Votare Sì al referendum lombardo per non pagare più dazio a Roma

Una Italian California che non ci vede più nessuno in Europa. Faremo ripartire il lavoro da Trapani a Gorizia, valorizzando le risorse in loco.

Questa mattina, 4 ottobre di san Francesco patrono dell’Italia, mi sento molto buono perché sono quasi arrivato all’età della ragione (ho sfondato i 60) e perciò non voglio litigare con quella pierina della Meloni che sfrutta il referendum all’hashish della Catalogna per picconare quello di Lombardia. Altro mondo il 22 ottobre autonomista lombardo dal primo ottobre bolscevico di Barcellona. Per altro, data storica al servizio di una vera Italia unita. Un sogno? Sì. Ma bellissimo quando andremo a comandare noi. E che detto molto in soldoni si sintetizza in questo: il sogno del taglio della mano morta di Roma. Padrino senza un Marlon Brando che ci taglieggia e digerisce nel nulla le risorse da sud a nord. Ma se ci mettiamo d’accordo noi, regioni del nord e del sud, bypassando l’artiglio parassitario dei palazzi del dazio romano, vedrete che ci rifacciamo un Paese federalista e solidale. Una Italian California che non ci vede più nessuno in Europa. Faremo ripartire il lavoro da Trapani a Gorizia, valorizzando le risorse in loco. E a quelli che prendono lo stipendio e le pensioni dorate per controllare i controllori del controllo di chi lavora e paga le tasse per farci il buco miliardario di tutti gli enti locali e statali romani tenuti nella famosa “legalità” dello status quo dell’unità ottocentesca trombona e magna magna del sudore e sangue del popolo, da paparazzi trasformisti e polverose Corti e azzeccagarbugli di Stato.

Ma non voglio farmi subito querelare per “attentato” all’Unità dello Stato. Che L’Unità è già fallita da un pezzo. E lo Stato, il nostro Stato colabrodo, è ormai l’ultimo rifugio delle canaglie. Dunque, dicevo, siccome è il mio compleanno e scocca nel giorno del poverello d’Assisi che ci ha resi orgogliosi di essere italiani, per prima cosa dirò che il quotidiano romano Repubblica ci faccia il santo piacere di smetterla con questo ricicciamento della (falsa) notizia dell’“evasione fiscale” record in Italia. Che è la notizia che ha fondato il governo Monti, che la Merkel ha fortemente voluto e su cui la Ue (lato Nord Europa) scommette ancora per spazzolare i risparmiatori italiani e indurre una finanziaria da prelievo forzoso nei conti correnti (già lo fece Amato su spintarella di Soros, l’amichetto di D’Alema, e non mi pare una grande idea, vedi Ungheria che ha capito tutto). Per altro a Repubblica, la romana doc, bisogna dire questo: siete per il fisco? Ok, incominciate a far pagare al vostro padrone quel tot di centinaia di milioni di elusione fiscale che gli hanno sentenziato (e sono 26 anni che mette di mezzo avvocati per non pagare). E poi mettetevi il cuore in pace: sappiamo che il vostro Carlo De Benedetti, oltre a essere stato la tessera numero 1 del Pd è stato lo spavaldo, “moderno imprenditore”, che spiegò tranquillo al Financial Times, a proposito delle Olivetti di Prima Repubblica, chissà perché, adottate in ogni piega di ufficio statale, dalle poste ai ministeri: «Ho pagato le tangenti, lo rifarei, questo era il sistema». Già quando il sistema “era”, c’era chi aveva il privilegio di tangentare (gli altri: “in galera!”). Quando il sistema è, beh, 26 anni di avvocati per non pagare. Dalla panetteria Repubblica, cari cittadini, eccovi qui sfornate di giornata brioches di indignazione per tutti! Dopo di che, eccovi la notizia vera, suffragata dai dati regionali e statali, che ho pubblicato qui, su Tempi del 25 aprile 2015 e che ripropongo per rinfrescare la memoria alle pierine Meloni e per darvi buone ragioni, cittadini del nord e del sud, per andare il 22 ottobre a votare “sì”. E in un bellissimo giorno che verrà, a comandare bypassando il taccagno e sperperatore dazio di Roma.

