, gli italiani si lanceranno ad applicare tutte le loro capacità nell’intercettare flussi prodotti da altri. La povera next generation sarà oberata di debito e soffocata dall’ipertrofia dell’intermediazione politica, in un’economia inquinata dal proliferare dello Stato azionista.

Punto di vista schiettamente liberista, ma una nuova fase non richiede un nuovo corso?

È un mondo delirante, convintosi improvvisamente che le regole naturali appartengano al passato e che i rapporti causa-effetto si possano ignorare lasciando spazio alle velleità del costruttivismo sociale e politico. La Ue, da moralizzatrice, è diventata una riedizione dell’Italia della spesa pubblica a debito degli anni Ottanta, con una Banca Centrale che stampa senza freni per acquistare titoli di Stato.

La formula sovranista di Salvini è appannata, e infatti ora sembra seguire almeno in parte il moderato Giorgetti. Cresce però Fratelli d’Italia. Ci sia avvia a una destra diversa, in Italia?

Il sovranismo come ritorno alla dimensione degli Stati nazionali unitari è la peggiore idea sul tavolo. Il fallimento del progetto unionista europeo, fotocopia degli unionismi statali, non va superato così, ma ritornando alla dimensione comunitaria ed intergovernativa in un’Europa delle Regioni che attui la sussidiarietà, enunciata e poco praticata.

Gli Stati nazionali hanno una loro forza cogente sul piano continentale, le Regioni o macro-Regioni no.

Tutto il mondo dimostra che oggi la dimensione ottimale di una comunità è di 5-10 milioni di abitanti. L’unica vera “riforma strutturale” da perseguire è la trasformazione degli Stati unitari e centralisti in federali, o addirittura l’autodeterminazione di quelle comunità che lo chiedano, con l’Europa a fare da garante e stimolo. Se per destra si intende rimettere al centro Stati unionisti nati nell’Ottocento per farsi le guerre ed oggi obsoleti relitti liberticidi incapaci di favorire benessere, sviluppo e libertà, meglio non abbia alcuno spazio.

Nel Veneto-Zaiastan la strapotenza del Governator lo proietta ben oltre i confini regionali. Lui però insiste nel voler mantenere un profilo da amministratore, chiave del suo successo. Solita prudenza di uno che ama solo i rischi calcolati?

Il Veneto ha confermato di essere una vera nazione, una comunità coesa ed omogenea, avvilita dalla renitenza dello Stato italiano a concedergli gli spazi di autonomia che chiede e gli spettano. Zaia è troppo intelligente per farsi inghiottire dal vaniloquio del tritacarne romano, che conosce bene. Altrettanto, si asterrà dal comandare sui milanesi, impresa mai riuscita ai veneti, che pure conquistarono Costantinopoli.

La vecchia storia interna alla Lega della Lombardia che comanda sul Veneto.

Milano ormai è città profondamente italiana, simbiotica a Roma, non vuole vera autonomia nonostante la presenza di eccellenti élites, a differenza della periferia lombarda che, guarda caso, fu a lungo veneziana.

Dunque secondo lei Zaia rimarrà a Venezia a fare il doge?

Perché rinunciare al giocattolo che ha costruito, proprio sul più bello? Potrà governare con una giunta di fedelissimi perfino senza la Lega di Salvini che ha umiliato alle urne. Nel 2026 avrà l’Olimpiade e dello tsunami di denari dalla Ue qualche rivolo giungerà anche alle regioni, rendendone più gratificante la gestione. Il suo vero problema è l’autonomia.

In che senso?

Luca ha ottenuto un successo straordinario, meritato, che credo lo impensierisca non poco. Come potrà limitarsi a fare il bravo amministratore quando tutto il Veneto lo vuole condottiero nella sfida allo Stato per ottenere, se non l’indipendenza, l’autonomia particolare di 23 materie con il 90% delle risorse da lui stesso invocata? I veneti se lo aspettano e Luca non potrà sottrarsi alla storica responsabilità che questo plebiscito gli ha caricato sulle spalle.

Ma secondo lei ci sono concrete possibilità che ce la faccia, a strappare l’agognato trofeo?

È evidente a chiunque abbia un minimo di senso pratico che al dunque lo Stato non concederà nulla di concreto, nonostante la Costituzione sia fortemente regionalista. L’autonomia si dovrà andare a prenderla.

Come?

I veneti si aspettano che la Lega di Zaia si stacchi da quella lombarda, ormai romana, per dar vita a quel partito territoriale che è sempre più forte ad ogni elezione, ha la maggioranza assoluta in Veneto, ma non ha ancora trovato leader, casa e bandiera. Zaia ha in mano questa occasione storica, irripetibile, il re di denari. Solo un forte partito territoriale con i suoi rappresentanti a Roma ed a Bruxelles, che sappia fare politica ad alto livello ricercando le più utili alleanze anche all’estero, potrà forzare il blocco politico delle rendite parassitarie che hanno portato alla bancarotta il Bel Paese e che rischiano di trascinare in un analogo destino la Germania e l’intera Ue. Il laboratorio veneto rappresenta la sola speranza per l’Italia, per l’Europa e per lo stesso meridione.

Insomma lei sogna una Liga Veneta 2.0, il partito di Zaia? Praticamente una scissione. Vasto programma.

Esattamente, un forte partito territoriale, modello Csu o Svp, aperto dialetticamente alle varie espressioni sociali. Credo sia l’auspicio di tutti i veneti. Luca sa che quando farà questo passo saremo con lui e la sua formidabile carriera di amministratore potrà assurgere a quella di grande politico. Nell’azienda-Veneto non è più il tempo della gestione ordinaria, ma quello delle operazioni straordinarie. Non più il tempo dei diligenti capi-reparto ma quello dei capitani d’industria, coraggiosi, visionari e disposti ad affrontare tutti i rischi di una grande impresa. Forza Luca!

Foto Ansa

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