Terzani e Bocca: perché scelsero di non vedere

L'1 aprile esce nei cinema italiani il film "La fine è il mio inizio", pellicola sul noto giornalista e inviato Tiziano Terzani, scomparso nel 2004. Ripubblichiamo un'intervista a padre Piero Gheddo, sacerdote missionario e unico giornalista a denunciare le atrocità dei khmer rossi a dispetto dei silenzi e delle paure di Terzani e Bocca

L’1 aprile esce nelle sale cinematografiche italiane il film “La fine è il mio inizio”, tratto dall’omonimo romanzo scritto da Tiziano Terzani, noto giornalista, e uscito postumo. Ripubblichiamo un’intervista a padre Piero Gheddo, in cui il sacerdote missionario del Pime racconta di chi, come Terzani, «contribuì a questa assurda esaltazione di uno dei peggiori genocidi del secolo XX», quello operato dagli khmer rossi in Cambogia.

Padre Piero Gheddo è stato il primo – e per lungo tempo, l’unico – giornalista italiano
a raccontare le atrocità commesse dai khmer rossi in Cambogia. Ottant’anni portati con disinvoltura, padre Gheddo non ha mai smesso di essere fedele alla sua vocazione di missionario giornalista del Pime («Sono da poco rientrato dal Bangladesh, dove sono stato per un mese»). Vocazione che lo portò sul fine degli anni Settanta in Cambogia, dove poté rendersi conto di persona di quali crimini fossero capaci i seguaci di Pol Pot. «Per conto dell’Osservatore romano avevo avuto modo di frequentare i vescovi cambogiani e vietnamiti. Furono loro a invitarmi nelle loro
diocesi affinché raccontassi quel che realmente accadeva in quei luoghi».

Per un occidentale venire a sapere cosa succedesse dalle parti di Saigon, non era facile. «A partire dal dopoguerra, con formidabile maestria, il Partito comunista
conquistò tutti gli spazi nei giornali, nelle radio, tra gli intellettuali. Il ragionamento era molto semplice: chi è nemico degli Stati Uniti d’America è nostro amico. Quindi, dall’Africa all’America Latina, all’Asia, se solo ci si azzardava a criticare le “forze di liberazione” si veniva tacciati di essere fascisti». Medesima sorte toccò al missionario che inviava ad Avvenire corrispondenze puntuali e documentate dalla Cambogia e che il quotidiano dei cattolici pubblicava in bella evidenza in prima pagina.

«Avevo un vantaggio considerevole sui miei colleghi: sono un sacerdote. Mi muovevo sempre accompagnato da qualche prete tra i villaggi, tra la gente. E venivo in contatto con i rifugiati cambogiani che cercavano di fuggire in Vietnam. Così ho potuto rendermi conto di ciò che accadeva e riferirlo in Italia». Invece sul resto della stampa italiana si leggevano corrispondenze che presentavano la versione dei khmer rossi come unica verità. E accadeva spesso che gli inviati dei grandi quotidiani di stanza nei begli alberghi di Phnom Penh, accusassero padre Gheddo di mentire («La campagna di calunnie contro le forze che hanno liberato la Cambogia è caduta: testimoni diretti hanno infatti sbugiardato coloro che avevano accusato i “khmer rossi” di massacri», “Cade la campagna di menzogne sulla Cambogia liberata”, l’Unità, 11 maggio 1975).

Sempre sul quotidiano del Pci, Emilio Sarzi Amadè mise nero su bianco che Gheddo era «un missionario finanziato dalla Cia». E un suo dibattito alla Rai con Francesco Alberoni e Vittorio Citterich fu registrato, ma mai trasmesso. Il sacerdote scrolla le spalle: «Nessuno voleva vedere. Ed erano diversi i motivi per cui si censuravano le notizie. Alcuni colleghi, come detto, erano accecati dall’ideologia, altri si autocensuravano. Mi dicevano: “Padre Gheddo, magari quello che ci racconti è vero,
ma io non posso proporlo al mio giornale, non me lo farebbero scrivere.

Altri ancora, come Giorgio Bocca hanno ammesso che, una volta tornati dalla zona indocinese, avevano pure pensato di raccontare quel che in realtà accadeva, ma avevano capito essere poco prudente». Anche il missionario del Pime sperimentò qualche “avvertimento” poco piacevole. «Un paio di volte mi bucarono le gomme dell’auto. Una volta mi tagliarono il tubo che porta la benzina nel motore, per fortuna
me ne accorsi in tempo, altrimenti sarei saltato in aria con la mia Cinquecento rossa».

Padre Gheddo riconosce che tra tutti gli inviati dei grandi giornali italiani solo uno «ebbe l’onestà di raccontare entrambe le facce della medaglia. Era Egisto Corradi, il giornalista del Corriere della Sera che mi accompagnò in un paio dei miei giri». E Tiziano Terzani? Recentemente è stato pubblicato un suo libro che raccoglie i suoi articoli sulla Cambogia. «Terzani non era diverso dagli altri giornalisti». Anche lui, ha scritto di recente padre Gheddo, «contribuì a questa assurda esaltazione di uno dei peggiori genocidi del secolo XX. Terzani è stato certamente scrittore e giornalista di valore, ma anche uno degli illusi che esaltò i Vietcong e i khmer rossi come “liberatori” dei loro popoli e solo anni dopo il fallimento inglorioso della loro “liberazione” incominciò a dire timidamente che si era sbagliato. Come “profeta” e “santone” laico (molti suoi lettori lo ricordano così) bisogna dire che non era a servizio della verità, ma della menzogna, come lui stesso poi riconobbe, quando confessò alla Repubblica che è vero, si era sbagliato, perché i khmer rossi erano stati
“assassini sanguinari accecati dall’ideologia marxista-leninista”. Errori simili squalificano un “profeta” e “maestro di vita”».

Poi, come accaduto a Terzani, in molti hanno cambiato opinione. «Sì, e si può fissare anche una data di questa “conversione”», dice Gheddo. «Il primo gennaio 1979, giorno dell’invasione del Vietnam in Cambogia. Gli amici dei comunisti russi attaccarono gli amici dei comunisti cinesi. Tutto ad un tratto, i khmer rossi divennero dei terroristi della peggior specie. Invece, finché lo dicevo io…». [Tra coloro che presero cantonate riguardo al comunismo, va annoverato pure padre David Turoldo, che si considerava, (e che alcuni fessi consideravano) un “profeta”…

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