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Ovvero: esempi vecchi e nuovi di come «non s’ha da fare» alle prese con un testo in inglese

Ovvero: esempi vecchi e nuovi di come «non s’ha da fare» alle prese con un testo in inglese. Cioè: il vocabolario e il dizionario non bastano, eppure sarebbero da (saper) usare. Assieme al buon senso, e magari a un bel libro di storia e di civiltà (il migliore resta comunque quello della vita).

• Secondo il traduttore italiano Luca Vanni, ne Il secolo delle idee assassine (Mondadori, Milano 2001) Robert Conquest parla (ripetutamente) di «primato della legalità» (la prima volta a p. 7). Nell’originale, invece, l’autore non poteva che scrivere rule of law (la prima volta a p. XIII di Reflections on a Ravaged Century, pubblicato a Londra da John Murray e a New York da W.W. Norton & Company nel 1999), talvolta addirittura maiuscolando i sostantivi.

• Fra i due l’abisso. Rule of Law significa semmai “primato del diritto”, che è ben altro della mera (di certa) “legalità”. Per Conquest (traduco dal testo inglese), il Rule of Law costituisce uno dei «fondamenti della cultura anglo-celtica», cioè anglosassone-celtica, dunque britannica nell’accezione composita che dell’espressione darebbe probabilmente anche il filosofo Roger Scruton (per esempio nel suo La filosofia britannica [1998], trad. it. in Ideazione, anno VI, n. 4, 1999, pp. 187-195, preceduto dalla mia introduzione E se cominciassimo a pensare in inglese?, ibid., pp. 186-187). Ovvero, il patrimonio comune a tutti i popoli a diverso titolo anglofoni. Di suo, indica lo ius e non la lex — benché l’inglese law li traduca entrambi — che, vincolando reggitori e cittadini nelle sorti della res publica, sta alla base del governo “per consenso” e del costituzionalismo “anglofoni”, di cui l’autore ricostruisce l’antichissima matrice germanica continentale (“sassone”) — che peraltro fa capolino anche dalla Germania di Tacito — e lo sviluppo medioevale-moderno. Il contrario stesso, insomma, dell’idea del princeps legibus solutus da cui hanno invece origine prima gli assolutismi, poi i dispotismi, infine i totalitarismi. La quale patisce grande accelerazione con il “purismo” rivoluzionario illuministico-giacobino teorizzatore di una Loi astratta da cui discende un’ancora più astratta “virtù” sentimental-moralistica, che il Comitato di Salute Pubblica s’incaricò poi d’imporre con l’uso politico dei tribunali. E uno degli sforzi (e dei pregi) maggiori dell’ultima fatica di Conquest è proprio quello di mostrare la diversa origine, e quindi l’opposto sviluppo, della tradizione di libertà anglo-celtica rispetto alla logica positivistico-legalistica della democrazia (potenzialmente) totalitaria.

• Su Reset del dicembre 1995 (anno 3, n. 23, pp. 18-24), compare un articolo di Michael Lind, Senior Editor di The New York Times, noto per le critiche al conservatorismo statunitense (il sottotitolo del suo Up from Conservatism [The Free Press, New York 1998], suona «perché la Destra non va bene per l’America») e per la teorizzazione di un “nuovo nazionalismo” liberal e transrazziale sulle ali di una ventura Quarta Rivoluzione Americana (cfr. il suo The Next American Nation: The New Nationalism and the Fourth American Revolution, The Free Press, New York 1995). A p. 20 si legge che «[…] la nazione americana transrazziale è considerevolmente più antica degli stessi Stati Uniti; per parecchie generazioni prima del 1776 una distinta, unica, anglofona nazionalità nord-americana, che includeva gli slavi nati e cresciuti sul suolo americano, ha iniziato a divergere dalle altre province del mondo anglofono». Slavi! Non ho visto l’originale, ma scommetto che l’errore è marchiano…

• Cristiani per la libertà. Radici cattoliche dell’economia di mercato, dell’economista argentino Alejandro A. Chafuen, presidente dell’Atlas Economic Research Foundation di Fairfax, in Virginia, è un gran bel libro, uscito in originale nel 1986 e pubblicato in italiano nel 1999 nella traduzione di Cristina Ruffini per la Liberlibri di Macerata, con una introduzione di Dario Antiseri e un prologo di Michael Novak. A p. XXIII, però, ci s’imbatte in un fantomatico «Bill of Wrights», e per ben due volte nella stessa pagina. Escluso che possa trattarsi di un conto al ristorante (bill) lasciato insoluto dai fratelli Wright, pionieri del volo umano, propendo per una clamorosa topica sul Bill of Rights, la carta dei diritti delle persone e dei singoli Stati componenti l’Unione nordamericana che, formata dai primi dieci emendamenti alla Costituzione federale statunitense, fu redatta nel 1789 e ratificata nel 1791. Incidente goffo e concorso di colpa con il revisore di bozze.

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