Sull’orlo dell’abisso per una legge

La Nigeria, il gigante dell'Africa con 120 milioni di abitanti, rischia l'apocalisse causa l'introduzione negli stati del nord della sharia, la legge coranica che segrega i sessi e punisce i criminali infliggendo mutilazioni. I cristiani temono che diventerà la legge di tutto il paese. Per i musulmani è una questione di identità non negoziabile. Che domani potrebbe presentarsi anche in Europa

Tre sale cinematografiche chiuse. Le squadre di calcio femminili sciolte. Un uomo punito con cento frustate per aver avuto rapporti sessuali con una donna nubile, un altro pure lui frustato in pubblico per aver bevuto alcolici. E poi trasporti pubblici segregati per maschi e femmine, con profili di donne velate stampati sulle portiere dei taxi e sulle fiancate degli autobus riservati, nelle scuole classi miste soppresse, un decreto che introduce due pause nell’orario di lavoro per permettere ai musulmani di adempiere il precetto della preghiera. Sono i primi effetti della sharia, la legge coranica promulgata il 27 ottobre dello scorso anno nello Zamfara, il più settentrionale degli stati della federazione nigeriana. Legge che prevede anche la pena di morte per decapitazione per reati di sangue, per crocifissione per reati di blasfemia e per lapidazione in caso di adulterio; oltre al taglio della mano per i ladri e alla mutilazione incrociata di piede e mano per i rapinatori. L’iniziativa ha avuto talmente successo che nei mesi seguenti altri due stati del nord, Niger e Sokoto (quest’ultimo è la sede della massima autorità spirituale islamica in Nigeria), hanno adottato lo stesso provvedimento, e altri tre (Kano, Kaduna e Yobe) hanno avviato l’iter legislativo. Il presidente Olusegun Obasanjo, generale in pensione cristiano e sudista, ha ammonito che le nuove leggi sono incostituzionali, ma non ha mosso un dito per bloccarle, e così pure il governo, il parlamento e la Corte suprema. I governatori degli stati del nord, per parte loro, hanno giurato e spergiurato che la sharia regolerà soltanto la società musulmana e non verrà applicata ai cristiani. Ma la cosa non è filata affatto liscia: il temporale che si addensava da mesi è scoppiato il 21 febbraio a Kaduna, città del nord islamico dove la maggioranza della popolazione è costituita da cristiani, in gran parte immigrati ibo dal sud. Una manifestazione pacifica contro l’introduzione della sharia si è trasformata in una caccia al cristiano che alla fine ha provocato 500 morti, oltre a decine di case, negozi e chiese razziati e dati alle fiamme. Tempo una settimana, e una sanguinosa rappresaglia ha preso corpo: nello stato di Abia, nel profondo sud, bande di ibo hanno scatenato la caccia al musulmano, che si è anche qui conclusa con 500 morti fra gli immigrati di etnia hausa e la distruzione di case e moschee. A quel punto anche l’indeciso Obasanjo (che è stato eletto soprattutto coi voti del nord, mentre i suoi corregionari yoruba del sud-ovest lo hanno snobbato) si è mosso: ha convocato il Consiglio di Stato Nazionale e ha convinto i governatori del nord a sospendere l’introduzione della sharia.

I cristiani non credono alle rassicurazioni Partita chiusa? Neanche per sogno. Nel giro di poche settimane si è formato un vasto fronte composto da governatori del nord, leader religiosi ed ex presidenti nigeriani di fede musulmana (Ibrahim Babangida, Shehu Shagari e Muhammadu Buhari) che chiede l’esplicito riconoscimento della sharia da parte della Costituzione federale e pretende che nel frattempo, passata la bufera, si continui ad applicarla là dove era stata promulgata e a introdurla là dove si stava per votarla. Ma è davvero possibile introdurre il diritto islamico in un paese multietnico e multireligioso come la Nigeria, dove metà della popolazione non è musulmana, dove anche i 19 stati del nord a maggioranza islamica ospitano forti minoranze di cristiani, e dove la Costituzione proibisce esplicitamente al governo federale e quelli dei singoli stati di proclamare una religione di stato? Secondo Mohammed Haruna, già portavoce di Abdulsalami Abubakar, il generale presidente che ha deciso di restituire il potere ai civili nel maggio dello scorso anno, non solo è possibile, ma doveroso: “La costituzione considera la Nigeria uno stato multireligioso, non uno stato secolare. La parola “secolare” nella costituzione non c’è da nessuna parte. Quel che si sottintende è che lo stato tratta equamente tutte le religioni. La sharia, i musulmani non si stancheranno mai di ripeterlo, riguarda solo loro. Il principio da rispettare è che ogni comunità dovrebbe essere libera di determinare il suo proprio sistema legale. Se diciamo di essere una federazione, dobbiamo rispettare quel principio di federalismo che permette ad ogni partecipante di mantenere il suo carattere essenziale; se diciamo di essere una democrazia, dobbiamo rispettare il principio secondo cui le decisioni sono prese dalla maggioranza, nel rispetto dei diritti delle minoranze”.

