Un altro Giovanni Paolo di pace

Parla J. P. Kauffmann, grande reporter francese sopravvissuto a tre anni di sequestro Hezbollah. La guerra all’Irak? Rafforzerà gli estremisti. L’islam? Un vuoto di paternità. L’Europa? O ri-sarà cristiana o sarà (già un po’ lo è) defunta...

Quella che segue non è un’intervista, ma la sintesi di una conversazione, questo perché Jean-Paul Kauffmann, che accetta volentieri interviste su argomenti culturali, le ha sempre rifiutate sui temi di attualità preferendo, se lo riteneva necessario, scrivere personalmente di quell’esperienza che ha segnato profondamente la sua vita (vedi box p. 7). Ringraziamo quindi Jean-Paul Kauffmann, che superando la sua iniziale diffidenza ci ha dato fiducia accettando la pubblicazione della sua testimonianza di giornalista, di cattolico e di uomo di cultura. In esclusiva per i lettori di Tempi.
Dalla caduta del muro di Berlino agli attentati dell’11 settembre non sono passati che dodici anni. Oggi lo “schieramento” che ha vinto la guerra fredda deve far fronte ad un nemico che ha scatenato una vera e propria guerriglia planetaria, dice, nel nome dell’islam. Qual è la sua opinione su questa nuova realtà?
Non penso si possa affermare che la causa degli avvenimenti dell’11 settembre sia l’islam. Non posso risponderle, onestamente, che il pericolo è l’islam. è il suo estremismo, la sua perversione che è nefasta.
Lei è rimasto tre anni ostaggio di personaggi che condividono l’ideologia di Bin Laden: ha mai parlato con loro?
No, impossibile.
Ma qual è il loro modo di essere, come vivono, cosa pensano?
Dopo l’11 settembre sono stati scoperti dei documenti, delle istruzioni date a tutti i membri dei gruppi terroristi; allàcciati bene le scarpe, làvati bene, ràsati. Io ho vissuto con delle persone come quelle. Nel mio caso erano degli sciiti e Bin Laden è un sunnita, ma la mentalità è la stessa, è esattamente questo senso dell’assurdo, questa infantilizzazione. Ho letto qualche tempo fa un libro sull’islam e la psicanalisi scritto da un musulmano, Fethi Benslama, che nota come nel Dio dell’islam non c’è mai la figura del padre e che tra Allah ed il credente non c’è intermediario, manca qualcosa.
Benslama parla di un «deserto genealogico» che ha generato una disperazione nel popolo. Nell’islam non c’è quello che esiste nel cristianesimo, perché Dio che è il padre ci ha inviato suo figlio, che è venuto in terra, che è stato come noi, che è stato a nostra immagine, che è un mediatore. Bin Laden, il suo discorso, l’ho sentito, è lo stesso discorso dei miei carcerieri, la stessa assurdità, la stessa mancanza di maturità, la stessa puerilità. Non dico questo per i musulmani, ma parlo di questa perversione che è diventato l’islam a contatto di gente persuasa che l’altro è necessariamente il nemico. C’è una negazione totale dell’altro che è sentito come una minaccia. Penso che sia l’espressione di una grande debolezza, di un disordine, di una rimozione, della paura di perdere la propria identità e che il mondo esterno costituisca un pericolo, che il male non esiste che nell’altro. Fethi Benslama lo spiega bene: c’è nell’islam un divieto di affrontare Dio a partire dalla paternità. In questo deserto la tentazione del nichilismo è grande.
Il problema è che uccidono…
è il terrorismo. Si tratta di una debolezza. Si salta ogni fase intermedia e si uccide.
Crede che ci sarà la guerra contro l’Irak?
Sono totalmente contrario a questa guerra…
Perché?
Perché è terribile solo pensarlo, perché le stesse cause producono gli stessi effetti, perché credo che tutto quello che deriverà da una guerra sarà la radicalizzazione del mondo musulmano, già molto eccitato contro gli Stati Uniti e Israele.
Senza dimenticare che, nell’eventualità di una guerra, i cristiani d’Irak potrebbero pagarne le conseguenze…
L’Irak è una dittatura ma in un paese come l’Egitto, per esempio, aumentano i problemi legati ad attentati e vessazioni nei confronti dei copti, che tendono a minimizzare quello di cui sono vittime e preferiscono non mediatizzare troppo quello che subisce la loro comunità. Credo sia terribile quello che succede in quel paese. Non voglio difendere Saddam Hussein, ma c’è qualche cosa di paradossale, ed è lei che lo ha sottolineato: in Irak, da secoli, vivono alcune piccole comunità, come quelle dei cristiani o degli zoroastriani. è possibile che siano trattati come dei cittadini di serie B ma a quanto pare – e sottolineo a quanto pare – non sono perseguitati.
Per il momento, almeno.
