Se la tutela degli animali è più importante della lotta al terrorismo

La programmazione per il 2016 della Scuola superiore della magistratura contiene decine di corsi di formazione: ma solo uno riguarda il terrorismo

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – La tutela giuridica del sentimento per l’animale da compagnia e gli altri animali: non è la rubrica di un periodico sugli animali. È il titolo di un seminario dedicato alla formazione dei magistrati: si è svolto il 3 dicembre alla Corte di appello di Milano. È stato deciso da un comitato scientifico, impegna più relatori, giustamente remunerati, la partecipazione è accompagnata dal riconoscimento di crediti e può arricchire il curriculum.

Mi è spiaciuto non poterci andare. Ho perso un’altra decisiva occasione di aggiornamento professionale il 27 novembre: nella Corte di appello di Ancora il corso aveva per tema “Il risarcimento dei danni derivanti da fauna selvatica e responsabilità della Pubblica Amministrazione”. Avrei ascoltato con attenzione la disamina di quel che accade nel mondo del diritto quando un cinghiale attraversa un campo.

Più o meno mentre si svolgono corsi come questi, ai giudici italiani è chiesto di svolgere un ruolo impegnativo nella repressione del terrorismo di matrice islamica. Molti di loro rispondono con competenza e professionalità, altri un po’ meno; recenti decisioni, in giro per l’Italia, hanno fatto rivivere i fasti di una decina di anni or sono, quando in alcuni provvedimenti si apprendeva che il Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento, o il Gruppo islamico armato, o Ansar al Islam non erano organizzazioni terroristiche: con la conseguenza che soggetti indagati a tale titolo, che avevano costituito da noi cellule e reti di collegamento funzionali a quei gruppi, tornavano in libertà, e riprendevano a svolgere la loro attività.

Per citare solo alcuni fra gli atti giurisdizionali che negli ultimi mesi hanno ripreso quella tradizione, è sufficiente ricordare la vicenda di Bassam Ayachi, arrestato a Bari nel 2008, condannato in primo grado a 8 anni, assolto in appello con una sentenza poi ritenuta errata dalla Cassazione, e per questo annullata: ma nel frattempo egli si era dileguato. O quella della mancata convalida dell’arresto da parte del Gip di Lecce di cinque soggetti che erano stati arrestati dopo essere sbarcati con documenti contraffatti e con filmati di bombardamenti e di esecuzione di attentati nelle memorie dei cellulari: il giudice li ha qualificati profughi, pur se non avevano proposto alcuna domanda di asilo, e anzi avevano rifiutato di presentarla. O del diniego, qualche giorno fa, di arrestare soggetti espulsi dal ministro dell’Interno perché rappresentavano un pericolo per la sicurezza nazionale.

Intendiamoci. È illusorio attribuire carattere risolutivo alla risposta giudiziaria. Quest’ultima è solo un segmento di un impegno più ampio, e si colloca a fianco del lavoro dei servizi di informazione e di sicurezza, delle forze di polizia, delle agenzie di coordinamento fra gli Stati: per i possibili attentatori è sufficiente sfruttare qualsiasi lacuna anche in uno solo di questi settori.

Scorrendo le motivazioni dei provvedimenti giudiziari si ha più d’un dubbio sulla conoscenza del terrorismo islamico da parte dei giudicanti italiani: di alcuni, non di tutti, e dei giudicanti più dei pubblici ministeri, che invece hanno mostrato consapevolezza del fenomeno. Non invoco la prevalenza dell’emergenza e del risultato repressivo; mancata conoscenza significa anche approssimazione per eccesso: intercettazioni che riguardano affari del tutto leciti vengono invece scambiate per piani terroristici, e solo a distanza di tempo si mostrano inconsistenti.

Che si direbbe se un magistrato che si occupa di mafie non riuscisse a distinguere Cosa Nostra da Sacra Corona Unita? Quello che viene ritenuto inammissibile per le mafie non fa discutere per il terrorismo. È un problema che si affronta con un’adeguata formazione, investendo come si fece 30 anni fa per le mafie. La programmazione per il 2016 della Scuola superiore della magistratura contiene decine di corsi di formazione: ma solo uno riguarda il terrorismo, dal 25 al 27 gennaio; in compenso, ci sono corsi come quelli citati all’inizio. Segnalarlo è così scandaloso? O è il caso di recuperare al più presto?

Foto Ansa

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