Eppure la conciliante dialettica di Haruna e altri soffici discorsi di questo segno non tranquillizzano affatto i cristiani e la popolazione originaria del sud in genere. I vescovi cattolici, che dall’ottobre scorso indirizzano appelli quasi settimanali al presidente Obasanjo perché blocchi i governatori del nord, insistono che la Nigeria “non può sostenere il sistema legale della sharia parallelo alla legge del paese” e che ciò che sta avvenendo rappresenta una “folle corsa verso il suicidio nazionale”. I governatori dei cinque stati del sud-est, da cui proveniva la maggior parte delle vittime di Kaduna, minacciano: “Se la persecuzione continua, chiederemo la trasformazione dello stato in una blanda confederazione con un centro debole e dotato di poteri meramente amministrativi”. Ma è sulle pagine del Guardian, il principale quotidiano nigeriano di orientamento cristiano, che si leggono i proclami più incendiari. Scrive Reuben Abati, intellettuale ed editorialista: “Coloro che agitano la bandiera religiosa non si fermeranno di fronte a nulla. Vogliono lo scontro, e noi dobbiamo darglielo. Il mio presentimento è che i massacri di Kaduna e le rappresaglie nel sud-est non siano che la prova generale per la grande esplosione che è dietro l’angolo. Tenete a mente queste parole: la battaglia è imminente. I fautori della guerra santa non ci lasciano altra scelta che la guerra. La prima cosa che il governo federale dovrebbe fare è dichiarare lo stato di emergenza negli stati che hanno promulgato la sharia contro le leggi del paese. Se i fautori della guerra santa insistono, dovremmo negare loro l’accesso alle risorse petrolifere del paese. Se si ribelleranno, dovremo schiacciarli. E se da questo nascerà una guerra civile, che guerra civile sia”.

C’è una “guerra santa”
nel passato della Nigeria Queste posizioni estreme non si possono capire senza ricollegarsi a due avvenimenti cruciali della memoria storica nigeriana. Il primo è la guerra civile per la secessione del cosiddetto Biafra, la porzione sud-est della Nigeria popolata dagli ibo, l’etnia più cristianizzata del paese. Gli ibo dettero battaglia per sottrarsi alla storica egemonia del nord sul resto della federazione, ma mal gliene incolse: un milione di loro perse la vita fra il 1967 e il 1970 e la resa fu totale. Quella del Biafra fu una guerra tutto meno che religiosa (il vero oggetto del contendere era il petrolio del sud-est), ma fu comunque letta come una vittoria del nord musulmano (appoggiato dagli yoruba del sud-ovest, religiosamente misti) sugli ibo cristiani. Ma l’avvenimento che più condiziona la percezione dell’islam da parte dei nigeriani non islamici è un altro, remoto nel tempo: la guerra santa che i musulmani del nord scatenarono all’inizio del XIX secolo sotto la guida dell’intellettuale-condottiero Usman Dan Fodio. I guerrieri fulani-haussa protagonisti di quella jihad avevano giurato di immergere il Corano nelle acque dell’Oceano Atlantico, e poco mancò che ci riuscissero: fra il 1804 e il 1817 conquistarono un territorio pari alla metà dell’attuale Nigeria, spingendosi fino all’interno della regione yoruba. Il moto espansionistico verso sud fu poi arrestato dai britannici, che prima colonizzarono separatamente le tre differenti aree (yoruba-ibo-haussa), poi nel 1914 le fusero in un’unica entità amministrativa: e nacque l’equivoco Nigeria.

Gli inglesi costrinsero i musulmani a moderare il loro entusiasmo per la sharia: permisero loro di mantenere il codice familiare islamico, ma soppressero quello penale e lo sostituirono con la common law britannica. La costituzione della Nigeria indipendente ha fatto proprio questo compromesso.

