Storie di bambini nati da madri in coma. Quando lo stesso giorno si celebrano una nascita e un funerale

La medicina oggi permette di far venire alla luce dei figli, tenendo in vita artificialmente la madre. La difficile scelta di padri coraggiosi

«Sabato pomeriggio è nato il mio bellissimo e incredibile bambino, Iver Cohen Benson. Iver sta bene ed è la persona più dolce e preziosa che abbia mai incontrato. Purtroppo abbiamo dovuto dire addio alla donna migliore e più forte che abbia mai conosciuto». È così che sabato scorso il canadese Dylan Benson (nella foto con la moglie, ndr) è diventato padre e vedovo nello stesso istante. Sua moglie Robyn fu dichiarata morta un mese e mezzo fa, quando era alla 22esima settimana di gravidanza, ma lui non esitò a lottare per la vita del figlio. Alle critiche di chi lo ha accusato di accanimento e egoismo il giovane ha replicato: «Siamo tutti certi, la sua famiglia e i miei amici, che mia moglie avrebbe voluto lo stesso: vedermi lottare per dare a mio figlio il massimo possibile».

REGALO DI NATALE. Dylan non è il solo. Come lui ci sono stati altri padri che hanno scelto di mantenere in vita la moglie per salvare il figlio. Circa un mese prima, 19 dicembre del 2013, a Napoli nasceva Maria, alla 28esima settimana e dopo quasi 4 mesi di coma materno. I dottori le davano una settimana di vita ma Gianpiero, il padre, li aveva spinti a non mollare, perché «Carolina (la moglie) e Maria ce la faranno». La gravidanza era proseguita e, qualche settimana prima di avere la certezza che la bambina sarebbe nata, l’uomo aveva scritto: «La nascita della mia piccola sarà un regalo bellissimo per Natale». Al parto i medici hanno parlato di «risultato grandioso: è la prima donna che partorisce dopo essere finita in coma a così poche settimane di gestazione». Anche nel caso di Robyn a chi parlava di accanimento fu risposto che alla base della scelta non c’era una volontà folle, ma la scienza e «la possibilità di mantenerla in vita per far crescere il nostro bambino: il suo corpo vitale darà a nostro figlio una buona probabilità di sopravvivenza».

«SI MUOVE!». Prima di lui anche Hasitha (nella foto a destra), cingalese residente a Milano, aveva voluto che la moglie Nirmala fosse aiutata a rimanere vitale dopo la morte cerebrale affinché la gravidanza proseguisse. Il figlio Matteo nacque nel 2010 all’ospedale Niguarda di Milano, alla 29esima settimana: «Portarlo a casa è un sogno», aveva dichiarato il padre a cui i dottori dissero che, forse, il figlio non sarebbe cresciuto o che avrebbe riportato qualche handicap: «Lo ammetto – aveva poi confessato – in quei momenti ero talmente disperato che avrei voluto arrendermi». Ma, poi, di fronte all’ecografia, Hasitha si è commosso perché Matteo «si muoveva. Era vivo! E dopo la nascita lo avrebbero potuto curare nel migliore dei modi».

LOGICHE D’AMORE.  Insieme a Ivor, Maria e Matteo c’è anche la piccola Nicole, che quest’anno compirà 8 anni, nata a 29 settimane da Cristina, dopo un coma di 78 giorni. Era il marzo 2006 quando, alla 17esima settimana, la donna fu portata al Niguarda di Milano in seguito a un aneurisma. Saputo delle condizioni irreversibili della donna il padre di Nicole, Toni, aveva chiesto ai medici di fare il possibile per salvare la piccola, certo che Cristina volesse lo stesso: «Era contenta della gravidanza, non avrebbe deciso diversamente», spiegò l’uomo che, anche di fronte allo scetticismo di tanti, preferì attaccarsi «all’unico filo di speranza: quel filo era mia figlia». E che dopo il parto tornò a casa «come se stessi volando» e ringraziando Cristina «che morendo mi ha dato la bambina». Davanti al reparto di neonatologia Toni, intervistato da Tempi, disse: «Lì sei come preso al lazoo dalla vita perché vedi le mamme che si spremono il latte per quei loro figli senza futuro. I dottori glielo hanno già detto: domani morirà. Eppure cavano il latte dal seno anche se è l’ultima sera».

@frigeriobenedet

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