è evidente che una guerra avrà su queste comunità degli effetti negativi e lei ha ragione a sottolinearlo. Per un cattolico come me i tempi sono confusi. «Le tenebre regnano sull’abisso», come diceva Sant’Agostino nell’epoca agitata del IV secolo nella quale ha vissuto. Il problema è che viviamo in un’epoca di grande confusione, cioè viviamo in un’epoca nella quale si può dire tutto, e tutto, più o meno, si equivale. Al punto che la gente legge i giornali, segue le informazioni televisive, ma non riesce a sapere quali sono i veri argomenti, obbiettivi, favorevoli o contrari alla guerra. Si ha l’impressione che non vi sia né verità né menzogna. Si può dire qualsiasi cosa, tutto ed il suo contrario. Tutto si equivale, tutto è sullo stesso piano, e per la gente è difficile capire.
In Francia, da qualche anno, si assiste ad una crescita della propaganda islamista che, nascondendosi dietro il “diritto identitario”, cerca di far indietreggiare i valori della repubblica, in particolare la laicità. La polemica attorno al velo islamico nelle scuole ne è un esempio. Coloro che non accettano questa strategia si vedono opporre sistematicamente lo scudo del vittimismo. Secondo lei questo vittimismo è giustificato? Opporsi al velo islamico nelle scuole è la negazione di un diritto identitario?
Certo che no. è di fronte ad episodi come questi che bisogna essere vigilanti. La vigilanza ha, a volte, qualcosa di “tetro”. è l’aspetto monotono della democrazia. è quello che diceva Tocqueville, che ne ha parlato con intelligenza. Nella democrazia c’è forse qualcosa di noioso, ma si deve rimanere su quel registro, pur noioso. Ci sono persone che invece hanno voglia di qualcosa di più fiammeggiante ed è là che una democrazia comincia a sbandare, bisogna rimanere estremamente circospetti, estremamente vigilanti.
A volte è difficile…
è questo il problema. Oggi tutte le questioni di cui stiamo parlando ho l’impressione che diventino sempre più opache, che sia sempre più difficile dire quale sia, in fondo, la verità. Credo che la realtà fosse più semplice, più leggibile, durante la II Guerra mondiale. Il totalitarismo nazista era ben identificato. Nel 1914 era nettamente più incerta; possiamo parlare della “Grande guerra” come di una guerra civile europea. Oggi, forse perché c’è un eccesso d’informazione, in una specie di sovrabbondanza di commenti, di fatti, la gente è completamente soffocata da questa massa e non riesce più a determinare esattamente il vero ed il falso, l’accessorio dall’essenziale. Come dice Edgar Morin, «si prende una parte per il tutto», ecco il dramma della nostra epoca. Io mi sforzo di mantenere la calma di fronte al tam-tam mediatico.
Non è solo l’informazione, c’è anche un ruolo delle religioni. Non crede che ci siamo dimenticati, fino ad oggi, a causa di una laicità mal compresa che può diventare laicismo, gli stretti legami tra civiltà e fatto religioso?
Parlo spesso di questo con i miei figli, che oggi hanno 27 e 29 anni. Spesso li ho portati nei musei e non capivano il senso di quello che vedevano. Per esempio davanti ad un quadro rappresentante Giuditta e Oloferne, un tema biblico utilizzato molto spesso nella pittura del Rinascimento. Oppure agli Uffizi, a Firenze, davanti ad un quadro nel quale è rappresentata la moglie di Loth trasformata in statua di sale. Oggi, per molti giovani francesi, queste cose sono incomprensibili. E lo stesso vale quando si ascolta un opera come il Saül di Haendel, per citarne uno. Tutta quest’arte, tutta questa letteratura, è nutrita dal cristianesimo, dal “religioso”.
Che ha fatto l’Europa…
Certo, che ha fatto l’Europa. Ma se lei porta un bambino davanti al portale della cattedrale di Notre-Dame di Parigi o di Bourges mostrandogli il “Giudizio universale”, non ne capirà niente.
Lei considera che è normale?
Certo che no; ma non si tratta di rimettere in questione la laicità. L’insegnamento del “fatto religioso” mi sembra una cosa estremamente positiva. Per alcuni è qualcosa che appartiene al passato, ma non fosse che per questo è interessante analizzarlo come tale. Per altri, e ne faccio parte anch’io, è un valore che appartiene al presente, e spero all’avvenire, ma che mi sembra assolutamente indispensabile conoscere. Lo definiscono come apprendimento del “fatto religioso”. è una definizione un po’ timida. Un tempo si sarebbe detto «imparare la religione». è chiaro che questo insegnamento non dev’essere un indottrinamento. Si tratta semplicemente di imparare quello che c’è nella nostra storia. Uno dei miei figli, che ha cominciato a leggere la Bibbia, ora comincia a capire. Il problema è che per quelli della nostra generazione non era necessario “imparare” la religione perché ne eravamo totalmente impregnati, mentre la religione è “esterna” alle generazioni attuali.