Poste queste premesse, si capiscono più che bene le ragioni dell’ostilità dei cristiani all’introduzione della sharia integrale, nonostante tutte le rassicurazioni: essi temono che si tratti del primo passo di un nuovo tentativo di islamizzazione dell’intera Nigeria, che la legge islamica, una volta reintrodotta in alcuni stati, finirà nel tempo per diventare la legge di tutto il paese. E trovano una conferma del loro sospetto nel fatto che nessun leader musulmano invoca la secessione del nord dal resto della Nigeria per meglio praticare la fede, ma tutti insistono sull’intangibilità dell’unità nigeriana. Scrive il furente Abati: “Questa seconda generazione di fautori della jihad di etnia hausa-fulani restano fedeli al progetto dei loro antenati: trasformare la Nigeria in uno stato islamico, imporre la sharia a tutti noi e mettere in discussione la base stessa della nazione nigeriana”.

Strumentalizzazioni politiche e motivazioni identitarie Il fatto curioso è che nei suoi quarant’anni di indipendenza la Nigeria ha avuto quasi sempre capi di Stato musulmani, compresi i numerosi generali golpisti. Eppure mai costoro avevano mostrato l’intenzione di reintrodurre la legge coranica. Oggi invece gli stessi personaggi, emarginati dal potere, fiancheggiano i governatori eletti in libere elezioni lo scorso anno. Ciò fa concludere a molti che la crisi della sharia non ha veramente motivazioni religiose, ma piuttosto politiche: l’oligarchia nordista che, con la benedizione dei britannici, ha retto il paese sin dall’indipendenza, ha appoggiato l’elezione del cristiano Obasanjo nel maggio scorso perché al tempo della sua prima presidenza come capo di una giunta militare (1976-79) aveva rispettato i suoi interessi costituiti, ma ora sembra essersi pentita della sua scelta. Obasanjo si è ricordato di essere uno yoruba, e ha cominciato a sistemare un po’ di “fratelli”, ma soprattutto ha avviato indagini sulle leggendarie malversazioni dei regimi degli ultimi vent’anni. L’ex presidente Buhari, responsabile del fondo speciale per la gestione dei proventi del petrolio saccheggiato durante la presidenza del dittatore Abacha, è già finito nel mirino. Di qui la decisione della nomenklatura nordista di destabilizzare il presidente impiccione.

L’interpretazione della crisi della sharia come conseguenza di una lotta di potere elitaria mostra tuttavia dei limiti: il fronte anti-Obasanjo sta sfruttando un’opportunità ohe non ha però concorso a determinare. La questione è stata creata dai governatori eletti l’anno scorso, che rappresentano una nuova generazione di politici. Le cause dei recenti avvenimenti sono molto più profonde e affondano le radici nella storia del paese. Come quasi tutti i paesi africani, la Nigeria è uno stato artificiale frutto del colonialismo. E quarant’anni di esistenza non sono stati sufficienti a creare un’identità nazionale condivisa. I militari hanno tenuto insieme un paese che sembrava destinato alla disgregazione, ma soltanto con l’uso brutale della forza e facendo pagare un prezzo altissimo: il saccheggio della manna petrolifera. Benché sia il quinto produttore mondiale, oggi la Nigeria ha lo stesso reddito pro capite del 1960. “La cittadinanza resta un concetto estraneo in questo paese -scrive Abati-. I nigeriani con permesso di residenza in Gran Bretagna o titolari della green card negli Usa godono di maggiore umanità in quei paesi che nel loro”.

Quel che sta accadendo ora è che il nord del paese rigetta questo vuoto identitario e di cittadinanza e decide di darsi un voto e una legge ritrovandoli nella propria storia, là dove era stata interrotta dalla colonizzazione britannica: l’unificazione politica e giuridica prodotta dalla jihad di Usman Dan Fodio nel XIX secolo. I popoli originari della Nigeria settentrionale prendono coscienza di sé come popoli attraverso l’islam, che svolge così una funzione essenzialmente politica. E’ un fenomeno che sta avvenendo in molte parti del terzo mondo, e che in Nigeria avrà conseguenze catastrofiche a causa della realtà multietnica e multireligiosa del paese e delle migrazioni interne che hanno mescolato cristiani e musulmani. Ma è anche un campanello di allarme per la vecchia Europa méta di un’immigrazione musulmana: per affermare se stessi come popolo, prima o poi questi immigrati chiederanno di vedere riconosciuto il loro sistema giuridico. E anche l’Europa potrebbe diventare una grande Nigeria.

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