Tribunali del popolo, Lafayette e chissà qual magica energia Enel

Tribunali del popolo, Lafayette e chissà qual magica energia Enel

Egregio direttore, “Negli anni Settanta i comunisti lanciavano le bombe molotov contro la polizia come il compagno Massimo D’Alema; oggi accompagnano i ragazzi all’oratorio”. Per questa frase, pronunciata in classe, il sottoscritto ha ricevuto un esposto da parte di tre insegnanti della sua scuola e una contestazione d’addebito da parte del preside. Per una frase che descrive un fatto avvenuto (e peraltro di dominio pubblico) si può essere denunciati? Un giudizio espresso durante un’ora di lezione è un comportamento vietato? Questo sarebbe l’esercizio della democrazia nella scuola in vista dell’autonomia? Il perseguire le opinioni espresse e i fatti raccontati (e veri)?! Eh sì, amici miei. È il divieto di critica. Siamo alle solite: al metodo comunista della denuncia per distruggere il nemico politico (vedi Tangento-poli e affini, come ha dimostrato il caso Andreotti in cui lo scopo era politico, le accuse inconsistenti e le prove inesistenti). E all’educazione degli studenti a fare gli spioni (del Kgb) su istigazione degli insegnanti! Siamo come nell’Albania prima del ’90, dove si veniva denunciati per qualunque critica al regime, fosse pure l’osservazione che la frutta non era buona.

Siamo nella situazione di un regime privo di ogni consistenza (e competenza) e perciò ostile a qualunque critica o polemica. Ostile anche alla critica storica (in questo caso il passaggio dagli anni ’70 agli anni ’90) che è il fondamento della dottrina marxista. Il quale Marx, se ben mi ricordo, diceva che la religione è l’oppio dei popoli e chi ha messo in pratica il suo pensiero, come Lenin, faceva saltare con la dinamite le chiese di Mosca.

Ma gli attuali ex-post-comunisti invece non disdegnano l’uso dei locali dei compiacenti oratori, perché quello che a loro interessa è instillare nelle menti degli studenti che l’uomo è solo materia e che l’unico motivo per cui si muove è l’interesse economico.

Prof. Pietro Marinelli, Itis Alessandrini, Abbiategrasso Professore, lei ha perfettamente ragione a denunciare i metodi di delazione e incriminazione davanti ai tribunali del popolo. Però dia retta a noi, perdoni coloro che non sanno quello che fanno, metta una sera a cena con i suoi colleghi e abbia la prudenza di non nominare più invano il nome del compagno Molotov.


