Te la do io la cooperazione allo sviluppo!

La nuova legge per gli aiuti al terzo mondo non si riesce a fare perché i Ds vogliono prendersi tutto

Ci abbiamo messo quasi due anni per arrivare a questo testo di legge, ma se ora mi dicessero che ho a disposizione un altro anno, lo smonterei tutto e lo riscriverei daccapo. E terminato l’anno di riscrittura, se ci fosse altro tempo, la riscriverei di nuovo”. Stefano Boco, senatore dei Verdi e relatore della nuova legge sulla cooperazione internazionale, pareva fosse venuto lì, alla conferenza sulla “cooperazione decentrata” (la cooperazione internazionale attuata dalle Regioni) organizzata a Milano dalla Regione Lombardia, per prendere in giro il selezionato pubblico. Eppure nessuno si è arrabbiato. Forse perché non si capiva bene se quella del senatore verde era un’esercitazione di umorismo toscano, oppure una calcolata manifestazione di disincanto. Sì, perché al di là dei dibattiti sui grandi princìpi, tutti sanno che la nuova legge, destinata a sostituire la vecchia n. 73 è andata per le lunghe semplicemente perché c’era da mediare fra esigenze e interessi diversi. Il problema del giorno è che il punto di mediazione faticosamente trovato adesso rischia di andare gambe all’aria per l’eccessivo appetito di una componente diessina della maggioranza. Riassumiamo brevemente. Dopo una serie di bozze di scarso valore, si è approdati a un testo giudicato soddisfacente da tutti. Capisaldi: la creazione dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, organizzativamente autonoma dal ministero Affari Esteri (Mae, le cui macchinose procedure negli ultimi anni avevano paralizzato la cooperazione), una buona normativa per le Ong (le organizzazioni non governative) e i volontari, facilitati in vari modi; un paio di articoli sulla “cooperazione decentrata” che lascia aperte le porte a una “regionalizzazione” degli aiuti allo sviluppo molto “interessante” per le strutture territoriali dei partiti e i governi locali apparentati. Si è trattato in sostanza di un compromesso fra mondo cattolico da una parte, impersonato dai politici di vari partiti di centro-destra e centro-sinistra e dalle federazioni del volontariato, e mondo laico di sinistra dall’altro, riassumibile nei Ds e nell’associazionismo che orbita intorno a loro. Per “salvare” gli articoli sulle Ong i “cattolici” hanno lasciato mano libera alla sinistra sui temi dei Programma-paese (coordinamento centralizzato di tutti gli interventi che vengono fatti in un dato paese), sull’ampliamento del numero delle associazioni che possono usufruire di fondi pubblici e sulla cooperazione decentrata, trasformata in potenziale feudo dei poteri locali. C’è il rischio, per nulla ipotetico, che in futuro una buona fetta di cooperazione internazionale la facciano gli assessori comunali e regionali, più esperti in varianti urbanistiche che in programmi di sviluppo rurale integrato, e che un pulviscolo di associazioni e organismi del mondo dell’Arci, dei sindacati, della Lega delle cooperative dia l’assalto alla diligenza dei fondi pubblici, fino a ieri riservati alle Ong “storiche”, in buona parte di estrazione cattolica. Ma ora pure questo compromesso rischia di saltare per volontà del Presidente della Commissione Esteri del Senato, il diessino Gian Giacomo Migone, che vuole attribuire al sottosegretario incaricato della cooperazione allo sviluppo un ruolo ben diverso da quello sino ad oggi conosciuto. Mentre per tutti il sottosegretario delegato deve essere sì un diessino, ma deve pescare i suoi collaboratori nei ruoli della diplomazia e dei dirigenti ed esperti del Mae, per Migone il sottosegretario deve essere una specie di commissario straordinario, che può portare al ministero una quarantina di consulenti strapagati. Insomma, dopo aver strappato al Mae di Dini l’Albania e il Kosovo, adesso gli ultrà Ds vogliono piantare la loro bandiera anche sulla collina della cooperazione allo sviluppo. Calpestando un compromesso autorevolmente avallato da Massimo D’Alema.

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