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Tratto da Tempi, 25 aprile 2015 – Domanda da terza elementare: quante sono le regioni italiane? Le regioni italiane sono 20. Bravo Pierino. E sapresti dirmi quali di queste venti regioni sono a “statuto speciale”, cioè sono regioni a cui la Costituzione italiana ha concesso, tra l’altro, il privilegio di trattenere sul proprio territorio chi il 60, chi il 70, chi il 90, chi il 100 per cento delle tasse pagate dai cittadini? Ma certo che lo so signora maestra! Le regioni a statuto speciale sono cinque: il Friuli Venezia Giulia, che trattiene il 60 per cento dei tributi; la Sardegna, che si tiene il 70; la Valle d’Aosta e il Trentino Alto Adige, il 90; la Sicilia, il 100 per cento. Molto bene, Pierino. Adesso vai a casa e studia i fatti. Perché al di là di quello che sta scritto nella Costituzione, in realtà le regioni a statuto speciale sono 19, mentre una, e una soltanto, è a statuto ordinario. La Lombardia. Il bancomat dello Stato centrale. Dopo di che capirai perché i grandi corpi dello Stato (procure), i grandi giornali statalisti (Repubblica) e i grandi partiti centralisti (Pd), sono ancora a mordere questa regione “ordinaria”, nel tentativo di radere definitivamente al suolo (come hanno fatto con Formigoni, non parliamo di Berlusconi e, più recentemente, con il politicamente lombardo Lupi) un modello di buon governo di cui si è voluto in ogni modo impedire l’affermazione a livello nazionale.

Quanti default mascherati
Ricapitoliamo. Il tema è: quanto pagano i cittadini per mantenere servizi e amministrazione pubblica (almeno) decenti? Quali sono le regioni che spendono meno e meglio le tasse dei cittadini? La settimana scorsa abbiamo illustrato i dati in cui emerge la distanza siderale che c’è tra il governo lombardo e tutti gli altri nell’uso dei soldi dei contribuenti. Dal costo pro capite del personale pubblico (19,8 euro in Lombardia, record nazionale di spesa minima, 177 euro in Molise, record di spesa massima; media nazionale: 43,9) alle spese per la sanità che rappresentano l’80 per cento del budget delle regioni (il costante pareggio di bilancio della Lombardia contro le decine di miliardi di buco accumulati dalle regioni del Sud con conseguenti piani di rientro, malasanità, pesanti ticket, disagi per l’utenza; l’arrancare anche delle regioni del Centro-Nord, i disavanzi di quelle a statuto speciale).
Dalle aliquote fiscali Irpef e Irap (mediamente superiori ovunque alle aliquote lombarde) alla situazione del trasporto pubblico locale (dove ancora una volta la Lombardia si segnala per essere largamente al di sopra del livello minimo di efficienza, mentre da Roma in giù il servizio dei trasporti locali è allo sbando, tecnicamente “in default” se non fosse sussidiato dallo Stato). Da ultimo avevamo visto che mentre la Lombardia paga regolarmente i propri fornitori e perciò non chiede un cent allo Stato, la sola regione Lazio, per non fallire come pubblica amministrazione e, soprattutto, per non far fallire i suoi creditori, si è “mangiata” tra il 2013 e il 2014 una cifra pari a sei volte il presunto “tesoretto” del governo Renzi, incassando dallo Stato, cioè dalla collettività, oltre 9 miliardi in “anticipazioni finanziare” cosiddette. Che in realtà sono “mutui”, visto che il Lazio e le altre regioni che ne hanno usufruito (Campania e Piemonte su tutte) devono restituire questi soldi “anticipati” dallo Stato in 30 anni (ma allo Stato non è stato fatto divieto dalla Costituzione, articolo 119, di fare debito per la spesa corrente?).

