Tra l’Emilia e Bruxelles

“Voglio portare in Europa le battaglie condotte in questi anni nel consiglio regionale più rosso d’Italia: dare la possibilità che la società civile non sia suddita, ma sovrana di se stessa”. Parla Giorgio Lisi, candidato europeo di Forza Italia nel collegio Nord-Est

Sarà per aver vissuto da sempre nella regione “rossa” per antonomasia, l’Emilia Romagna e per l’essere dunque cresciuto a pane e opposizione; o forse per il gusto del fare, dell’arrivare al risultato, “del piacere di risolvere i problemi degli altri”, come ama ripetere citando De Gasperi; sta di fatto che Giorgio Lisi, candidato di Forza Italia alle elezioni europee nel collegio Nord-Est (Emilia Romagna, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia) ha una concezione tutta costruttiva, concreta, fattuale dell’azione politica. “La politica deve essere l’arte del possibile – dice – della responsabilità del fare, dell’iniziativa. Se resta oratoria, abbaiare alla luna o, peggio, chiacchiericcio di slogan rimasticati, tradisce la sua missione e il senso stesso della democrazia, che richiede capacità di rappresentanza reale del popolo”. Quarantatre anni, riminese, uno dei fondatori del Meeting per l’amicizia fra i popoli, cresciuto politicamente alla scuola dell’attuale direttore generale della giunta lombarda di Formigoni, Nicola Sanese, Lisi siede da quattro anni fra i banchi del Consiglio regionale dell’Emilia Romagna, dopo 10 anni di attività politica al Comune di Rimini dove ha ricoperto gli incarichi di assessore alla Cultura, alla Pubblica Istruzione e ai Lavori Pubblici nel breve periodo, agli inizi degli anni ’90, della Giunta (la prima) non socialcomunista della città. Negli ultimi mesi è stato in prima fila nella lunga battaglia in Consiglio regionale per tentare di far cambiare rotta alla politica scolastica regionale. “Un lavoro certosino e puntiglioso, fatto di emendamenti, precisazioni, dettagli apportati al disegno di legge che ha squassato la maggioranza di centrosinistra, provocato tensioni nel governo nazionale e, alla fine, l’uscita di scena del presidente della Giunta Antonio La Forgia che poi ha abbandonato i Ds per seguire Prodi. Così, quel che fino a poco tempo fa sembrava impossibile, si è verificato. Nel regno del “primato del pubblico”, dove tutto è pensato, organizzato e gestito dalle istituzioni pubbliche secondo il modello “dalla culla alla bara”, si è introdotto per la prima volta il “virus” benefico del principio di sussidiarietà in campo educativo, con il riconoscimento esplicito e sancito da una legge della funzione pubblica svolta da scuole non statali”. La battaglia per il riconoscimento del principio di sussidiarietà ha spinto Lisi a realizzare, insieme alla Compagnia delle Opere regionale la prima “Scuola di Sussidiarietà per amministratori pubblici”, conclusasi l’8 maggio scorso. “Un progetto – racconta Lisi – in cui sono stati coinvolti, come docenti e come allievi, esponenti politici e dirigenti pubblici di partiti e orientamenti diversi, di maggioranza e di opposizione, in un’esperienza assolutamente originale e diversa. Se la categoria della sussidiarietà ha realmente un valore politico ed è un criterio per la ridefinizione dell’identità e del ruolo delle istituzioni e del rapporto tra cittadino e potere, allora non può avere confini predeterminati di schieramento. È una proposta di assetto generale del Paese e di concezione della società e della politica su cui tutti vanno sfidati e provocati. Certo, non mancano le occasioni per dividersi, sulle quali è giusto che siano i cittadini a giudicare le differenti ricette. ma su un principio ordinatore e di valenza costituzionale come quello sussidiario bisogna lavorare instancabilmente perché il consenso e la condivisione si allarghi a quante più forze e personalità politiche possibile. Solo chi non è saldo nella propria identità può avere paura di sedersi al tavolo con tutti. È solo una forte identità, anche politica, che ti consente un dialogo vero con le altre culture politiche; al di fuori di questo, c’è solo lo scontro ideologico e improduttivo o gli scambi di bassa macelleria”. E così si è seduto, insieme al presidente della CdO Giorgio Vittadini, al tavolo del ministro Pierluigi Bersani (al quale è legato da amicizia e stima dall’epoca in cui il ministro era presidente della Regione), per parlare di sussidiarietà e di lavoro, di artigianato, di piccole medie imprese, dei nuovi centri per l’impiego e di tutta la rete di iniziative a cui la presenza sociale dei cattolici sta ridando slancio e vigore. O a quello del neo-presidente dell’Emilia Romagna, il diessino Vasco Errani, per una svolta all’insegna della sussidiarietà nel comparto del turismo, che ha prodotto una nuova, buona legge regionale. O ancora a quello dell’assessore regionale ai Servizi Sociali, Gianluca Borghi (Verdi), per una legge sulla tutela delle persone portatrici di handicap (da lui stesso predisposta) e votata all’unanimità dal Consiglio regionale. Insomma, un’attività a tutto campo. Ma non rischia di scontrarsi con gli schieramenti dei partiti consolidati a livello nazionale? “Dopo la fine ingloriosa del Cdu, per gli errori del suo segretario, non potevo non seguire l’esempio e lo stimolo di Roberto Formigoni: tentare di dar voce e peso politico ai cattolici all’interno dell’unico partito che avverte come ricchezza e non come zavorra la concezione cristiana della vita ed i suggerimenti della Dottrina sociale della Chiesa. Lo spazio c’è, insieme ad alcune resistenze. E sta dunque alla responsabilità mia e di chi, come me, avverte l’urgenza dell’impegno politico ed istituzionale, riempirlo di iniziativa e azione politica”. È questo il significato della sua candidatura in Europa? “È la prosecuzione naturale di questo lavoro e di questa responsabilità, nella sede che più di ogni altra nel prossimo futuro influenzerà la vita di tutti noi e la reale possibilità che opere, associazioni, imprese e tutto il tessuto di auto-organizzazione della società civile non sia suddito, ma sovrano di se stesso. Per questo ho scelto lo slogan: “Una grande opera chiamata Europa””.

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