Compagno Vendola, le parole sull’utero in affitto sono importanti!

L'ex segretario comunista, oggi "padre" di un bambino grazie alla maternità surrogata, parla della sua esperienza. La sua narrazione fiabesca non regge

Il governo Meloni ha annunciato una legge che sanzioni come “reato universale” la gestazione per altri. Non si può più andare negli Stati Uniti d’America da single o coppia gay e tornare con un pargolo nato da Sharline e con un ovulo donato da Britney e chiamarlo poi Tobia Antonio.

Stiamo parlando dell’intervista rilasciata da Nichi Vendola al Corriere della Sera il 15 aprile, in reazione alle parole del ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità, Eugenia Roccella che ha parlato dell’utero in affitto come un crimine universale.

Il dito nell’occhio

Lasciamo perdere le definizioni e la forma, ma c’è qualcuno che può negare un problema etico? La narrazione offerta da colui che su Liberazione (quotidiano dell’allora Rifondazione Comunista) curava una rubrica dal titolo “Il dito nell’occhio”, parafrasi violenta di una dialettica feroce e talvolta barbara, è quasi incantevole. Tobia «è un bambino sereno, gioioso, socievole, curioso. Un giorno la cassiera di un bar gli ha detto: “Ti posso offrire un cioccolatino?”. Lui ha risposto che non gli piace la cioccolata. “Lo puoi portare alla tua mamma!”. E Tobia ridendo: “Ma io ho due papà, lo porto a loro”». Quale sia l’aspetto gioioso è alquanto oscuro, seppur qualsiasi frase pronunciata da un bambino può apparire sempre tenera.

Ma qui il punto è un altro. E l’unico a favore dell’ex governatore della Puglia è una domanda: se entrasse in vigore la legge, e i “genitori” venissero arrestati per il “crimine” che ne sarebbe del bambino? Dove finirebbero i suoi diritti? Certo, bisogna trovare un modo affinché non siano loro a pagare il desiderio egoistico e narciso di due adulti, uomini o donne, siano, gay, etero, o chissà cos’altro.

Quale diritto

La domanda però è palesemente retorica per tutti coloro che hanno militato in quel partito che puntava, in origine, all’abolizione della proprietà privata, poi alla socialdemocrazia in difesa delle classi sfruttate dal capitalismo, degli operai in catena, dei poveri senza prospettive, degli agricoltori malpagati. È davvero “un dito nell’occhio” la commercializzazione di un corpo ai fini creativi, per quella razza di gente che nel 1980 presidiava i cancelli di Mirafiori contro i licenziamenti di massa dei lavoratori.

Perché vedi, caro Nichi, se è davvero sacrosanto difendere la carne umana in catena dallo sfruttamento, se è imprescindibile proteggere le classi più fragili dall’Impero e se è tanto vero che il vecchio Marx aveva malamente pensato alla Rivoluzione (non Russa), sostenendo i consigli di fabbrica, elogiando il partito di classe, come è possibile oggi ribaltare tutto in virtù di un desiderio che, per carità, non viene chiamato “diritto”, ma si basa proprio sul pagamento per un’opera, che tu probabilmente chiameresti occasionale?

Come si vende un rene

E se oggi parliamo di sfruttamento dell’intera vita dell’uomo, e a tale ci vogliamo opporre, come possiamo semplicemente tollerare, senza farci venire l’orticaria, le tue parole, sicuramente dolci e amorevoli, che ci raccontano che la donna che ha partorito tuo figlio era «fondamentalmente curiosa. Una sua cugina aveva partorito per una coppia gay ed era stata una esperienza molto bella».

Questa narrazione fiabesca e moderna, tanto liquida, quanto imperialista, non regge. Come non si può chiamare questa pratica, e stiamo parlando della nascita di un bambino e non due pinguini maschi tristi perché non hanno figli al Central park a New York, un’operazione commerciale sul corpo di una donna? Qui i giri di parole non servono, tu stesso parli del «ristoro di un anno di lavoro mancato per Sharline». Ma cazzo Nichi, le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti, l’utero in affitto è commercio, pratica di compravendita, mercimonio. E una donna che si presta a questa pratica non lo fa per simpatica e generosa offerta caritatevole, ma perché ha bisogno di denaro. Come qualcuno che si vende un rene. E tu l’hai pagata, pagata, pagata!

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