Un milione di persone (non cammellate) dal Papa. Io c’ero

Ci si poteva risparmiare la fatica. Si poteva restare spettatori. Non coinvolti, distaccati, sul divano. A lasciare vivere la vita ad altri.

3 giugno 2012, Incontro mondiale delle famiglie. Messa conclusiva con il Papa, a Bresso. Un milione di persone, suppergiù. Io c’ero.

Uno se lo può anche domandare, cosa ci è venuto a fare.
Anzi, se lo deve domandare. Se no il rischio è di viaggiare intruppato, cammellato neanche da una parola d’ordine o una organizzazione, ma dal proprio stesso pensiero. Marciare senza capire, senza cercare di capire, è peggio di stare fermi, ti stanchi e non sai neanche dove stai andando. Che mica te lo hanno ordinato, mica te lo hanno domandato di venire: no, tu hai scelto.

E uno se lo domanda, cosa ci fa su un prato immenso, colmo a perdita d’occhio di persone di ogni età e stato sociale e nazione e lingua. Si è qui per vedere qualcosa? Si è qui per vedere un uomo?
Se è così abbiamo già fallito. L’omino che siamo venuti a guardare è un puntolino al limite della visibilità, tanto distante da non riuscire neanche a distinguerlo da chi gli sta accanto. Un lampo bianco intravisto al di sopra di migliaia di teste e mani e bandiere. Il megaschermo è un po’ difettoso, schiaccia le figure, la risoluzione scarsa che fa svanire l’immagine in un vortice di puntini colorati che sembrano coriandoli.

A casa si sarebbe visto meglio. Certamente si sarebbe visto meglio, sulla televisione di casa. Ci si sarebbe potuti risparmiare la levataccia delle quattromenounquarto, i chilometri a piedi, la metro, i soldi del viaggio; il sonno e i panini, gli sguardi preoccupati al cielo aggrovigliato di nuvole, il caldo e la fatica.

Ecco, ci si poteva risparmiare la fatica. Si poteva restare spettatori. Non coinvolti, distaccati, sul divano. A lasciare vivere la vita ad altri; a non vedere (davvero), a non toccare (davvero), a non conoscere, davvero. Ci si poteva risparmiare la fatica di vivere, ed essere convinti di essere vivi lo stesso.

Cosa sono venuto a fare? A fare vedere la mia faccia, e a vedere quella di tutti gli altri. Una faccia cambiata, un volto cambiato, e la certezza che qui è come deve essere, la certezza di cosa è importante, perché lo vedi e lo tocchi cosa è importante per vivere.
Che spettacolo.

Articolo tratto dal blog di Antonio Benvenuti

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