Thyssen, 16 anni di carcere all’ad per omicidio volontario – Rassegna stampa/1

Nel 2007 erano morte sette persone per il rogo scoppiato nell'azienda torinese. Per i pm certe le prove secondo cui Harald Espenhahn avrebbe accettato il rischio che si potesse verificare un infortunio mortale. Per gli altri manager condanne per cooperazione in omicidio colposo

“La seconda corte d’assise di Torino ha condannato Harald Espenhahn, amministratore delegato della Thyssen, a 16 e sei mesi; Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno e Cosimo Cafuerri a 13 anni e 6 mesi e Daniele Moroni a 10 anni e 10 mesi. I giudici hanno accolto in toto le richieste dei magistrati, confermando l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale per l’amministratore delegato e quella di cooperazione in omicidio colposo per gli altri manager” (Repubblica.it) per la morte di sette persone in un rogo scoppiato nell’azienda nel 2007.

L’azienda ha dichiarato in un comunicato che la condanna di Herald Espenhahn è «incomprensibile e inspiegabile». «Per l’ulteriore corso del procedimento – si afferma nella nota – si rimanda alle dichiarazioni degli avvocati difensori», che dichiarano: «Vedere cose di questo tipo è sconsolante. Faremo appello ma non credo che otterremo molto di più».

L’azienda è stata condannata a un milione di euro di sanzione pecuniaria, all’esclusione da contributi e sovvenzioni pubbliche per sei mesi e al divieto di farsi pubblicità per sei mesi. La multinazionale dell’acciaio è stata chiamata in causa come persona giuridica. La sentenza, per ordine dei giudici, dovrà essere pubblicata su una serie di quotidiani e affissa nel Comune di Terni, dove c’è la principale sede italiana del gruppo.

La lettura della sentenza è stato l’ultimo atto di un processo durato due anni e tre mesi, racchiusi in 87 udienze, per arrivare a una sentenza che segnerà la storia del diritto, oltre che di una città. (…) Per i pm erano infatti state raccolte prove certe contro l’ad della Thyssen che portavano a ritenere che Espenhahn «abbia accettato» il rischio che si potesse verificare un infortunio mortale, ma ciò nonostante abbia preferito una «logica del risparmio economico» rispetto alla tutela della sicurezza in uno stabilimento in fase di dismissione e abbandonato a se stesso. Una fabbrica carente sia in pulizia che in manutenzione, eppure ancora sottoposta al torchio stressante della produzione, nonostante tutte le figure di riferimento, ovvero gli operai più specializzati, fossero ormai andati via da corso Regina” (Repubblica.it).

Per quanto riguarda le parti civili, la corte ha riconosciuto un risarcimento di un milione di euro al Comune di Torino, di 973.300 euro alla Regione Piemonte, di 500 mila euro alla Provincia di Torino e di 100 mila euro ciascuno ai sindacati Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uim-Uilm, Flm-Cub. Cento mila euro di risarcimento anche all’associazione Medicina Democratica” (Repubblica.it).

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