Una rivoluzione conservatrice di Trump

Dalla difesa dei confini al (presunto) tradizionalismo del suo primo consigliere, qui si spiega il mistero di un presidente ultra-amerikano che piace alla destra

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Trump contro tutti! Potrebbe essere il titolo di un film o di un fumetto della Marvel, eppure è una realtà che da tre mesi si è presentata sulla scena mondiale dopo la vittoria di Donald J. Trump. Una vittoria a sorpresa solo per chi non si voleva render conto della reale situazione degli Stati Uniti oscurata dalle ricostruzioni e informazioni ideologicamente orientate della stampa e della tv americane e italiane. Trump ha vinto contro tutti: non solo contro Hillary e i democratici, ma anche contro il suo stesso partito repubblicano, i giornali liberal, i sondaggi ufficiali, contro Hollywood, contro l’intellighenzia progressista, contro l’establishment dell’East Coast, contro Bergoglio, contro l’Unione Europea, soprattutto contro la dittatura del politicamente corretto inventato proprio in America. Insomma, contro l’egemonia del Pensiero Unico che manovra i media mondiali.

La famigerata “macchina del fango” con Trump non ha funzionato, e la gente l’ha votato lo stesso, quella che una volta si chiamava “maggioranza silenziosa”, quella che non scende per le strade a sfasciare vetrine e bruciare auto per protestare democraticamente. Se la gente, quella delle campagne, gli operai licenziati dalle fabbriche chiuse, la classe media oppressa di cui Trump ha intercettato i disagi, le paure, le attese e le speranze, lo ha votato, ciò vuol dire che ci troviamo di fronte al pericolosissimo “populismo”? ’Sta gentaglia, infatti, ha scritto la “grande stampa” americana, cui hanno fatto pappagallescamente eco gli esperti della “grande stampa” italiana, è rozza e ignorante, facile da suggestionare. E il populismo non può che essere, strano ragionamento, solo e soltanto “di destra”. Che cosa pensare di fronte a Trump che in campagna elettorale cita (sbagliando, però) Mussolini? Mentre il suo consigliere più stretto, Steve Bannon, cita in Vaticano (nel 2014!) “tradizionalisti” di ieri come l’italiano Julius Evola e di oggi come il russo Aleksandr Dugin, a sua volta consigliere di Putin.

L’outsider divenuto uomo politico
Il fatto che Trump abbia tutti contro e non gliene importi un bel nulla ce lo rende simpatico. Ma il fatto che abbia una cultura identitaria, che voglia difendere i confini del proprio paese (un concetto che i buonisti universali utopisticamente vorrebbero abolire), che intenda proteggere la vita economica americana e i lavoratori americani dai prodotti sottocosto fabbricati all’estero da operai sottopagati, che abbia idee concrete come le hanno di solito i repubblicani, a differenza dei democratici, che non pensi affatto alle ipocrite “guerre umanitarie” per imporre la “democrazia” occidentale nel mondo: ebbene tutto questo ne fa un uomo politico, da outsider che era, con cui fare conti politici, non battaglie ideologiche che lo condannano a priori.

È la sua una politica “di destra”? E di quale “destra”? È un conservatore, un reazionario, rappresenta una specie di “destra sociale”? Di certo pensa al concreto, a mettere in pratica – cosa alquanto rara – le promesse elettorali, e lo scontro, del tutto ideologico, con i giudici e la stampa per i suoi “ordini esecutivi” lo dimostra. Come si muoverà in altri settori, su altre linee, è troppo presto per dirlo. Intanto sappiamo che la sua è una politica antiglobal, proprio così, e chi fa di mestiere l’antiglobal neppure se ne è accorto! L’insinuazione del New York Times che ha fatto il giro del mondo, secondo cui, come si è accennato, Bannon possa traghettare alla Casa Bianca le idee “tradizionali” di Evola e Dugin, sembra una mera illazione polemica, anche se i libri di entrambi sono tradotti in inglese.

Il ribaltamento impossibile
Come mettere in pratica certe teorie “tradizionali”, una visione del mondo spirituale, pensare a una élite che possa influenzare su questo piano la politica-politicante e la cultura-militante? Tutto questo è l’opposto del populismo correntemente inteso, ma non è detto che non vi possano essere due livelli, da un lato una classe dirigente con una preparazione e una cultura antiprogressiste e dall’altra una politica sul campo che guardi al bene dei cittadini in un’ottica che approssimativamente si potrebbe definire di “rivoluzione conservatrice”. Una cosa ben diversa da una intellighenzia di sinistra che, piena di sé, disprezza nella pratica non solo gli avversari ideologici ma anche il “popolaccio” e si comporta come gli “ingegneri delle anime” sovietici per indottrinarlo e guidarlo verso un “radioso avvenire”. Però gli Stati Uniti sono la vera patria del materialismo e del laicismo, diffuso, soprattutto dal 1945, in tutto il mondo. Sebbene esistano nel paese seri nuclei che si oppongono alla secolarizzazione materialistica facendo riferimento a pensatori europei (non ci si riferisce ovviamente alla pseudoreligiosità della New Age), sembra proprio difficile se non impossibile un ribaltamento epocale.

La crociata progressista contro Trump fa parte della deriva imboccata da decenni in Occidente. Il tycoon viene considerato un corpo sostanzialmente estraneo e nei suoi confronti c’è una guerra santa senza pietà. Se il presidente non si consoliderà in tempo, potrebbe finire o come Kennedy o come Nixon. L’America, “la più grande democrazia del mondo”, è anche questo.

Foto Ansa

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