Caro direttore, la lettera pubblicata sul n.38 a proposito dei poteri forti e della loro campagna d’autunno mi induce a tornare sull’argomento, questa volta da un’angolatura più “personale”. Assistere allo scontro delle armate in campo o, magari, ritrovarsi per sorte nel mezzo del parapiglia dove si menano fendenti, non è detto che permetta di capire quali siano gli schemi di guerra adottati o se il grado di ragionevolezza di quanto avviene sia tale da permettere un processo di analisi e, quindi, di comprensione. Le ambizioni, le paure, i sogni, ma anche i capricci e le follie degli uomini, per quanto grandi e potenti essi pretendano di essere o pensiamo o ci illudiamo che siano, plasmano in modo imprevedibile eventi che crederemmo poter essere determinati unicamente da visioni lineari e da strategie consistenti. Filosofeggiare non è il mestiere di Lafayette, al quale però, nel polverone della battaglia, capita di chiedersi se quanti sono scesi in campo abbiano davvero chiare le loro motivazioni e i loro scopi, se quelli che appaiono come tra loro avversari lo siano poi davvero, se tra tanti combattenti ce ne sia almeno uno con un disegno generale in testa, ecc. ecc. Non so se nel corso di questa generazione riusciremo a vedere qualcuno capace di proporre e costruire veramente un “sistema” dei rapporti tra persona e potere dove la dignità e la verità dei singoli sia il cardine della libertà di tutti. Operare perché questo avvenga è però sicuramente l’unico senso non alienato del lavoro che ciascuno di noi fa, qualunque esso sia. Senza pretesa di essere degli illuminati – ne abbiamo avuti abbastanza – ma portatori di luce, questo sì. La distanza che ci separa dalle grandi sfide dei potenti dell’economia, della politica e della cultura è quindi più apparente che reale: come fossimo tutti artigiani intenti a tendere fili dell’ordito di un grande arazzo il cui disegno è comunque continuamente riconcepito da un altro. Colaninno, Cuccia, Agnelli, Ciampi, D’Alema ecc. di fronte a tutto questo possono fare ben poco d’altro che rimettere in gioco continuamente la loro dignità e verità di persone e la loro propria libertà nell’essere docili al disegno che è stato dato, alla fiaccola che è stata loro affidata, ne siano o no consapevoli. Sono, in questo, esattamente uguali ai loro autisti e ai loro cuochi. Più questo rimettersi in gioco avviene, meno dovremo temere l’arroganza e la violenza più o meno sottile dei potenti. Che, come tutti noi, vivono unicamente per l’attesa di una risposta alle domande della loro ragione e del loro desiderio. Chi, invece, conosce la libertà dagli inghippi del potere, non ha più di tanto tempo da perdere per accettare di giocare sul loro terreno, ma lavora per portare il confronto su un campo libero da nebbia e da pozzanghere, dove i termini delle questioni in ballo siano riportati alla radice della nostra dignità di uomini. Per questo non è il caso di farsi impressionare più di tanto dalle tresche e dalle mene del palazzo e degli edifici circostanti. In effetti, chi potrà mai separarci dalla nostra libertà?

Cordiali saluti, Lafayette Delicata e dedicata risposta al nostro amico taxi-driver Ciro Pica. (Generale, aspettiamo qualche Sua dritta anche per la posta accanto).


Caro direttore, lavoro all’Enel e naturalmente mi scuserà se avanzo qualche quesito celandomi sotto uno pseudonimo. Mi dica se le questioni che seguono non giustifichino qualche perplessità sulla privatizzazione che proprio in questi giorni viene strombazzta come un grande affare per i cittadini.

– Il Parlamento, a suo tempo, ha deciso la privatizzazione dell’Enel su richiesta del governo.

– Facendo riferimento ad una direttiva Cee, che impone solo la suddivisione verticale dei costi delle varie divisioni (Ricerca, Progettazione e Costruzione, Produzione, Trasporto, Distribuzione) si è deciso lo smembramento dell’Enel, adducendo presunti motivi di antitrust (la Francia invece non ha nessuna intenzione di smembrare Edf, anzi cerca quote di mercato anche all’estero, Italia compresa).

– Il Parlamento italiano, questa estate, ha deciso di mantenere l’unitarietà dell’azienda, modificando il decreto Borsani, che prevedeva lo “spezzatino”.

– Il Consiglio di amministrazione dell’Enel ha deciso la costituzione, dal 1 ottobre 1999, di 32 (o 34) società diverse.

– Economicamente sarebbe preferibile una sola società che permetterebbe maggiori economie di scala.

– Perché, se in tutto il mondo si va verso la globalizzazione, l’Enel va in senso inverso?

– Forse perché 32 diverse società significano 32 consigli di amministrazione, 32 presidenti, 32 amministratori delegati, 32 direttori, cioè tente poltrone per tanti amici?

– Ultimamente sono stati assunti molti dirigenti e quadri di provenienza Olivetti. Nel frattempo il personale Enel è passato, con l’utilizzo di esodi incentivati indiscriminati, dalle circa 120mila unità degli inizi anni ’90 alle attuali 83mila unità che, alla fine di quest’anno, sono destinate a diminuire ulteriormente di circa 5mila unità (perché non c’è più gente che possa andare in pensione).

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