La madre di tutte le sperequazioni
Come mai la Lombardia è l’unica regione italiana che non gode di uno “statuto speciale”? Osserva la tabella dei dati nazionali, Pierino. Non ti sembra che, eccetto la Lombardia, siano ormai “speciali” tutte le regioni italiane, in via di principio (costituzionale) o di fatto (per politiche di governo dello Stato)? Vediamo. La Lombardia ha il più alto residuo fiscale nazionale. Sfiora i 54 miliardi di euro l’anno. Significa che un buon 32 per cento del suo saldo positivo tra entrate e spese (comprese quelle per il buono scuola, per la difesa della vita nascente, per il sostegno alle famiglie e parecchi altri provvedimenti sociali assenti in quasi tutto il panorama regionale del Paese) la Lombardia lo devolve interamente allo Stato.
In “solidarietà” alle regioni meno abbienti e in perequazione al gettito delle regioni più piccole. Ora, proprio tenendo presente questa percentuale di residuo fiscale, al di là delle cifre in valore assoluto versate a Roma (che dipendono ovviamente da quantità della popolazione e distribuzione di ricchezza e povertà nei vari territori), salta immediatamente agli occhi l’iniquità e l’ingiustizia pazzesca che lo Stato centrale esercita nei confronti della Lombardia. Essa, infatti, è la regione italiana che in percentuale trattiene il minore gettito (entrate). Solo il 68 per cento. Viceversa, in tutte le altre regioni succede il contrario.
Succede che, benché 9 delle altre regioni italiane presentino residui fiscali in valore assoluto molto più bassi di quelli della Lombardia e le rimanenti altre 10, concentrate al Sud, addirittura residui negativi, tutte e 19 trattengono e spendono per sé percentuali altissime del gettito locale, e sono quindi divenute di fatto tutte regioni a statuto speciale. C’entrano niente, nel caso esaminato, le opinioni politiche. Le generalizzazioni demagogiche dei giornaloni contro la “casta” dei politici. Il vittimismo sulle regioni “povere”. Le furbastre ondate di indignazione orchestrate contro questo o quel “ladro” dal circuito mediatico-giudiziario. Qui – come per i dati esposti settimana scorsa e sintetizzati sopra – c’entra un sistema. Qui c’entra uno Stato centralista che fa dell’iniquità, della sperequazione e, quindi, dello sperpero delle risorse un sistema ben oliato e superlegalizzato.
Approfondiamo. Dopo la Lombardia, la seconda regione più “spremuta” dallo Stato è il Veneto. Però siamo già 6 punti percentuali sopra la Lombardia, cioè al 74 per cento delle entrate trattenute, spese sul proprio territorio. Un “privilegio” superiore a quanto la Costituzione assegnerebbe alla Sardegna. Piccolo particolare: la Sardegna trattiene e spende in regione non il 70 e neanche il 100 per cento delle entrate. Bensì, il 100 più un rabbocco di un altro 26 per cento prelevato in solidarietà dalla cassa comune dei contribuenti italiani. Ma questo non è niente.
Piemonte, Toscana, Marche, Umbria, Lazio e Liguria, a cui lo Stato concede di trattenere e spendere, nell’ordine, andiamo per difetto, l’83 per cento delle entrate, l’84, l’87, il 90, fino a picchi del 92 (Lazio) e 95 per cento (Liguria), sembrano regioni quasi più “speciali” del Trentino Alto Adige (96 per cento). Di sicuro, più “speciali” delle amministrazioni pubbliche trentine e altoatesine sono l’Abruzzo (105 per cento), la Basilicata (106), la Campania (107), il Molise (109) e la Puglia (109). Significa che a tutte queste amministrazioni regionali non soltanto lo Stato concede il privilegio di trattenere e spendere in loco l’intera posta fiscale, ma siccome spendono più di quello che incassano, lo Stato mette a disposizione di queste regioni un bancomat (dicesi “trasferimenti”) per prelevare altri soldi dalla cassa comune di tutti i contribuenti italiani (e specialmente lombardi).

Traduzione per i contribuenti
Domanda: lo Stato concede tale privilegio a queste regioni perché esse erogano servizi particolari, più “speciali”, di quelli erogati dal Trentino Alto Adige? Se così fosse, si capirebbe perché non è affatto la Sicilia la regione più “speciale” d’Italia (120 per cento), ma è la Calabria. Regione a “statuto speciale” per eccellenza, visto che incassa e trattiene e spende quasi il 128 per cento, tra entrate e rabbocchi statali.
Tradotta in soldini pagati dalle comunità regionali dei contribuenti, la morale è la seguente. Come ci ricordano gli Uffici Studi della Cgia di Mestre sulla base dei dati Unioncamere e dei conti pubblici territoriali (Cpt), la Lombardia, pur gestendo mediamente bene le tasse dei suoi cittadini, pur mantenendo servizi mediamente superiori alla media nazionale, subisce da parte dello Stato centrale i maggiori tagli e prelievi di risorse.
Tradotto in euro pro capite, ci ricorda la Cgia, significa che con residui fiscali annui pari a 53,9 miliardi di euro in Lombardia, «ogni cittadino lombardo (neonati e ultracentenari compresi) dà in solidarietà al resto del Paese oltre 5.500 euro all’anno». E tutte le altre regioni? Per lo più spendono. E soprattutto spandono. Tanto paga Pantalone lombardo.

@LuigiAmicone

Foto Ansa

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