Terzo settore, se l’affitto è gratuito (comodato), l’ente non profit non paga l’Imu sull’immobile

È il caso di quegli enti che danno immobili in gestione ad altre realtà del terzo settore per svolgere attività non lucrative. Intervista all'esperto Luigi Corbella

«Il comodato fa salva l’esenzione Imu», ha scritto su l’Avvenire Luigi Corbella, dottore commercialista e revisore contabile dello studio Corbella di Monza nonché collaboratore esperto di tasse e terzo settore per il quotidiano. L’esenzione Imu, insomma, è assicurata se l’affitto è gratuito, come chiarito in una risoluzione del 4 marzo del ministero dell’economia. Un’importante precisazione e un «chiarimento tutt’altro che scontato», dice Corbella a tempi.it, coerente con «la normativa di riferimento». Ora, infatti, si ha la certezza che, tanto per fare un esempio, la parrocchia che decide di dare in affitto gratuito i locali o un immobile per un asilo a un’associazione di genitori non é tenuta a pagare l’Imu su quei locali o immobile. Una buona notizia, insomma, in tema di Imu sul non profit nonché una decisione che contribuisce ad alleviare l’impatto sulle tasche dei contribuenti di quella che è stata da più parti definita tassa sulle opere di bene.

Il ministero dell’economia ha chiarito con un intervento interpretativo che gli enti non profit che utilizzano immobili in comodato per lo svolgimento di attività meritevoli non devono pagare l’Imu; Corbella, una buona notizia per il terzo settore?
Certamente sì. Soprattutto perché si tratta di un chiarimento che era tutt’altro che scontato. Fino ad ora, infatti, molti Comuni hanno negato l’esenzione per gli immobili di proprietà di enti non profit da essi non direttamente utilizzati, anche quando erano concessi in comodato ad organizzazioni del privato sociale altrettanto meritevoli. D’altronde, anche per l’Imu, la norma di rifermento resta la lettera i) del primo comma dell’articolo 7 del decreto legislativo n. 504/1992 che disciplina l’Ici. Norma che, testualmente, richiede l’utilizzo come condizione per l’esenzione. In discussione, in sintesi, era l’esenzione per l’ente proprietario non diretto utilizzatore che, ora è certo, non viene persa quando, in forza di un comodato, l’utilizzatore è un ente non commerciale e presso l’immobile vengono svolte le attività agevolate alle condizioni prescritte, da ultimo, con il regolamento di cui al decreto ministeriale n. 200 del 19 novembre 2012. Si tratta di uno sforzo interpretativo intelligente nel senso più autentico del termine, assolutamente coerente con le regole generali del nostro ordinamento e con gli obiettivi tutelati da questa agevolazione.

Chi godrà i benefici di questa interpretazione della norma?
La casistica è ampia. Possiamo fare delle esemplificazioni paradigmatiche. Il nostro sistema, storicamente, è caratterizzato dalla presenza di molti enti religiosi con i quali oggi spesso collaborano realtà giuridicamente laiche, ancorché spesso ispirate da valori religiosi. Pensiamo, per esempio, al caso della parrocchia presso la quale l’asilo è gestito da una associazione di genitori. Oppure da realtà laiche con una storia altrettanto lunga che nell’attuale contesto organizzativo dei servizi alla persona “collaborano” con organizzazioni più flessibili e “fresche”. In questo modo, gli immobili, che spesso si trovano nel patrimonio di enti che, per ragioni diverse, non gestiscono più direttamente tutte le iniziative di un tempo, passano nella disponibilità di altri operatori con la modalità, appunto, del comodato godendo dell’esenzione Imu che, altrimenti non avverrebbe. Se, invece, gli immobili sono concessi in affitto a pagamento è chiaro che l’esenzione non spetta.

E cosa può dirci circa la possibilità, anch’essa precisata da un secondo intervento interpretativo del ministero, da parte di enti non profit di adottare i regolamenti che specifichino il carattere non lucrativo dell’attività svolta anche dopo il 12 dicembre 2012, inizialmente previsto come termine ultimo per l’adozione? È una possibilità importante?
Anche su questo fronte il ministero dell’economia dimostra di voler dare una lettura intelligente, oltre che tecnicamente ineccepibile, delle norme, segnatamente dell’articolo 7 del già richiamato decreto ministeriale 200/2012 e dei chiarimenti già forniti con la risoluzione n. 1/DF del 3 dicembre 2012. In estrema sintesi, il decreto in questione chiedeva agli enti non commerciali che vogliono beneficiare dell’esenzione di munirsi entro il 31 gennaio 2012, ovviamente se non già previste, di specifiche clausole statutarie a presidio del vincolo di non lucratività che dovrebbe caratterizzare per definizione le organizzazioni non profit. La risoluzione n. 1/DF, invece, riconoscendo la peculiarità genetica degli enti ecclesiastici – che in quanto tali non sono tenuti ad avere uno statuto – prevedeva che questi enti dovessero prevedere quelle stesse clausole in apposito regolamento da adottare sempre entro il 31 dicembre 2012. Ebbene il ministero riconosce che non può trattarsi certo di un termine perentorio e che, dunque, il regolamento può essere adottato anche successivamente. L’auspicio è che sul punto i Comuni non diano poi interpretazioni contrarie alla logica di questa precisazione, negando, per esempio, l’esenzione per gli anni antecedenti all’adozione del regolamento. Insomma, il decreto ministeriale 200/2012 proponeva come data limite il 31 dicembre 2012 perché regolamentava l’esenzione per quell’anno. Speriamo che i Comuni non la contestino per quell’anno se il regolamento sarà adottato successivamente.

Ora si può dire che il non profit è salvo dallo spettro dell’Imu o ci sono ancora profili di rischio nell’ordinamento italiano?
Salvo del tutto forse non ancora. E il fronte che resta dolentemente scoperto è soprattutto quello della scuola, per i cicli superiori presso i quali le rette sono spesso purtroppo onerose per le famiglie anche magari quando le scuole alla fine sono in perdita. Personalmente resto fiducioso che anche qui il ministero sappia dare ancora una volta una lettura intelligente per valorizzare anche nei cicli superiori di istruzione la presenza strategica del terzo settore. E quando dico strategica non intendo solo riferirmi all’espressione di pluralismo che essa rappresenta ma piuttosto agli elementi quantitativi e qualitativi di integrazione dell’offerta pubblica da essa apportati.

@rigaz1

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