Uno “scudo” per ripartire. Lasciando l’accertamento delle responsabilità al piano politico

Durante l'emergenza Covid, ci sono stati errori e ritardi, ma le responsabilità di carattere generale non possono che appartenere all’ambito del giudizio politico

Tratto dal Centro studi Livatino – Ospitiamo con piacere l’intervento del sen. Maurizio Sacconi, già ministro del Welfare e già presidente della Commissione Lavoro del Senato, che pone con argomentazioni logiche una questione reale: quella del piano di accertamento delle responsabilità connesse alla diffusione in Italia del Covid-19. E’ una questione controversa ma non eludibile, sul quale è bene che il dibattito si apra senza condizionamenti ideologici e col massimo della chiarezza: dote che, unitamente a un solido senso della realtà e a comprovata esperienza istituzionale, non manca all’Autore di questa riflessione. Sulla opportunità di limitare, anche a regime, la responsabilità del medico al risarcimento sul piano civilistico, escludendo quello penale, cf. su questo sito l’intervento del prof. Mauro Ronco.


Chiedo subito venia se, contravvenendo alla usuale qualità tecnica delle considerazioni raccolte dal Centro studi Livatino, svolgerò brevemente una tesi sostenuta da esigenze di stabilità politica ed economica con rinvio alle professioni esperte per la sua puntuale declinazione.

Sono ormai note – e qui più volte trattate – le anomalie del nostro sistema giudiziario, e in particolare le propensioni ad indagini di carattere teoremico e sistemico con ricorrenti asimmetrie di carattere geopolitico. Nel contesto di una straordinaria pandemia globale che non ha avuto precedenti nel lungo periodo postbellico, gli errori di previsione e di azione, i ritardi e i comportamenti omissivi, sono stati diffusi a partire dalle istituzioni centrali e dai loro numerosi consulenti fino ai poteri regionali e locali, alle aziende o unità socio-sanitarie. Chi si sente senza peccato, scagli la prima pietra.

Tuttavia, per quanto possa comprensibilmente prodursi una domanda di giustizia nei molti che hanno perduto i loro congiunti, le responsabilità di carattere generale sulla gestione del contagio non possono che appartenere all’ambito del giudizio politico. E della storia. Sono convinto che anche una commissione di indagine (non di inchiesta!) parlamentare potrebbe un domani consentire di ricostruire i tempi e i modi delle decisioni pubbliche per non ripetere. Altrimenti dovremmo chiamare in giudizio tutti coloro che, nonostante il preavviso visionario di non pochi, hanno ritenuto più probabile un disastro ambientale che non un evento pandemico.

È ben vero che l’Italia è l’unico Paese al mondo in cui sono stati rinviati a giudizio molti geologi per non avere previsto un importante terremoto ma poi, per fortuna, giustizia è stata fatta. D’altra parte, la nostra crescita economica in costanza del contagio, sarà lenta e faticosa per cui un prolungato clima di nuova instabilità istituzionale, come nei primi anni ‘90, potrebbe ulteriormente favorire quel default che in Italia è sempre immanente.

A maggior ragione, lo scudo dovrebbe riguardare le professioni sanitarie e gli stessi datori di lavoro con la eccezione di responsabilità dirette e personali che prescindano dalla fragilità del contesto. Nel caso dei rapporti di lavoro, l’adozione corretta e l’applicazione effettiva dei protocolli di salute e sicurezza indicati dalle autorità dovrebbe avere carattere esimente di ogni responsabilità penale, civile e amministrativa.

Perfino dopo la guerra civile, il governo di unità nazionale decise un provvedimento di ampia amnistia per gli odiosi reati commessi anche successivamente alla fine delle ostilità e proprio allo scopo di ricomporre le infinite lacerazioni prodottesi nella società. Oggi si tratta di fare molto meno, in termini mirati a tutto ciò che si riconduce al contagio e solo ad esso. Nel nome dell’interesse generale di una nazione già sofferente.

Foto Ansa

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