Un ricordo (e una barbera) per don Luigi

Il bicchiere mezzo pieno. Enogastronomia politica

La nebbia del quartiere Feltre era spessa spessa. E a me piaceva, perché tornando a casa dal cuore del quartiere – che era l’oratorio – riconoscevo strade e muri con la sorpresa, cammin facendo, di incontrare un amico (ne avevo tanti all’oratorio) che di colpo usciva dalla coltre. Nei giorni scorsi è scesa ancora quella nebbia che nasconde sempre un positivo, quando mi han detto che era morto il don Luigi (a Milano è d’obbligo l’articolo davanti al nome). Era il mio parroco, quell’uomo vispo e carico di simpatia, rubizzo e attivo. Uno così – ne sono certo – amava la Barbera, come tutte le persone che amano le cose buone. Giocava a carte, faceva compagnia alla gente, non era d’accordo con noi giovani ma lasciava fare. Quel parroco ha costruito un popolo. Albi, al quale ho dedicato insieme ad Angelo, Antonella e Dario il mio libriccino annuale intitolato “Dell’amicizia” mi disse un giorno che quando muore una persona cara bisogna chiedere i miracoli. Ed è certamente questo il positivo della nebbia, come il seme che prima muore per poi dare frutto. Quanta nostalgia se penso a chi mi ha fatto diventare grande. A don Carlo Casati, il coadiutore, cui devo tutto, come un padre al quale ho ubbidito; che diventando più grande ho contestato… col quale tante volte mi sono confidato, per progettare sogni o semplicemente per diventare un uomo. Scrivo queste righe, forse intimiste per qualcuno, perché la notizia dei giorni scorsi che la Regione Lombardia ha riconosciuto agli oratori il loro alto valore educativo, è un fatto di giustizia e di civiltà. Noi che negli oratori siamo cresciuti, noi che non li troviamo più, oggi, per i nostri bimbi inghiottiti dal fast food e della televisione, sappiamo cosa bene vuole dire tutto questo.

A Formigoni voglio dedicare la Barbera che sarebbe piaciuta anche al don Luigi, con la quale brinderò l’ultimo dell’anno, perché per il 2000 ci vuole un vino che faccia dei racconti, un qualcosa che assomigli alla vita. E allora ci vuole La Monella del mio amico Giacomo, che fece scendere la nebbia a Rocchetta Tanaro, quando se ne andò in cielo proprio il giorno di Natale del 1990. Una grande annata. La più grande del secolo. E dopo sette giorni nacque Marco Giacomo, il mio secondogenito, per ricordarmi ancora il positivo nel mistero della vita.

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