Per la nostra generazione era un’evidenza.
Faceva parte della nostra vita quotidiana. Non posso dire che fosse un bene ma, per quanto mi riguarda, non me ne rammarico. è una parte delle nostre radici che è stata accantonata… Il problema oggi è nei rapporti con l’Istituzione. A volte faccio fatica ad aderire. Come quando vado a Messa e sento un prete fare un sermone parafrasando a suo modo il Vangelo o adattandolo. Nove volte su dieci non è di nessun interesse e di un livello estremamente basso.
Lei considera che parlare del Vangelo abbia ancora un senso, oggi?
Penso che sia un messaggio che rimane sempre sovversivo. Non solo «amatevi gli uni gli altri» ma «devi amare il tuo nemico», che è insuperabile. è difficile, e faccio fatica ad applicare questo principio evangelico. Penso che i princìpi del Vangelo minaccino ancora oggi, dopo duemila anni, tutte le idee preconcette. Rovesciano l’ordine stabilito e sono, in un certo senso, rivoluzionarie. La comunione dei Santi, l’idea che ognuno metta in comune per aiutare quello che soffre, trovo che sia qualche cosa che non vedo, come l’intendo, in nessun’altra religione. Ho forse la tendenza a trascurare la parte istituzionale ed è la mia contraddizione. Non posso dire di assumerla, ne soffro ma ecco, è il mio problema e penso che oggi sia il problema di molti cattolici come me. Però, ancora una volta, ci tengo a dire che sono e mi sento cattolico romano.
Cosa pensa di quelle persone che si dicono pacifiste ma che se la prendono solamente con gli Stati Uniti e Israele?
Ci sono molte cose da dire sul pacifismo; bisogna sempre ricordarsi della storia, per esempio i pacifisti francesi del 1939 – da non confondere con quelli del 1938 – sono diventati in gran parte dei collaboratori dei nazisti nel 1940, allora che il pacifismo trovava la sua origine dal grande massacro della I Guerra mondiale. I pacifisti si rifiutavano di vedere che si era di fronte a qualcuno che costituiva un pericolo per le democrazie. Io sono stato favorevole, per esempio, all’azione condotta dagli americani contro i Talebani in Afghanistan.
Cosa pensa dell’antiamericanismo in Europa ed in particolare di quello francese?
L’antiamericanismo è dovuto ad una totale ignoranza di cosa siano gli Stati Uniti. Io vado abbastanza regolarmente negli Stati Uniti e sono sempre sbalordito dalla cortesia della gente, dai loro rapporti nella vita di tutti i giorni, quando l’altro non è considerato come un avversario. Le faccio un esempio, in un aeroporto una hostess ha lasciato il suo posto per accompagnare personalmente delle persone che, non parlando bene l’inglese, non avevano capito quello che era stato loro detto. In Francia non sarebbe successo.
Ciò non toglie che in Francia gli americani siano considerati un popolo di egoisti…
Basta vedere come i francesi guidano le loro automobili… Si è sempre in contraddizione in rapporto agli altri paesi. Il paese con il quale sento più affinità – e non lo dico per lei – è l’Italia. Ci vado di frequente e vedo bene che è un’Italia sognata, che non corrisponde più alla realtà, ma nello stesso tempo non posso evitare di dirmi che è un paese formidabile, che le persone sono gentili, di buon umore. è Jean Cocteau che diceva che gli italiani sono dei francesi di buon umore ed è vero. Come per gli Stati Uniti, è possibile che io abbia la tendenza a guardare le cose candidamente. Il problema è che oggi si chiede alle persone di essere binarie, di essere a favore o di essere contro. Nello stesso tempo anche l’eccesso di “sfumature” può creare confusione.
Diversamente dagli Usa, sembra però che l’Europa sia prigioniera del dubbio che le impedisce di prendere delle decisioni…
Gli americani assumono le loro decisioni. Hegel diceva: «Non vogliono sporcarsi le mani, ma non hanno più le mani». è questo forse il problema di noi europei blasés, disincantati da troppa storia.
Ci estenuiamo in un eccesso di sottigliezze. A volte manchiamo di chiarezza. Detto questo, preferisco comunque essere europeo, decisamente. Amo questa umanità da vecchio paese civilizzato. Siamo dei vecchi coccodrilli dalla corazza molto spessa…
E carichi di contraddizioni…
Penso che sia una ricchezza supplementare. La contraddizione non è per me il segno di una sconfitta, ma di un progresso. Evidentemente, quando si tratta di fare la guerra, è “sì” o è “no”.
Non ci si può più permettere né il dubbio né la sottigliezza. In questo gli americani hanno una superiorità sull’Europa. In ogni caso, per me è “no”.

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