Vietato farsi i brogliacci altrui

Da Torino a Napoli, è partita una inedita crociata contro lo spaccio illegale di «intercettazioni irrilevanti». A guidarla sono i capi procura. Speriamo che serva

Pubblichiamo la rubrica di Maurizio Tortorella contenuta nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

E tre. Il primo fu il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone. Nel novembre 2015 stabilì con un’ordinanza che «la polizia giudiziaria e il pubblico ministero dovranno evitare d’inserire nelle note informative, nelle richieste e nei provvedimenti, il contenuto di conversazioni irrilevanti e manifestamente non pertinenti rispetto ai fatti oggetto d’indagine».

Il secondo è Armando Sparato, procuratore di Torino: il 15 febbraio scorso ha varato una direttiva destinata ai suoi sostituti che stabilisce che tutte le intercettazioni «irrilevanti o contenenti dati sensibili» (per esempio preferenze sessuali di un indagato o di un terzo estraneo alle indagini) debbano essere «estrapolate dal fascicolo al termine delle indagini preliminari». I magistrati informeranno gli avvocati che intendono chiederne la distruzione e questi, se lo desiderano, potranno ascoltare le conversazioni o consultare le carte ed eventualmente opporsi alla soppressione immediata.

Il terzo è il procuratore di Napoli, Giovanni Colangelo, che il 16 febbraio ha firmato una circolare sulle intercettazioni non rilevanti: la polizia giudiziaria non potrà indicarle per esteso né in sintesi, ma dovrà «limitarsi a riportare, sul brogliaccio di ascolto, l’annotazione “intercettazione irrilevante ai fini dell’indagine”». In caso di dubbi, gli investigatori dovranno sottoporre il contenuto del colloquio al pubblico ministero. Se poi il pm dovesse propendere per l’inutilizzabilità o l’irrilevanza dell’intercettazione, «trasmetterà la nota della polizia giudiziaria, previo visto del procuratore aggiunto competente, alla segreteria del procuratore capo». Qui gli atti verranno conservati in un protocollo riservato ed eventualmente distrutti «se e quando il giudice lo ordinerà». Le intercettazioni inutilizzabili perché viziate all’origine, ad esempio per mancata convalida o perché proseguite al di là del termine della scadenza, «non dovranno ricevere alcuna forma di documentazione» e il pm dovrà immediatamente chiederne la distruzione.

In realtà siamo già a tre e mezzo, perché a Firenze il procuratore Giuseppe Creazzo ha appena annunciato provvedimenti simili. Certo, sembra la nuova moda delle procure italiane: è una corsa a regolare le intercettazioni (che in realtà sono già perfettamente regolate dal Codice di procedura penale). Anche se a Milano, tradizionalmente apripista in molte mode giudiziarie, per ora, tutto tace: forse anche perché il procuratore Edmondo Bruti Liberati è andato in pensione e il suo successore non è stato ancora nominato.

Lo strano plauso dell’Anm
Per ora soltanto a Palermo il capo della procura Francesco Lo Voi ha preso le distanze: «Non serve una specifica disciplina, la legge c’è già». A Venezia il procuratore aggiunto, Carlo Nordio, ha correttamente ricordato che in realtà l’articolo 268 del Codice di procedura penale, al sesto comma, già prescrive che le intercettazioni possano essere utilizzate soltanto dopo la loro trascrizione nella forma della perizia, sentite le parti, e se queste ne fanno richiesta. «Invece – ha aggiunto Nordio – con una discutibile propensione accusatoria, la nostra giurisprudenza si è compiaciuta di interpretare la norma in modo opposto, e i brogliacci della polizia sono finiti, transitando attraverso le richieste del pubblico ministero e le ordinanze del giudice, su tutti i giornali».

Comunque sia, le direttive interne male non fanno, non c’è dubbio. Certo, sono molto tardive. E desta qualche perplesso stupore il favore con cui le saluta adesso perfino l’Associazione nazionale magistrati, da sempre schierata sulla sponda oltranzista. Il segretario generale dell’Anm, Maurizio Carbone, dichiara: «Io capisco che il diritto di cronaca sia sacrosanto. Ma noi come magistrati non possiamo permettere che il diritto alla riservatezza venga leso. E comunque non possiamo essere noi, in fase di indagine, a stabilire cosa sia interessante per la stampa e per i lettori. Noi dobbiamo semplicemente spiegare, nei nostri atti, il perché siano stati emessi provvedimenti dall’autorità giudiziaria. E dobbiamo riferire solo i comportamenti o intercettazioni pertinenti che sono rilevanti al fine delle indagini».

Fino a oggi, in realtà, non è andata esattamente così: dalle procure, per anni, è uscito praticamente di tutto; e quel tutto è stato usato (in realtà continua a essere utilizzato anche oggi) a fini di lotta politica sui giornali. «È vero», risponde Carbone. «Ma le regole del buon senso erano già note a tutti i miei colleghi. Ancora prima della direttiva di Torino. Di certo non lo scopriamo oggi. E di certo già doveva essere stato fatto prima».

La magra figura della politica
Sarà. Un fatto è sicuro: a uscire male da questa nouvelle vague giudiziaria non è la magistratura, che pure si mostra incoerente e in buona misura doppiopesista. Il vero disastro investe in pieno la politica, che dimostra ancora una volta di essere pienamente succube delle procure e del populismo giudiziario che purtroppo governa la maggior parte dei mass media italiani. Il disegno di legge per la riforma del Codice di procedura penale è fermo al Senato dallo scorso settembre; e il governo nel giugno 2014 aveva inserito le intercettazioni tra i 12 punti di una grande riforma della giustizia ancora ben al di là dell’orizzonte ottico.

L’iniziativa delle procure di Roma, Torino e Napoli conferma peraltro un’altra verità incontrovertibile: che già oggi esistono gli strumenti, le norme e le regole che potrebbero e dovrebbero impedire i mille abusi derivanti da un uso indebito delle intercettazioni. E che per troppo tempo, è evidente, ci sono stati magistrati e/o ufficiali di polizia giudiziaria che queste regole hanno violato impunemente.

A dire il vero, e va detto anche questo, non è la prima volta che un procuratore, sensibile ai temi dei diritti, interviene sui suoi sostituti per responsabilizzarli sulle intercettazioni. Piero Tony, fino al luglio 2014 procuratore capo di Prato, ha raccontato questa storia: «Quando arrivai a Prato, nel 2006, prescrissi ai miei sostituti di fare un riassunto delle intercettazioni, evitando ogni inserimento testuale delle trascrizioni. È il riassunto la soluzione: i terzi indebitamente coinvolti restano protetti, e nessuno, per restare all’esempio, saprà mai che il sottosegretario è omosessuale. Ma così il pm dovrebbe fare fatica. Quindi preferisce il maledetto taglia-e-incolla, che troppo spesso si trasforma in un ferro incandescente». Parole sante.

@mautortorella

Foto Ansa

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