Vertice Usa-Cina sui diritti umani e le persecuzioni pasquali di Pechino

Parte l'incontro di due giorni tra Usa e Cina sui diritti umani. Nell'ultima settimana: oltre 500 cristiani della chiesa di Shouwang confinati in casa dalla polizia a Pasqua. In 36 escono in piazza per pregare, arrestati. Detenuti i 300 monaci tibetani del monastero di Kirti che si sono opposti alla "rieducazione politica". Dissidenti scomparsi. Nuove rivelazioni su Ai Weiwei

Parte oggi un incontro a porte chiuse che durerà due giorni tra Usa e Cina per discutere dei diritti umani. Il rappresentante di Pechino sarà il dirigente del ministero degli Esteri Chen Xu, mentre Washington si presenta con l’assistente segretario di Stato con la delega ai diritti umani e ai lavori forzati Michael Posner.

Secondo diversi attivisti, di fatto «questi incontri producono scarsissimi risultati» nonostante gli Usa abbiano fatto sapere che si parlerà anche del “recente fenomeno negativo fatto di sparizioni forzate e detenzioni illegali”. Anche se rimane un grosso punto interrogativo sull’utilità di questi incontri, di sicuro non mancheranno gli argomenti, stando anche solo a quanto avvenuto in Cina nell’ultima settimana.

A Pasqua, secondo quanto riferito da Chinaaid, la polizia ha impedito ai fedeli della chiesa protestante di Shouwang di ritrovarsi in preghiera. Circa 500 persone sono state costrette a non uscire di casa, mentre con l’accusa di “riunione illegale” ne sono state arrestate almeno 36 che, nonostante le minacce, si erano recate in piazza per pregare.

La chiesa di Shouwang è una delle maggiori chiese domestiche (illegali per Pechino), con circa 1.000 fedeli e da tempo ha chiesto di registrarsi e di avere l’autorizzazione per gli incontri religiosi, senza ottenerlo. Già il 10 aprile scorso erano stati arrestati 169 fedeli, domenica 17 aprile circa altri 50.

Non solo i cristiani sono perseguitati. Lo scorso 21 aprile la dittatura comunista ha portato a termine la persecuzione contro i monaci tibetani del monastero di Kirti, nello Sichuan. Dopo aver assediato il monastero per settimane, impedendo ai monaci di uscire anche solo per comprare da mangiare, la polizia, come mostra un video esclusivo di Radio Free Asia, ha arrestato 300 monaci portandoli via in un luogo sconosciuto con dei pullman. Inutili le lamentele della gente, che hanno cercato di fermare la polizia: due persone sono state uccise mentre protestavano. La colpa dei monaci tibetani era essersi rifiutati di partecipare a corsi di “rieducazione politica”, ordinati dopo che il 17 marzo un monaco del monastero si è dato fuoco per protestare contro l’occupazione cinese.

Ma Pechino non si dedica solo alla repressione della libertà religiosa. Da metà febbraio il governo, temendo un allargamento alla Cina delle proteste che stanno investendo il mondo arabo, ha arrestato “preventivamente” e senza processo 39 attivisti.

Eclatante il caso di Ai Weiwei, il famoso artista figlio di Ai Qing, il poeta preferito di Mao Zedong, scomparso dallo scorso 3 aprile per aver criticato il governo. Un articolo uscito sotto lo pseudonimo Rong Shoujing lo scorso 21 aprile sul HRIC Biweekly Chinese Journal, rivela che Ai Weiwei ha deciso di firmare un documento precompilato dove ammette di avere “evaso il fisco”. A quanto si legge nell’articolo, si sarebbe convinto dopo aver visto il filmato che la polizia cinese gli ha mostrato sulle torture che ha dovuto subire l’attivista Gao Zhisheng.

Sempre secondo Rong Shoujing, l’arresto di Weiwei è dovuto a una vendetta personale di Fu Zhenghua, il capo del dipartimento di pubblica sicurezza di Pechino, che nel 2010, a seguito di un’eclatante protesta pubblica dell’artista che aveva fatto il giro del mondo, era stato costretto a incarcerare (per brevissimo tempo) i responsabili della Beijing Zhengyang Construction Engineering Co., società amica del regime che aveva demolito in modo arbitrario il Chuangyi Zhengyang Art District. Fu Zhenghua ha anche rischiato il licenziamento e a distanza di un anno si sarebbe vendicato arrestando e facendo torturare a più riprese Weiwei.

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