Ucraina. Davvero giustizia è fatta?

Il sergente russo di 21 anni Vadim Shishimarin è stato condannato all'ergastolo in Ucraina. Solo Quirico sui giornali azzarda uno sguardo umano: «È legittimo processare i nemici colpevoli di crimini di guerra mentre la guerra è in corso?»

Il sergente russo di 21 anni Vadim Shishimarin, condannato all’ergastolo in Ucraina per omicidio e crimini contro l’umanità

Giustizia è fatta. I giornali non perdono tempo a giudicare la prima condanna di un soldato russo in Ucraina. E del resto, non ci sono retroscena da svelare. Lo ha detto lo stesso Vadim Shishimarin in tribunale: «Sono colpevole». Il giovane sergente russo, scaraventato in una guerra atroce a soli 21 anni, ha sparato in testa all’inerme Oleksandr Shelipov, pensionato di 62 anni, colpevole solo di essere passato con la sua bicicletta e il telefono in mano di fianco a un contingente russo per tornare a casa sua nella cittadina occupata di Chupakhikva, nella regione di Sumy.

La condanna all’ergastolo

Due superiori di Shishimarin, se non di grado sicuramente di età, temendo che quel civile ucraino potesse rivelare la loro posizione all’esercito, gli hanno ordinato di ucciderlo a sangue freddo. Lui, stando alle sue dichiarazioni, ha provato a opporsi. Poi però gli ha sparato. Dice di essere «sinceramente pentito», il giovane russo, dice che «non volevo uccidere. Però è successo», ammette consapevole di non poter cambiare il passato.

E così, mentre in Ucraina infuria la guerra, in un’aula di tribunale Shishimarin è stato condannato all’ergastolo. Non appena per omicidio, ma per aver compiuto «un crimine contro la pace, la sicurezza, l’umanità e la giustizia internazionale». «Se lo merita», commenta laconica la vedova di Shelipov, trincerata nel suo dolore. Di attenuanti, comprensibilmente, non vuole neanche sentire parlare: «Anche mio marito è stato un soldato e non sparava sulla gente per strada: sono cose che succedono se mandi i ragazzini a fare una guerra come questa».

Chi mai potrebbe alzarsi e osare darle torto? Nessuno, e nessuno del resto ci ha provato. Neanche l’avvocato difensore di Shishimarin, legale d’ufficio, che per il giovane sergente russo non ha potuto fare altro che chiedere una pena inferiore. Il giudice non l’ha ascoltato. Il «soldatino», come lo chiamano i giornali, è reo confesso. Giustizia è fatta?

Uno sguardo umano sull’assassino

L’unico giornalista italiano che ha provato ad andare oltre al dettato dei codici e della legge è Domenico Quirico, che sulla Stampa ha azzardato uno sguardo umano anche su quell’«assassino» – sprofondato nella «solitudine assoluta di chi non ha nemmeno il conforto di aver peccato per una buona causa» – e i suoi occhi «da animale braccato pieni di intensa disperazione». Non costruisce versi di poesia su un omicidio feroce, Quirico. Però si chiede: «Ci dobbiamo accontentare? Ci possiamo accontentare per poter esclamare: bene, la giustizia ha trionfato?».

Prova a non farlo, l’inviato di guerra, scrivendo che la giustizia non è vendetta e che nessuno può essere trattato in tribunale come un capro espiatorio, neanche un assassino entrato illegalmente in un paese per invaderlo. Perché, ed è il cuore del suo commento, «è legittimo processare i nemici colpevoli di crimini di guerra mentre la guerra è in corso?».

Giustizia non è fatta in Ucraina

È possibile cioè che Shishimarin, in Ucraina, sia stato processato da una corte imparziale e abbia goduto del suo diritto a difendersi, «riconosciuto persino ai nazisti di Norimberga»? «Questo in un tribunale che giudica mentre la guerra è in corso non è evidentemente possibile», riconosce Quirico. E ancora:

«A costo di sembrare ingenui verrebbe da aggiungere che lo scopo dell’ordigno penale non è essere festa catartica o costruzione di una memoria collettiva: è la obbligatoria punizione della colpa e il porre le basi di una possibile ricomposizione della convivenza che il delitto ha lacerato. Processare il nemico in tempo di guerra raggiunge questo scopo?».

Sono domande che non vogliono scagionare l’assassino, né giustificare l’invasione russa dell’Ucraina, né proporre attenuanti. Ma che ci aiutano a ricordare che Shishimarin, 21 anni, comandante della divisione Kantemyrovskaya dell’esercito russo, prima di essere un soldato e un assassino, è un uomo. E come tale, avrebbe diritto a un giusto processo e non a un processo «simbolico».

Foto Ansa

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